VacciniaMO, terza edizione

con Presidente e Vicepresidente del Patto Trasversale per la Scienza

Cinquecentoquaranta studenti degli Istituti Superiori di Modena radunati in aula Magna, al Centro Servizi Didattici di Unimore, per festeggiare San Valentino all’insegna dell’amore per la scienza e per i vaccini. La Facoltà di Medicina e Chirurgia ha scelto di ripetere per il terzo anno consecutivo l’evento dedicato alla sensibilizzazione dei giovani alla pratica vaccinale:

“Vogliamo accrescere la loro conoscenza e consapevolezza sull’argomento – afferma ha dichiarato Andrea Cossarizza, professore ordinario di Patologia generale e Immunologia a Modena, vicepreside della Facoltà di Medicina, vice presidente del Patto Trasversale per la Scienza e Presidente della società Internazionale ISAC – sono gli unici strumenti a nostra disposizione per contrastare la deriva antiscientifica nel nostro Paese e l’azione sconsiderata degli antivaccinisti che diffondono informazioni false e dissuadono la società all’utilizzo di questo presidio sanitario, prezioso alleato della nostra salute”.

Si sono alternati in aula illustri relatori, spiegando alla giovane platea la storia dei vaccini (prof. Andrea Cossarizza), le principali fake news legate al tema (prof. Marcello Pinti), parlando di sicurezza e reazioni avverse (prof. Pier Luigi Lopalco), con lo speciale approfondimento della meningite da meningococco (prof.ssa Cristina Mussini) e l’illustrazione di un virtuoso esempio italiano di divulgazione scientifica, il sito web Io Vaccino, che partecipa al Vaccine Safety Net dell’OMS (dott. Stefano Zona).

A mantenere alta l’attenzione degli studenti hanno contribuito due preziose testimonianze: “L’apprendimento viene accelerato dall’esperienza – sottolinea Cossarizza – per questo abbiamo scelto di intervistare in aula due persone speciali”.

Nicola Pomaro, papà di Angela Stella, bimba di 8 anni che a 3 si è ammalata di anemia aplastica, ha superato il trapianto di midollo ma per successive complicanze oggi è immunodepressa. Nicola ha ricordato l’importanza delle vaccinazioni (Angela Stella purtroppo non può farle tutte, e quelle che riesce a sopportare non sono particolarmente efficaci per il suo sistema immunitario compromesso) e dell’immunità di gregge: “Abbiamo dovuto scegliere la scuola con una classe di soli bambini vaccinati, cosi anche il catechismo e la danza – dichiara – se vivessimo in una società più sensibile e altruista non saremmo costretti a vietarle il cinema, le giostre, il centro commerciale, viaggi, spostamenti con mezzi pubblici e tutto ciò che potrebbe farla entrare in contatto con virus e agenti patogeni. Se tutti fossero vaccinati mia figlia potrebbe vivere senza la costante paura di ammalarsi”.

Ha chiuso la manifestazione l’atleta della nazionale paralimpica di atletica, Andrea Lanfri, biamputato agli arti inferiori e con sole tre dita delle mani. Nel 2015, dopo una meningite fulminante con sepsi meningococcica, ha iniziato la sua brillante e inarrestabile ascesa sportiva. È record man dei 100, 200 e 400 metri piani, con la passione per l’alpinismo: “Volevo fare un dispetto alla malattia, realizzando il sogno di correre sempre più veloce e conquistare le montagne del mondo – dice – ho tanta voglia di vivere e superare i miei limiti, con determinazione e coraggio posso fare ogni cosa, ma la lezione l’ho imparata. Ora mi vaccino per tutto”. Ha raggiunto la vetta delle Tre Cime di Lavaredo, del Chimborazo in Ecuador e l’anno scorso ha conquistato oltre 7mila metri di altitudine con Putha Huinchiuli in Nepal, tappa di avvicinamento all’Everest in programma nel 2021: “L’esempio, fortunatamente vivente di Lanfri, non può lasciarci indifferenti, dimostra quanto sia preziosa la nostra vita – afferma Cossarizza – e quanto sia fragile se a colpirla è un batterio, dal quale possiamo difenderci semplicemente attraverso il vaccino”.

Ai ragazzi è stato chiesto di compilare due test, uno all’ingresso in aula e uno al termine dell’evento: “Attraverso l’esame dei questionari potremmo misurare l’utilità di Vacciniamo – conclude – e migliorare ogni anno questo momento di formazione dedicato agli uomini e alle donne del futuro”.

di Maria Santoro

CORONAVIRUS E OMEOPATIA: LA PSEUDOSCIENZA DI STATO

Il PTS condanna con fermezza chi, spargendo informazioni fuorvianti, cerca di approfittare dell’allarme causato dal coronavirus per piazzare rimedi e cure di dimostrata inefficacia. Quei governi, come quello indiano, che dispensano consigli per indurre ad utilizzare in funzione preventiva pseudomedicina agiscono irresponsabilmente al di fuori della razionalità scientifica e concorrono ad aumentare il rischio di una pandemia globale. Non è certo il logo di un ufficio statale a trasformare omeopatia, ayurveda o unani in rimedi utili; e se dei medici, anche in Italia, credono il contrario, essi sono da considerare primi responsabili di una disinformazione che aumenta il pericolo per i nostri concittadini.Vi invitiamo a leggere questo articolo di Enrico Bucci pubblicato su Il Foglio che analizza l’incredibile vicenda del governo indiano. Mentre il Mondo si sforza di produrre kit rapidi di identificazione del virus per la prevenzione ed il contenimento dell’epidemia, rendendo pubbliche linee guida volte soprattutto a minimizzare il rischio di contagio, gli esperti del governo indiano raccomandano per la profilassi preventiva – assicurando che funziona – il preparato omeopatico Arsenicum album 30 CH, una dose per tre giorni a stomaco vuoto. Qui l’articolo completo – https://bit.ly/36zG8u0 pienamente condiviso dal Gruppo Omeopatia e da tutto il PTS.Buona lettura!

“UN ATTACCO ALLA SCIENZA”

Le parole non sono nostre ma rappresentano perfettamente il pensiero della nostra Associazione. Le parole sono di Elena Cattaneo, scienziata e senatrice a vita che così commenta la decisione del Consiglio di Stato, resa nota ieri, di sospendere l’autorizzazione alla fase sperimentale su macachi del progetto di ricerca europeo “LightUp” guidato dai professori Marco Tamietto e Luca Bonini delle Università di Torino e Parma – https://bit.ly/2RQyGW5“Un vero e proprio attacco alla scienza e agli scienziati che negli scorsi mesi sono stati minacciati di morte a causa dei loro studi. Nell’ordinanza che contraddice quanto stabilito dal Tar del Lazio lo scorso novembre si inverte l’onere della prova, pretendendo che sia il Ministero della Salute a dover dimostrare l’inesistenza di metodi alternativi alla sperimentazione su animali. Stupisce come il Consiglio di Stato non offra alcuna argomentazione a sostegno della decisione di ribaltare la decisione del Tar. I giudici disconoscono la premessa nota di tutta la vicenda. Come sa, o dovrebbe sapere, chiunque si occupi o si trovi a decidere di delicati temi di ricerca, è la stessa direttiva europea sulla sperimentazione animale a prevedere che né l’Erc (Consiglio europeo della Ricerca), né il Ministero della Salute, né le rispettive Università possano autorizzare un progetto in tal senso, se esistono metodi alternativi che la scienza ha certificato come altrettanto validi. In altre parole, è già obbligo di legge che i progetti debbano includere la prova dell’assenza di alternative alla sperimentazione animale: vengono giudicati anche su questo. Di fronte a decisioni del genere, che – seppur provvisorie – ostacolano e bloccano la nostra ricerca, non può stupire che tanti ottimi studiosi italiani scelgano di fuggire dall’Italia, portando i loro progetti di eccellenza, e i relativi finanziamenti ottenuti vincendo la competizione al vertice della ricerca europea, in Paesi le cui istituzioni sostengono la scienza non con dichiarazioni retoriche sulla ‘fuga dei cervelli’, ma applicando le normative vigenti senza ulteriori restrizioni e divieti”.

Il Patto a Basta la Salute

OGGI (22 gennaio 2020) il Presidente del PTS, Pier Luigi Lopalco, epidemiologo verrà intervistato da Gerardo D’Amico su Basta La Salute – Rainews24.
Vi aspettiamo, , dopo i titoli del TG, alle 13:30 ed alle 21:30.

https://www.rainews.it/dl/rainews/media/Basta-la-salute-d6b3daf5-a67e-403a-bb19-859030e606d9.html dal minuto 07.40 l’intervento

Si parlerà di bufale, magie, false convinzioni e vere e proprie truffe: dal rifiuto dei vaccini alla cristalloterapia, i danni per chi incappa nel vastissimo mondo del parascientifico sono reali ed importanti.
Danni alla salute, al portafoglio, e ci rimette anche la collettività che deve farsi carico di curare malattie che potevano essere prevenute o effetti drammatici che potevano evitarsi.
Si affronterà anche il problema della responsabilità dei giornalisti, quando portano alla ribalta e danno credito a ciarlatani e truffatori.

Da non perdere!

L’AGOPUNTURA IN SALA OPERATORIA: UNA PUNGENTE VERITÀ

A seguito delle dichiarazioni del dott. Filippo Bosco circa l’utilizzo dell’agopuntura e dell’omeopatia in sala operatoria ( link all’articolo di Open ), il Gruppo “Frodi Scientifiche e Integrità della Ricerca” – vedi su facebook – ha analizzato le 53 pubblicazioni varie da egli fornite in supporto, trovandole insufficienti o non pertinenti.
Qui il link al lavoro

Il Gruppo, che comprende oltre ad Enrico Bucci anche Raffaele Calogero, Piero Carninci, Rino Conte, Luigi Marchionni, Andrea Grignolio, Angelo Parini e Gianluca Sbardelli, si è dedicato a valutare se l’uso dell’agopuntura in ambito chirurgico o più generalmente clinico abbia qualche supporto, investigando la letteratura in maniera più approfondita ed andando quindi oltre il materiale fornito dal dott. Bosco.

(Per il lavoro completo rimandiamo a questo link )

La divulgazione di quali siano i dati in letteratura appare quanto mai urgente, viste le sempre più frequenti notizie di integrazione in ospedali pubblici di pratiche complementari ed alternative scarsamente supportate, come per esempio avvenuto anche a Bologna, e non solo a Pisa – ove opera il dott. Bosco – ma anche a Torino (Azienda Ospedaliera O.I.R.M. S.Anna, ambulatorio di agopuntura in ginecologia), a Milano (Ospedale Luigi Sacco, II Divisione di malattie infettive), a Roma (Ospedale S.Andrea, Ambulatorio di Agopuntura), a Firenze (ASL 10, Centro Fior di Prugna), a L’Aquila (Servizio di Agopuntura c/o Unità Ospedaliera di Dermatologia – Centro Allergologico AUSL 04) e a Napoli (Ospedale S. Paolo a Cremano) e in chissà quante altre strutture (qui la fonte per queste notizie).

E’ stata quindi esaminata tutta la massa di evidenza clinica disponibile fino al 2019; allo scopo, dunque, sono state considerate le meta-analisi e le review sistematiche (quei lavori che cioè analizzano tutte le fonti primarie, ovvero gli studi clinici pubblicati fino a quel momento) e le meta-reviews (quei lavori cioè che analizzano le fonti secondarie, ovvero le meta-analisi di cui al punto precedente, valutandole nel loro complesso) pubblicate nel 2019.
La ricerca su Pubmed restituisce 29 lavori che soddisfano ai criteri di rappresentare meta-analisi, reviews sistematiche o meta-reviews.

Le condizioni cliniche in cui si sperimenta l’agopuntura sono piuttosto eterogenee, ad indicare come la sperimentazione proceda a tutto campo, alla ricerca di indicazioni e definizioni applicative precise.

D’altronde, possiamo verificare immediatamente alcune fra le pesanti limitazioni identificate dagli stessi autori: la dimensione media degli studi clinici inclusi nel campione considerato, per esempio, è di 99 individui (includenti sia il gruppo trattato che quello di controllo).

Le procedure considerate includono sia l’agopuntura “tradizionale” che l’elettroagopuntura, e i protocolli di trattamenti sono estremamente eterogenei circa tempi e durata dell’applicazione dell’agopuntura, sede di applicazione del trattamento, numero di trattamenti e misura dell’effetto del trattamento.

Molto spesso, l’agopuntura è somministrata in aggiunta ai normali trattamenti, e l’effetto misurato consiste in una diminuzione di effetti negativi o di dose farmacologica dei farmaci somministrati in aggiunta; ma non vi è il controllo costituito da un gruppo cui, senza l’agopuntura, si diminuisca la dose dei farmaci, per verificare se, semplicemente, la dose usualmente utilizzata possa essere leggermente diminuita, senza grosse complicazioni.

I controlli (quando ci sono) sono spessissimo inappropriati, consistendo a volte nell’applicazione di aghi a caso (ed in questo caso, si rileva persino talvolta che l’applicazione degli aghi a caso ha lo stesso effetto dell’applicazione eseguita seguendo i dettami pseudoscientifici dell’agopuntura tradizionale) ed altre volte in un trattamento farmacologico tradizionale, rendendo quindi impossibile la procedura in cieco.

Sulla base di queste osservazioni, la gran maggioranza degli autori, pur favorevole all’agopuntura, non può che concludere che, pur in presenza di apparenti benefici clinici dell’agopuntura (deformati dalla scarsa qualità degli studi), sono necessari studi più ampi, meglio disegnati e meglio controllati, prima di poter verificare se e come l’agopuntura dia un qualche beneficio; il che equivale allo stato ad ammettere che non vi è nessuna indicazione solida circa tali effetti clinici.

Conclusioni.
In generale, la revisione della letteratura disponibile, che copre diverse centinaia di studi clinici primari, conferma la bassa qualità di tali studi e le severe limitazioni che ne affliggono l’interpretazione. Questo risultato è condiviso dagli stessi autori dei 29 articoli esaminati, ed è ulteriormente verificabile andando a studiare i dati richiamati (come in piccola parte si è tentato di fare qui).

L’eventuale trasferimento in clinica dell’agopuntura non appare quindi supportato sufficientemente dall’evidenza scientifica, neppure a voler prendere per buone le conclusioni ottimistiche degli autori favorevoli all’agopuntura, i quali tutti uniformemente indicano la necessità di studi clinici di maggiori dimensioni e con minori bias, necessari per verificare se vi sia alcun effetto oltre al placebo.

Appare dunque prematuro l’arruolamento di pazienti in strutture pubbliche, prima che tali studi siano effettuati.

QUANDO I MAGISTRATI FANNO GLI SCIENZIATI

MA NON BASANO LE LORO DECISIONI SULLE EVIDENZE SCIENTIFICHE: PER LA CORTE DI APPELLO DI TORINO ESISTE UN NESSO CAUSALE TRA IL NEURINOMA E L’USO DEL CELLULARE.

Non c’è molto da sperare che la Cassazione ponga rimedio alla sentenza della Corte di Appello di Torino che conferma il giudizio di primo grado del Tribunale di Ivrea: un ex lavoratore della Telecom, che ha passato molti anni al cellulare si è visto riconoscere e confermato il nesso causale tra il suo neurinoma, tumore benigno del nervo acustico e l’uso di quella apparecchiatura in modo “abnorme”. La maggior parte degli studi scientifici fatti in tutto il mondo nel corso degli decenni sugli effetti delle radiofrequenze escludono questo collegamento, la scorsa estate il nostro Istituto Superiore di Sanità assieme all’Enea, al CNR e all’Arpa Piemonte aveva compiuto una ricognizione scientifica includendo ricerche e metanalisi più rappresentative, arrivando al medesimo risultato: l’unico effetto di tenere appoggiato per lungo tempo il cellulare all’orecchio è un lieve riscaldamento della parte, decimi di grado, che niente hanno a che fare con lo sviluppo di patologie quali un tumore. Nello specifico del neurinoma, come ben descritto in un articolo di Gianni Comoretto su Query che trovate qui – https://bit.ly/2RGwYqf , gli studi che sono stati compiuti fin dal 2004 – quindi su cellulari di vecchia concezione, con tecnologie anche diverse rispetto a quelli di oggi – non hanno evidenziato differenza di rischio tra chi non usava il cellulare e chi invece lo faceva in modo “normale”: su quelli che usavano il telefonino in modo “intenso” il rischio aumentava di 2-4 volte, ma in mancanza di effetti conseguenti. Peraltro gli stessi autori di quello studio, 5 anni dopo scrivono: “gli studi finora pubblicati non mostrano un aumento del rischio a 10 anni di uso (del cellulare) per nessun tumore cerebrale o altri tumori alla testa”. A questa conclusione è arrivata anche la IARC, quando ha inserito le radiofrequenze nella categoria dei “possibili” cancerogeni, decisione presa a maggioranza perché gli altri membri del Comitato avrebbero voluto declassarle alla categoria 3, ovvero “cancerogenicità non valutabile”: per un principio di precauzione l’Agenzia dell’OMS ha voluto segnalare la possibilità teorica ma l’improbabilità pratica che le radiofrequenze di un cellulare possano avere effetti neoplastici su chi lo usi. Per capirci, le radiofrequenze si trovano nella stessa lista dell’acqua calda e della caffeina, come fattori capaci di scatenare un tumore.Ma non c’è da sperare in una revisione della sentenza di Torino, dato che la stessa Cassazione aveva ravvisato “almeno un ruolo concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia”, e con la sentenza 17438/2012 aveva riconosciuto ad un altro lavoratore che si era rivolto al la Corte di Appello di Brescia una invalidità dell’80% e la conseguente corresponsione dell’assegno a carico dell’Inail. A meno che ovviamente la Suprema Corte non riveda la sua stessa giurisprudenza.Quello che qui ci interessa sottolineare è -ancora una volta- l’impatto che certe sentenze di Tribunale, basate sul principio del “più probabile che non”, hanno sulla società, determinandone paure e comportamenti. Lasciamo perdere che se in questo caso si fosse applicato quel principio alla lettera, l’evidenza ci dice che è “più probabile che non” accada nulla a chi usi un cellulare anche per molte ore al giorno: l’epidemiologia di neurinomi o gliomi è sostanzialmente stabile, da decenni a questa parte. Eppure i cellulari li usano miliardi di persone al mondo, da decenni: anche tumori a lenta crescita si sarebbero intravisti.Il fatto è che a nessuno che non abbia studiato legge viene in mente che quella sentenza riguarda un caso specifico e solo quello, che la prova che si forma in dibattimento può non avere niente a che fare con la scienza, che il magistrato da “peritus peritorum” ha l’ultima parola e può non tenere conto di una perizia che lui stesso ha chiesto a chi più ha ritenuto opportuno coinvolgere, e quasi sempre non sono addetti al settore o professionisti di chiara fama. Lo abbiamo visto con le sentenze di primo grado sui vaccini, i tribunali di Rimini, Salerno, Caltanissetta che avevano stabilito il nesso fra trivalente ed autismo, condannando il Ministero: sentenze per fortuna ribaltate in Appello e poi definitivamente in Cassazione. Ancor prima le sentenze del Pretore di Maglie per la cosiddetta Cura Di Bella, si imponeva alle ASL di rimborsare quel cocktail che secondo la Commissione Bindi non aveva effetti terapeutici, poi quelle di vari Tribunali che costringevano gli Spedali Civili di Brescia ad infondere il famigerato Metodo Stamina, quello che Elena Cattaneo definì “un intruglio” e che la scienza non solo italiana aveva bollato come una truffa.Tutte decisioni di magistrati che riguardavano il singolo caso, ma che hanno fatto nascere in milioni di persone la convinzione che la “multiterapia” Di Bella fosse superiore a chemio e radioterapia “ufficiali”, o che si potesse guarire da drammatiche malattie metaboliche o dalla SLA con l’infusione di “cellule staminali” il cui protocollo è sempre restato segreto, la “cura” Stamina raccontata in televisione come miracolosa ma ostacolata da medici e scienziati corrotti da Big Pharma.Il “libero convincimento” del magistrato è alla base della divisione dei poteri, ed è una prerogativa che va difesa: ma quando da una decisione derivano conseguenze tanto impattanti per il resto della collettività allora bisogna chiedersi quel convincimento quali strade debba seguire per formarsi, per non trasformarsi in arbitrio.La cosiddetta legge Lorenzin ha imposto la presenza di un rappresentante dell’AIFA nei processi in cui si dibatte di vaccini: e questa è una importante anche se non sicura rete di protezione, perché il magistrato non è vincolato al suo parere. Ma quanto meno agli atti resta l’opinione certificata, scientifica di una Istituzione e non solo l’opinione più o meno qualificata del tecnico nominato CTU.Qualcosa del genere occorrerebbe prevedere per altri giudizi in cui si ha a che fare con la salute o la scienza: in quell’aula si celebra il processo ad un caso singolo, ma appena fuori c’è un mondo che ascolta e recepisce quelle conclusioni. Un mondo che non maneggia il diritto, che fa due più due e non sempre conclude che sia quattro, che deciderà di mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari sottraendosi alle vaccinazioni o rinunciando a terapie efficaci basate sull’evidenza scientifica per abbracciare quelle pubblicizzate alla TV. Gente che impatterà sulla collettività infettando di una malattia prevenibile col vaccino chi non poteva vaccinarsi, o perché chiederà allo Stato di finanziare cure immaginarie.Quando si tratta di salute una sentenza fa giurisprudenza per casi analoghi, ma se non è basata sulla scienza rischia di fare danni sociali.

10 GENNAIO 2019 – 10 GENNAIO 2020: UN ANNO DI PTS

Oggi il PTS compie un anno.Non l’Associazione, nata il 5 giugno a Milano, ma l’appello lanciato da Guido Silvestri e Roberto Burioni, Medico proprio il 10 gennaio del 2019 – https://bit.ly/35HUZlF Compie un anno l’idea di unirsi per il bene della cittadinanza e della Scienza.Idea messa poi in pratica dall’Associazione Patto Trasversale per la Scienza che, per raggiungere gli obiettivi, ha costituito 12 gruppi di lavoro suddivisi in 9 gruppi verticali e 3 trasversali. – https://www.pattoperlascienza.it/gruppi/ Numerosi comuni, università, società scientifiche, federazioni e associazioni hanno sottoscritto l’appello e sono entrati a far parte dell’Associazione. Sei sempre in tempo a sottoscrivere l’appello – https://bit.ly/36EXVkk e/o a diventare nostro socio – https://www.pattoperlascienza.it/diventa-socio/

AUGURI E GRAZIE!

Il PTS supporta gli Atenei di Torino e Parma e condanna il (pessimo) servizio del TG2

La sperimentazione animale è un argomento estremamente delicato in cui è richiesto un tipo di comunicazione scrupoloso, doverosamente attinente ai fatti: la disinformazione e i fattoidi precludono la possibilità di farsi un’idea reale sulla faccenda, con l’aggravante di  accrescere la polarizzazione e le persecuzioni nei confronti dei ricercatori.
Abbiamo già parlato del progetto “Lightup”, finanziato dallo European Research Council, basato su una collaborazione tra gli atenei di Torino e Parma, volto a dare una speranza alle persone affette da una condizione nota come “blind sight”, un problema che coinvolge la corteccia visiva. Abbiamo già dato il nostro supporto ai ricercatori, perseguitati e minacciati di morte dagli estremisti animalisti e abbiamo demistificato delle sciocchezze veicolate da chi ha interesse a vietare la sperimentazione animale, cosí come qualsiasi impiego degli animali tout court.
A livello mediatico spesso è complesso veicolare tematiche di carattere scientifico per il fenomeno del cosidetto false balance, ovvero raffrontare esperti e non, mettendo sullo stesso piano informazioni corrette e sbagliate, a causa della richiesta di contraddittorio da parte di chi non ha qualifiche. Le cose peggiorano quando i mass media veicolano solo la propaganda di chi ha idee opposte alla comunità scientifica, in particolare ove il consenso in verità è particolarmente coeso, come del caso dell’importanza della sperimentazione animale. In tal modo si accresce il gap tra la comunità scientifica e il cittadino.

Il giorno 18 dicembre nell’edizione delle 20:30 il TG2 ha mandato in onda un servizio proprio sul progetto “lightup”. Il servizio trasmesso è stato costruito in modo fazioso, poco professionale ed attraverso il ricorso ad un’ampia serie di informazioni false, fuorvianti e lesive della dignità dei ricercatori e del loro lavoro. Questo ha prodotto una grave disinformazione dei cittadini.
Il giorno seguente il PTS ha inviato una mail di protesta formale alla RAI (clicca qui per leggere) e di sostegno alle Università (clicca qui per leggere).

Gli Atenei di Torino e Parma ci hanno risposto con la lettera in allegato (clicca qui per leggere) che ci sprona ad andare avanti nella difesa della Scienza, della ricerca e dei ricercatori.
Il servizio del giornalista Piergiorgio Giacovazzo ha rappresentato un punto molto basso della televisione pubblica.
Quarant’anni dopo “Non è mai troppo tardi” condotto da Alberto Manzi, maestro che educò a leggere e scrivere milioni di italiani analfabeti, nella stessa fascia oraria, la televisione pubblica, che avrebbe dovuto fornire un “servizio culturale” come mission, tradisce il cittadino. L’interesse non è più quello di preparare lo spettatore tramite educazione, formazione e informazione, ma lo angoscia, lo emoziona, lo confonde, lo bombarda di “vivisezione” invece che di sperimentazione animale.

Per giustificare la completa assenza del contradittorio, si sostiene che il prof. Marco Tamietto – uno dei massimi esperti di blind sight e direttore del progetto Lightup – abbia rifiutato di presenziare alla trasmissione e che l’Università di Parma abbia negato l’impossibilità di accedere immediatamente nella struttura, accusando indirettavamente di scarsa trasparenza, strutture adibite ad attività di ricerca scientifica. Una situazione paradossale che rieccheggia quanto successo alcuni messi fa, quando alcuni estremisti si sono arrampicati sul tetto delle università per protestare contro la ricerca, rappresentando un’allegoria della situazione attuale, dove l’estremismo sovrasta le istituzioni, la scienza e la conoscenza.

Il servizio è indubbiamente lesivo della dignità e della trasparenza di un Ateneo che, per primo, ha aperto le porte dei propri stabulari e laboratori proprio alle telecamere e ai giornalisti del servizio pubblico soltanto poche settimane prima. Forse l’intento non era informativo ma meramente strumentale, in particolar modo quando viene intervistata una persona come la dr. Candida Nastrucci, che risulta autrice di sole 7 pubblicazioni, l’ultima delle quali nel lontano 2012, nessun lavoro in ambito neuroscientifico e neurofisiologico, tantomeno sul sistema visivo.

Il Patto Trasversale per la Scienza, nell’augurio che il Consiglio di Disciplina RAI prenda gli opportuni provvedimenti, si augura che il servizio televisivo pubblico, corrisposto con le tasse dei cittadini, torni a considerarli come tali e non come meri consumatori, obbligati a rigide convenzioni ideologiche, tramite un’informazione manipolata che vizia le capacità di discernimento e preclude una libera scelta democratica informata.

Non è mai troppo tardi.

HIV/AIDS il PTS mette chiarezza in merito alle ultime evidenze

Il Gruppo HIV/AIDS – coordinato da Guido Poli ed al quale partecipano, tra gli altri, anche i soci fondatori Antonella D’arminio Monforte e Andrea Antinori ha redatto, alla luce dei recenti fatti di cronaca, questo parere riguardo le Infezioni da HIV in laboratorio.

E’ tornato in questi giorni alla ribalta mediatica il caso di una ex-studentessa dell’Università di Padova che ha svolto la propria tesi di laurea in un altro Ateneo in Svizzera dove, con modalità rimaste indefinite, si è infettata con un ceppo di HIV generato artificialmente con tecniche di biologia molecolare operando in un ambiente di biosicurezza di livello 2 (BSL-2) in quanto riteneva di manipolare una variante non infettiva del virus stesso. Il caso, discusso in congressi internazionali e pubblicato su una rivista scientifica importante nel 2016 (1), è tornato alla pubblica attenzione in quanto la giovane vittima ha deciso di fare causa ad entrambi gli atenei di cui sopra e di rendere pubblica la propria situazione di sofferenza e disagio poiché «Abbandonata dalle Università. Nessuna informazione sui rischi…lo faccio per tutti i giovani come me, che consegnano le loro vite nelle mani di chi dovrebbe tutelarle. Perché nessun altro sia costretto ad affrontare il mio calvario», come riportato in un’intervista al Corriere della Sera (2) e ad altri quotidiani.

Come Gruppo PTS dedicato all’infezione da HIV desideriamo intervenire su questa drammatica vicenda per contribuire a fare chiarezza non tanto sulle responsabilità oggettive di quanto accaduto, oggetto di un’indagine dedicata, quanto per ribadire alcune certezze acquisite sul rischio di contrarre l’infezione da HIV ed evitare allarmismi ingiustificati anche se evocati dall’eccezionalità del caso. Prima di entrare nel merito desideriamo però, a nome di tutto il PTS, esprimere solidarietà e affetto alla giovane donna che ha contratto l’infezione in una circostanza in cui non avrebbe dovuto essere esposta a tale rischio.

  1. Il virus HIV, a differenza di altri agenti patogeni (virus della SARS, tubercolosi e molti altri), NON E’ trasmissibile per via aerogena (starnuti, tosse, particelle di saliva disperse in ambienti poco arieggiati). Ciò vale sia per i ceppi virali che circolano nelle diverse aree del mondo sia per i ceppi “artificiali” generati in laboratorio a scopo di ricerca come nel caso in oggetto.
  2. Il virus HIV si trasmette prevalentemente attraverso rapporti sessuali non protetti (essendo il sesso anale la pratica a più alto rischio di trasmissione e quello orale quella a più basso, ma pur sempre presente, rischio), attraverso il sangue infettato o sue componenti, da madre a feto (intra-utero) o a neonato al momento del parto o durante l’allattamento. NON esistono altre modalità di trasmissione del virus!
  3. L’eventuale presenza di lesioni cutanee o mucosali (genitali, orali, intestinali, oculari) facilita grandemente la probabilità d’infezione da HIV.
  4. La prevenzione della trasmissione sessuale di HIV si attua soprattutto con l’uso corretto di un profilattico, come raccomandato dall’OMS, ma è ottenibile oggi anche aderendo alla cosiddetta “PrEP” (profilassi pre-esposizione), ovvero assumendo in modo controllato dall’esperto infettivologo, farmaci prima di un rapporto sessuale con persona sieropositiva. Giova ricordare al riguardo che una persona infettata da HIV, ma aderente alla terapia antiretrovirale di combinazione (cART) e con virus nel sangue (viremia) al di sotto della soglia di rilevamento, NON trasmette il proprio virus nemmeno mediante rapporti sessuali non protetti.
  5. La cART è efficace sia nella prevenzione sia nella cura dell’infezione da ceppi virali circolanti come da ceppi artificiali creati in laboratorio, come nel caso in oggetto. La sua efficacia è dimostrata dal fatto che le persone infettate che la assumono in modo corretto e controllato hanno una speranza di vita di poco inferiore a quella di persone non infettate dello stesso sesso e della stessa età. Ciò ovviamente vale anche per la giovane donna al centro di questa vicenda.
  6. Il fatto che l’infezione da HIV in laboratorio sia stata dimostrata in pochissimi casi al mondo, come in questo caso, nonostante le migliaia di ricercatori che hanno lavorato con questo virus dagli anni ’80 ai giorni nostri, testimonia come la conoscenza e il rispetto delle norme di biosicurezza di livello 3 (camice, doppi guanti, mascherina, protezione oculare, inattivazione chimica e/o al calore di tutto il materiale venuto potenzialmente a contatto con il virus, eliminazione di oggetti taglienti, appuntiti e vetro ed altre misure correlate) sia la migliore garanzia per tutti gli operatori del settore.

Il gruppo HIV del PTS è disponibile a fornire ulteriori chiarimenti a tutti coloro che lo desiderino.

Referenze

  1. A. Soria et al. Occupational HIV infection in a research laboratory with unknown mode of transmission: a case report. Clinical Infectious Diseases 64:810-3, 2017.
  2. G. Viafora. Studentessa infettata dall’HIV in laboratorio durante la tesi: maxi causa a due atenei. Corriere della Sera, 17-12-2019.

La Scienza NON tace

Richiesta di rettifica e pubblicazione su Il Fatto Quotidiano

Con riferimento all’articolo apparso il 28 Novembre sul Fatto Quotidiano a firma di Gianni Barbacetto, intitolato “Ricerche mediche ‘aggiustate’, però la scienza tace”, il Patto Trasversale per la Scienza intende specificare quanto segue.

Innanzitutto, è opportuno ricordare che il Patto, lungi dal tacere, è stato fra i primi a reagire alle notizie di richiesta di archiviazione dei ricercatori indagati dalla procura di Milano, con una lettera aperta che, oltre a denunciare l’assordante silenzio in tema, chiedeva ai vertici di AIRC di fare chiarezza e di dotarsi di regole più stringenti in tema di integrità e alla comunità scientifica italiana di dotarsi di regole chiare di condotta.
Quest’ultima richiesta, in particolare, appare oggi particolarmente importante, proprio in presenza di una difformità di giudizio persino tra Procura e GIP, che pure hanno chiesto e decretato l’archiviazione per gli indagati. È quindi il caso di ribadire che per il PTS, come già dichiarato a luglio, è fondamentale:

1. dotare tutte le istituzioni scientifiche e di ricerca del nostro Paese di un sistema coerente ed omogeneo per la gestione, l’identificazione precoce e la correzione degli eventuali casi di cattiva condotta scientifica

2. far sì che i finanziatori, pubblici e privati, della ricerca scientifica, i quali raccolgono soldi dai cittadini italiani o direttamente o attraverso le tasse, siano essi stessi scevri da conflitti di interesse e dotati di regole chiare per favorire la pratica dell’integrità scientifica

Alla luce poi dei particolari emersi circa le indagini ed il decreto di archiviazione disposto dal GIP, nonché dei commenti apparsi sulla stampa, è necessario ribadire quanto segue.

Innanzitutto, sono alcuni membri della comunità scientifica – non i giornalisti, né la magistratura – ad aver identificato (rendendoli pubblici online) e poi esaminato (nella persona dei periti, appartenenti alla comunità scientifica ed accademica, ma anche di altri esperti che hanno a loro volta esaminato le segnalazioni su siti online dedicati) i casi in esame; dunque è la comunità scientifica che ha messo in moto il meccanismo che dovrà portare alla correzione del record pubblicato, a riprova dei meccanismi di cui la scienza dispone per identificare ed analizzare i propri errori.

Con riguardo poi alle notizie filtrate circa il dispositivo di archiviazione del GIP, il PTS sottolinea quanto segue:
1. nessuno, che non sia membro della comunità scientifica, può giudicare della gravità di un comportamento di violazione dell’integrità di un dato scientifico, visto che solo la comunità scientifica ha le competenze necessarie;
2. compito della magistratura penale è accertare se, in un caso di manipolazione dei dati, vi sia stato un crimine, e non di pesarne la gravità al di fuori del diritto penale, perché se sia “un falso innocuo e innocente”, quando siano escluse condotte criminali, solo la comunità scientifica può stabilirlo;
3. la comunità scientifica ha già cominciato a verificare i casi occorsi nei singoli articoli; questi hanno richiesto già adesso correzioni in almeno 5 degli articoli oggetto di indagine, correzioni occorse a valle dell’analisi tecnica delle immagini in questione da parte di membri esperti della comunità scientifica ed ovviamente condivise almeno dalla maggioranza degli autori dei lavori e dalle riviste;
4. le correzioni di un articolo scientifico non implicano necessariamente frode, ma sono necessarie e non derogabili in tutti i casi di manipolazione (ivi inclusa la duplicazione di dati) accertati; i ricercatori hanno il dovere, con le riviste, di apportare le modifiche opportune (da un corrigendum fino ad una ritrattazione) su ogni articolo che presenti duplicazioni, manipolazioni o altre alterazioni delle immagini o dei dati;
5. nessuno, e meno che mai un giudice, può affermare che, sulla base del fatto che un certo risultato sia stato successivamente replicato o una certa ipotesi scientifica sia poi risultata vera, un dato comportamento manipolatorio sia perdonabile dal punto di vista del metodo scientifico e i dati di un articolo non siano da correggere, sia per errore onesto che per frode;
6. quel ricercatore che, una vota accertato un problema nei dati pubblicati, non procede alle correzioni opportune, ignorando o ostacolando il processo di emendamento necessario, si macchia di cattiva condotta, al pari di chi froda.

Per le ragioni elencate, il PTS auspica che, quanto prima, la comunità scientifica italiana inizi una seria e condivisa discussione sulle regole per indagare e trattare i casi di potenziale cattiva condotta, e che i ricercatori coinvolti dall’indagine correggano al più presto la letteratura scientifica, sia per quel che riguarda i lavori oggetto di indagine, sia per quel che riguarda eventuali altri lavori che dovessero risultare contenere dati problematici.

Pier Luigi Lopalco
Presidente Patto Trasversale per la Scienza