MA NON BASANO LE LORO DECISIONI SULLE EVIDENZE SCIENTIFICHE: PER LA CORTE DI APPELLO DI TORINO ESISTE UN NESSO CAUSALE TRA IL NEURINOMA E L’USO DEL CELLULARE.
Non c’è molto da sperare che la Cassazione ponga rimedio alla sentenza della Corte di Appello di Torino che conferma il giudizio di primo grado del Tribunale di Ivrea: un ex lavoratore della Telecom, che ha passato molti anni al cellulare si è visto riconoscere e confermato il nesso causale tra il suo neurinoma, tumore benigno del nervo acustico e l’uso di quella apparecchiatura in modo “abnorme”. La maggior parte degli studi scientifici fatti in tutto il mondo nel corso degli decenni sugli effetti delle radiofrequenze escludono questo collegamento, la scorsa estate il nostro Istituto Superiore di Sanità assieme all’Enea, al CNR e all’Arpa Piemonte aveva compiuto una ricognizione scientifica includendo ricerche e metanalisi più rappresentative, arrivando al medesimo risultato: l’unico effetto di tenere appoggiato per lungo tempo il cellulare all’orecchio è un lieve riscaldamento della parte, decimi di grado, che niente hanno a che fare con lo sviluppo di patologie quali un tumore. Nello specifico del neurinoma, come ben descritto in un articolo di Gianni Comoretto su Query che trovate qui – https://bit.ly/2RGwYqf , gli studi che sono stati compiuti fin dal 2004 – quindi su cellulari di vecchia concezione, con tecnologie anche diverse rispetto a quelli di oggi – non hanno evidenziato differenza di rischio tra chi non usava il cellulare e chi invece lo faceva in modo “normale”: su quelli che usavano il telefonino in modo “intenso” il rischio aumentava di 2-4 volte, ma in mancanza di effetti conseguenti. Peraltro gli stessi autori di quello studio, 5 anni dopo scrivono: “gli studi finora pubblicati non mostrano un aumento del rischio a 10 anni di uso (del cellulare) per nessun tumore cerebrale o altri tumori alla testa”. A questa conclusione è arrivata anche la IARC, quando ha inserito le radiofrequenze nella categoria dei “possibili” cancerogeni, decisione presa a maggioranza perché gli altri membri del Comitato avrebbero voluto declassarle alla categoria 3, ovvero “cancerogenicità non valutabile”: per un principio di precauzione l’Agenzia dell’OMS ha voluto segnalare la possibilità teorica ma l’improbabilità pratica che le radiofrequenze di un cellulare possano avere effetti neoplastici su chi lo usi. Per capirci, le radiofrequenze si trovano nella stessa lista dell’acqua calda e della caffeina, come fattori capaci di scatenare un tumore.Ma non c’è da sperare in una revisione della sentenza di Torino, dato che la stessa Cassazione aveva ravvisato “almeno un ruolo concausale delle radiofrequenze nella genesi della neoplasia”, e con la sentenza 17438/2012 aveva riconosciuto ad un altro lavoratore che si era rivolto al la Corte di Appello di Brescia una invalidità dell’80% e la conseguente corresponsione dell’assegno a carico dell’Inail. A meno che ovviamente la Suprema Corte non riveda la sua stessa giurisprudenza.Quello che qui ci interessa sottolineare è -ancora una volta- l’impatto che certe sentenze di Tribunale, basate sul principio del “più probabile che non”, hanno sulla società, determinandone paure e comportamenti. Lasciamo perdere che se in questo caso si fosse applicato quel principio alla lettera, l’evidenza ci dice che è “più probabile che non” accada nulla a chi usi un cellulare anche per molte ore al giorno: l’epidemiologia di neurinomi o gliomi è sostanzialmente stabile, da decenni a questa parte. Eppure i cellulari li usano miliardi di persone al mondo, da decenni: anche tumori a lenta crescita si sarebbero intravisti.Il fatto è che a nessuno che non abbia studiato legge viene in mente che quella sentenza riguarda un caso specifico e solo quello, che la prova che si forma in dibattimento può non avere niente a che fare con la scienza, che il magistrato da “peritus peritorum” ha l’ultima parola e può non tenere conto di una perizia che lui stesso ha chiesto a chi più ha ritenuto opportuno coinvolgere, e quasi sempre non sono addetti al settore o professionisti di chiara fama. Lo abbiamo visto con le sentenze di primo grado sui vaccini, i tribunali di Rimini, Salerno, Caltanissetta che avevano stabilito il nesso fra trivalente ed autismo, condannando il Ministero: sentenze per fortuna ribaltate in Appello e poi definitivamente in Cassazione. Ancor prima le sentenze del Pretore di Maglie per la cosiddetta Cura Di Bella, si imponeva alle ASL di rimborsare quel cocktail che secondo la Commissione Bindi non aveva effetti terapeutici, poi quelle di vari Tribunali che costringevano gli Spedali Civili di Brescia ad infondere il famigerato Metodo Stamina, quello che Elena Cattaneo definì “un intruglio” e che la scienza non solo italiana aveva bollato come una truffa.Tutte decisioni di magistrati che riguardavano il singolo caso, ma che hanno fatto nascere in milioni di persone la convinzione che la “multiterapia” Di Bella fosse superiore a chemio e radioterapia “ufficiali”, o che si potesse guarire da drammatiche malattie metaboliche o dalla SLA con l’infusione di “cellule staminali” il cui protocollo è sempre restato segreto, la “cura” Stamina raccontata in televisione come miracolosa ma ostacolata da medici e scienziati corrotti da Big Pharma.Il “libero convincimento” del magistrato è alla base della divisione dei poteri, ed è una prerogativa che va difesa: ma quando da una decisione derivano conseguenze tanto impattanti per il resto della collettività allora bisogna chiedersi quel convincimento quali strade debba seguire per formarsi, per non trasformarsi in arbitrio.La cosiddetta legge Lorenzin ha imposto la presenza di un rappresentante dell’AIFA nei processi in cui si dibatte di vaccini: e questa è una importante anche se non sicura rete di protezione, perché il magistrato non è vincolato al suo parere. Ma quanto meno agli atti resta l’opinione certificata, scientifica di una Istituzione e non solo l’opinione più o meno qualificata del tecnico nominato CTU.Qualcosa del genere occorrerebbe prevedere per altri giudizi in cui si ha a che fare con la salute o la scienza: in quell’aula si celebra il processo ad un caso singolo, ma appena fuori c’è un mondo che ascolta e recepisce quelle conclusioni. Un mondo che non maneggia il diritto, che fa due più due e non sempre conclude che sia quattro, che deciderà di mettere a rischio la propria vita e quella dei propri cari sottraendosi alle vaccinazioni o rinunciando a terapie efficaci basate sull’evidenza scientifica per abbracciare quelle pubblicizzate alla TV. Gente che impatterà sulla collettività infettando di una malattia prevenibile col vaccino chi non poteva vaccinarsi, o perché chiederà allo Stato di finanziare cure immaginarie.Quando si tratta di salute una sentenza fa giurisprudenza per casi analoghi, ma se non è basata sulla scienza rischia di fare danni sociali.