Lettera aperta della comunità scientifica

il PTS ha inviato insieme ad autorevoli istituzioni associazioni e università la lettera aperta promossa da R4L e dall’intera comunità scientifica

Al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella

Al Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte

Al Ministro della Salute, Roberto Speranza

Al Ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi

Egregi Signori,

ci rivolgiamo a Voi con incredulità e sgomento per la situazione in cui versa la ricerca biomedica italiana, osteggiata e minacciata da gruppi di animalisti che nei mesi scorsi hanno bloccato molti rilevanti progetti di ricerca e oggi, di fatto, i lavori parlamentari.

In questi giorni, infatti, sono stati presentati due emendamenti al disegno di legge di Bilancio per il 2021, tesi a correggere alcune storture presenti nel D.Lgs n. 26 del 2014 che, nel recepire la normativa europea in materia di utilizzo di animali per la sperimentazione, ha introdotto divieti ideologici e antiscientifici che non esistono negli altri Stati membri.

Lo scorretto recepimento ha portato il nostro Paese in procedura d’infrazione e messo i nostri ricercatori in una posizione di svantaggio rispetto ai colleghi dell’Unione europea. Si tratta dei divieti alla sperimentazione su sostanze d’abuso (droghe, alcol, ma anche semplicemente i farmaci che superano la barriera encefalica) e xenotrapianti (trapianti di organi da animali a uomo) che sono ingiustificati e dannosi per il progresso scientifico. Come detto gli emendamenti miravano a portare sul tavolo la discussione sulla possibilità di rimuovere queste storture, aprendo così un dialogo costruttivo con l’Europa che potesse condurre alla chiusura della procedura di infrazione e, allo stesso tempo, riportare i ricercatori italiani nelle stesse condizioni dei colleghi nel resto del mondo. È da notare come questa richiesta sia stata avanzata dall’intera comunità scientifica tramite diversi documenti presentati nel tempo dalla Accademia dei Lincei, dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV), dal Ministero della Salute e, da ultimo, della Conferenza dei Rettori (CRUI).

Ebbene, il Parlamento italiano non ha ritenuto nemmeno di ammettere alla votazione tali emendamenti che, peraltro, proponevano anche il rifinanziamento di studi su metodologie complementari/alternative alla sperimentazione animale. I metodi complementari sono, infatti, frutto del lavoro di scienziati e ci preme ricordare che, una volta validati, sono ampiamente utilizzati e preferiti agli animali.

Ci appelliamo, quindi, alla Vostra sensibilità ed attenzione perché venga messa la parola fine a questa situazione che danneggia la ricerca, come peraltro ribadito con autorevolezza proprio in questi giorni dalla Senatrice a vita Elena Cattaneo, la quale, intervenendo in Aula al Senato, ha affermato: “157 i candidati vaccini anti Covid, nessuno esisterebbe senza sperimentazione animale. Ne parlo a beneficio di tutti perché nessuno in quest’Aula possa dire: non sapevo, non avevo capito”.

Concludiamo questa lettera aperta, ricordando in quattro sintetici punti perché quella degli scienziati non è una posizione anacronistica, ma una necessità e un diritto:

 • La ricerca scientifica è un valore fondamentale per il progresso sociale, culturale ed economico del nostro Paese. È indispensabile rispettare e sostenerne i fondamenti metodologici. È necessario che la libertà della ricerca, condotta nel rispetto dei principi etici stabiliti dai codici istituzionali, nazionali e internazionali, venga riaffermata come elemento valoriale fondante di una società democratica basata sulla conoscenza.

 • La sperimentazione animale rientra tra i metodi e mezzi necessari per arrivare a terapie efficaci e sicure. L’uso di animali è previsto nell’ultima fase della sperimentazione che precede le prove di farmaci e terapie sull’uomo, la cosiddetta “ricerca preclinica”, ed è indispensabile nella ricerca di base, in particolare nel campo degli studi sul cervello e le sue patologie.

 • In Italia, la ricerca con animali è oggetto di attacchi, anche violenti e diretti a singoli ricercatori, da parte di associazioni animaliste, fondati su affermazioni false e non supportate da alcuna evidenza scientifica. Campagne mediatiche e denunce alla magistratura su attività di ricerca approvate dalle autorità preposte hanno portato, in molti casi, ad una ingiusta pubblica denigrazione di ricerche di valore scientifico e sociale.

 • La peggiore conseguenza di questi divieti antiscientifici è la fuga dei giovani all’estero. Va infatti evidenziato che, sulla base dei progetti European Research Council comunicati ieri, 47 hanno un titolare italiano ma, di questi, ben 30 si svolgono all’estero, dove si trovano tutele e condizioni di lavoro più adeguate.

In calce le firme, oltre a quella di Research4Life che promuove questa iniziativa, di molte tra le maggiori istituzioni scientifiche italiane, tutte unite da un’unica necessità, quella di poter lavorare seriamente e con impegno per il progresso scientifico e la cura delle malattie.

Ringraziando per l’attenzione, porgiamo i nostri migliori saluti.

Assobiotec Associazione Luca Coscioni (ALC) Farmindustria Federazione Italiana Scienze della Vita (FISV) Federazione SPERA-Sperimentare per curare Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro (AIRC) Fondazione Telethon Fondazione Veronesi Gruppo 2003 Gruppo Italiano per lo Studio della Neuromorfologia (G.I.N.S.) IRCCS-Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri (IRFMN-Milano) IRCCS-Ospedale San Raffaele (OSR-Milano) Istituto Luca Coscioni Istituto Nazionale di Genetica Molecolare (INGM-Milano) Patto Trasversale per la Scienza (PTS) Research4Life Scuola Normale Superiore Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia Società Italiana di Biofisica e Biologia Molecolare (SIBBM) Società Italiana di Biologia Sperimentale (SIBSperimentale) Società Italiana di Embriologia e Ricerca (SIERR) Società Italiana di Farmacologia (SIF) Società Italiana di Fisiologia (SIF) Società Italiana di Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES MR) Società Italiana di Neuroscienze (SINS) Società Italiana Tossicodipendenze (SITD) Società Italiana di Tossicologia (SITOX) Università degli Studi dell’Aquila Università degli Studi di Cagliari Università degli Studi di Catania Università degli Studi di Ferrara Università degli Studi di Firenze Università Humanitas Università degli Studi di Messina Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Università degli Studi di Milano Bicocca Università degli Studi di Milano Università degli Studi di Perugia Università degli Studi di Pisa Università del Piemonte Orientale Università degli Studi di Siena Università Vita-Salute San Raffaele Università degli Studi di Torino Università degli Studi di Trento

Tutti i rettori delle università italiane sull’importanza della sperimentazione animale

Nota di Roberto Caminiti e Marco Tamietto

La sperimentazione animale è indispensabile per la ricerca di base e per la scoperta e validazione di terapie efficaci e sicure sull’Uomo. Lo ribadiscono i Rettori di tutte le Università italiane in un documento approvato all’unanimità dalla Conferenza dei Rettori (CRUI).

Il Patto Trasversale per la Scienza esprime grande apprezzamento e soddisfazione per un documento coraggioso e netto, che ribadisce anche la piena validità scientifica, etica e giuridica del progetto LIGHTUP dei prof. Tamietto e Bonini, soci del PTS.

I Rettori stigmatizzano anche gli atteggiamenti intimidatori ed ostruzionistici di molte associazioni animaliste, e le incredibili posizioni della Sezione III del Consiglio di Stato, che quel progetto sta bloccando ed osteggiando, pur non avendo alcuna competenza scientifica in merito. “Fin quando la libertà scientifica e la sperimentazione animale verranno ostacolate nelle aule di tribunale, scrivono i Rettori, la scienza continuerà ad essere menomata, paralizzata, ed il nostro Paese reso sempre più debole e più povero”.

Scarica il documento della CRUI cliccando qui

Statistica fra le righe

Riflessioni sui metodi che molti danno per scontati

di Carlo Di Pietrantonj A e Arcangelo Liso B

La saggezza popolare ci insegna che il diavolo si nasconde nei dettagli, infatti non di rado il difetto che invalida un ragionamento non è rilevabile a prima vista, anzi a prima vista sembra tutto perfettamente logico. Spesso la sorgente di questi difetti invisibili è la tendenza a considerare una tecnica o una regola sempre valida solo perché lo è in una apparentemente ampia serie di circostanze a noi familiari. Un po’ come quando ci fidiamo dell’esperienza dei pochi amici e parenti, i quali non rappresentano quasi mai un campione che in termini tecnici si definisce “rappresentativo”, ovvero non forniscono quasi mai una descrizione rappresentativa della reale varietà dei fenomeni e della loro concreta possibilità di verificarsi.

L’interesse generale per i numeri ed il calcolo delle probabilità è sicuramente aumentata in questi mesi di pandemia. E anche molti politici ormai cercano di argomentare le loro posizioni con dei numeri, talvolta con competenza, purtroppo non dirado piegandoli per i propri scopi dialettici, fino al punto di paragonare la probabilità di essere colpiti da un meteorite con la mortalità da virus Covid19. Come è possibile non fare un uso spregiudicato dei numeri? Come possiamo non farci guidare dalle impressioni, ma affidarci invece all’analisi del contesto e delle regole?

Prendiamo il famoso paradosso delle patate dimenticate esposte al sole(1), all’inizio pesavano 1 quintale (100Kg)ed erano per il 99% acqua. Dopo un giorno al sole l’acqua si è ridotta ed ora sappiamo che rappresenta il 98% del peso. Si ma di quale peso? Cioè quanto pesano ora le patate?Pochi risponderanno che il peso complessivo delle patate si deve essere necessariamente dimezzato. I numeri 99 e 98  inducono all’errore, sembrano vicini se manca l’analisi e il ragionamento(per i più impazienti la risposta è di seguito riportata: prima dell’esposizione al sole la parte “secca” pesava 1 Kg ovvero era l’1% del peso totale, dopo l’esposizione al sole diventa il 2% del nuovo peso totale, ma non si è modificata, quindi ora 1 Kg è il 2% del nuovo peso).

E così se leggiamo che le auto elettriche in circolazione sono raddoppiate, forse dovremmo chiederci: rispetto a quale numero di partenza? Erano forse solo 5 e ora sono solo 10? O erano un discreto numero e ora sono molte di più?

Trappole analoghe si presentano in statistica o in epidemiologia dove la valutazione del denominatore può essere determinante, ad esempio quando dobbiamo confrontare i conteggi di un numero di eventi (ad es. nascite, decessi, malattia, ricorso ad un servizio sanitario) calcolati in differenti aree geografiche (comuni, distretti,province, regioni) oppure in differenti strati (classi di età, genere, titolo di studio, condizione di salute).

Paragonare i conteggi assoluti fra aree o strati in generale non è lecito, poiché le differenti numerosità dei casi fra aree (o strati) sono dovuti (in prima istanza) alle differenti dimensioni delle popolazioni che li hanno generati, pertanto l’indicazione generale è che il confronto può essere fatto solo fra i valori ottenuti dividendo il numero dei casi per la numerosità della popolazione che li ha generati, questo valore viene moltiplicato x 100, oppure x1000 o x100000, in questo modo esprime il numero di “casi attesi” ogni 100 1000 100000 individui appartenenti a quella popolazione, in un certo senso l’espressione “casi x 1000” indica una sorta di unità di misura.

Sottolineiamo che la popolazione posta al denominatore deve essere costituita da tutti e soli gli individui che avrebbero potuto generare gli eventi di interesse (talvolta definita popolazione generatrice dei casi o popolazione a rischio se l’evento è “sfavorevole”), in caso contrario il valore (del rapporto casi/popolazione) verrebbe artificialmente “diluito”(ridotto) in modo proporzionale alla dimensione della frazione di popolazione che non potrebbe generare quei casi (popolazione non a rischio), rendendo il confronto fra aree (o strati) distorto.

Infatti ad esempio (estremo) se si vuole confrontare il numero dei casi di disturbi che interessano solo la popolazione maschile, fra distretti sanitari di una regione, in questo caso dividere per la popolazione generale del distretto (senza distinzione di genere) sarebbe un errore. Infatti,se si usa come denominatore la popolazione generale la proporzione dei casi di quei disturbi verrebbe “diluita” proporzionalmente alla dimensione della popolazione femminile (popolazione non a rischio), pertanto la differenza della proporzione fra un distretto e l’altro rischia di dipendere dalla differente distribuzione fra maschi e femmine anziché da una reale differenza di rischio di malattia fra i distretti. Quindi per non cadere nella trappola è opportuno, in questi casi, eseguire il confronto dividendo solo per la popolazione di genere maschile (la popolazione a rischio).

Altrettanto insidiosa è la situazione nella quale si desidera confrontare il numero di eventi in diverse aree dove ogni individuo della popolazione di quell’area è “a rischio” per quell’evento, ma in misura differente a seconda dello strato di popolazione in cui si trova. L’esempio più comune è la mortalità, non esistendo gli immortali tutti sono a rischio di morire ma tale rischio aumenta con l’età, pertanto il numero dei decessi in una regione a prevalenza di individui anziani non può essere confrontato con il numero dei decessi avvenuti in una regione la cui popolazione a prevalenza di soggetti giovani, né in termini assoluti né utilizzando come denominatore solo la numerosità delle rispettive popolazioni generali. Infatti le differenze fra le proporzioni di decessi tra le varie regioni potrebbero essere determinate più dalla differente distribuzione per età più che da una reale differenza di rischio di decesso. In questo caso i confronti fra aree possono essere fatti suddividendo la popolazione e i soggetti che hanno presentato l’evento in un numero conveniente di classi di età di opportuna ampiezza, in modo da eseguire il rapporto decessi/popolazione all’interno delle classi di età, così sarà possibile eseguire il confronto fra classi di età corrispondenti tra le diverse regioni.

Nell’esempio con dati fittizi illustrato in figura 1 possiamo osservare dalla colonna Totale che il numero dei casi (ad esempio decessi) nella regione A è più grande rispetto alla regione B, anche il valore del rapporto con la rispettiva popolazione regionale sembra confermare questa osservazione, tuttavia l’analisi per classi di età rivela che la proporzione dei casi (rispetto alla popolazione specifica) è sistematicamente più grande per la regione B rispetto alla regione A.

Qui il diavolo che si annida nel denominatore (popolazione generale) è la differente distribuzione d’età delle due popolazioni, nella regione A circa il 25% della popolazione è 65 anni mentre nella regione B solo il 5% della popolazione è oltre i 65 anni, però in entrambe le popolazioni la maggior parte dei decessi avviene nella classe 65 anni, infatti nella popolazione B il maggior rischio (che si verifichi un caso) si concentra nell’ultima classe di età (come si osserva dal grafico nella figura 1). Quindi il totale dei casi nella regione A sono in maggioranza generati dall’ultima classe di età cosi come il totale della popolazione (A) è per lo più costituito da individui appartenenti all’ultima classe di età, mentre per la regione B sebbene la maggior parte dei casi si concentri nell’ultima classe di età, la popolazione generale è in minima parte costituita da individui ultra 65 anni, pertanto il rapporto “totale dei casi su popolazione generale” di fatto viene “diluito” dalla frazione più numerosa di popolazione sotto il 65 anni che contribuisce meno al numero dei casi.

Un errore analogo ha tratto in inganno alcuni commentatori che nelle prime fasi dell’epidemia hanno confrontato il tasso di letalità per COVID19 registrato in Italia con il tasso di letalità in Corea del Sud. Il tasso di letalità è il rapporto fra il numero dei decessi fra casi confermati di COVID19 e il numero totale dei casi confermati di infezioni da COVID19, negli articoli in lingua inglese indicato come CFR (Case Fatality Rate).

Possiamo replicare questo confronto utilizzando i dati dei casi confermati in Italia (al 7 aprile) pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (2) e i casi confermati in Corea del Sud pubblicati su JPAM (3) relativi al medesimo periodo. Sulla base di queste informazioni il CFR (o tasso di letalità) in Italia risultava pari al 12.2% mentre in Corea del Sud risultava pari al 1.9%, quindi, apparentemente il tasso di letalità in Corea era inferiore a quello italiano.Bisogna sottolineare che nonostante la grande differenza fra i due CFR non è possibile concludere che in Italia il virus è più letale che in Corea poiché, come già notato da altri autori (4), le distribuzioni del numero dei casi confermati in Italia e in Corea del Sud si mostrano così differenti che da rendere inconfrontabili i due CFR.

Infatti, dalla figura 2 è possibile notare che il 73% dei casi confermati (al 7 aprile) in Italia si concentra nella popolazione >49 anni, mentre per la Corea del Sud solo il 42% dei risultano in quella classe di età, tuttavia in entrambe le nazioni il 98% del numero dei decessi era a carico di pazienti >49 anni, così come è stato accertato anche da altri autori che il maggior rischio di mortalità per COVID19 è a carico delle classi di età superiori (4) (5).

Quindi come nell’esempio in figura 1 la differenza di CFR è in parte dovuta a l’effetto di “diluizione” causato dalla differente distribuzione per età dei casi confermati (il denominatore) fra Italia e Corea del sud. In Corea la maggior parte dei decessi avviene, come in Italia, nelle classi di età superiori, ma la maggior parte del denominatore (i casi confermati) è costituito da soggetti appartenenti alle classi di età inferiori ai 50 anni, ovvero quelle a rischio più basso, in tal modo il rapporto “grezzo” decessi / casi confermati risulta diluito dalla frazione dei casi con un rischio di decesso inferiore.

Ovviamente a differenza dell’esempio 1 costruito a fini didattici, qui nel confronto fra CFR della Corea del Sud e CFR dell’Italia possono aver contribuito alla differenza, oltre al meccanismo illustrato sopra, anche le differenti strategie adottate per eseguire i testi virologici e la diversa tempistica dei test virologici le quali determinano il diverso grado di sottostima delle popolazione dei casi confermati (la tendenza a sottostimare il numero dei casi confermati tende a produrre sovrastime dei valori di CFR), infine anche i comportamenti e atteggiamenti fra generazioni possono influenzare il valore del CFR(4).

Un ulteriore esempio di allucinazione procurata dai denominatori si verifica quando siamo interessati a studiare come varia nel tempo la distribuzione del numero dei casi rispetto ad una loro caratteristica, si osservi ad esempio la figura 3 dove con dati fittizi sono rappresentate le percentuali per tipo di caso (sul totale dei casi) e il loro andamento nel tempo, a prima vista (il lettore distratto) potrebbe concludere che il “numero dei casi” di tipo 1 e 3 stiano aumentando mentre si stanno riducendo i casi di tipo 2, invece osservando la tabella sottostante, la numerosità complessiva dei casi si sta riducendo così come il conteggio dei singoli tipo di casi, sempre osservando la tabella possiamo notare che i casi di tipo 1 e di tipo 3 si riducono di 5 e 10 unità rispettivamente  alla settimana, mentre i casi di tipo 2 si riducono di 150 unità alla settimana. La riduzione più rapida dei casi di tipo 2 per contrasto fa accrescere le frazioni degli altri due tipi di caso sebbene in termini assoluti tutti i tipi si riducono. La figura 2 mostra che effettivamente nel tempo la distribuzione dei casi per tipologia si modifica e man mano si riduce la frazione (il peso sul totale) dei casi di tipo 2 e per contrasto si accresce il peso di quelli di tipo 1 e 3, tuttavia leggere questo grafico come se il denominatore fosse costante nel tempo trae in inganno rispetto alle reali tendenze dei valori assoluti.

In conclusione abbiamo illustrato alcuni aspetti che vanno tenuti in mente quando vogliamo confrontare fra loro la frequenza del numero dei casi calcolati all’interno di gruppi o strati, abbiamo sottolineato che in generale il confronto può essere fatto dividendola frequenza strato o gruppo specifica per la popolazione che ha generato quei casi (in ogni strato o gruppo). D’altro canto abbiamo visto che la sola ispezione delle proporzioni può essere ingannevole, in un certo senso il denominatore in sé può ingannare soprattutto se si perdono di vista i valori assoluti.

In un mondo dominato dalla comunicazione rapida ed emotiva, il nostro invito all’analisi attenta dei numeri e dei denominatori potrà sembrare naïve per alcuni. Eppure l’analisi attenta dei dati ha cambiato radicalmente i destini della storia e ha consentito per esempio agli alleati di vincere la seconda guerra mondiale agendo a dispetto delle impressioni dei militari coinvolti (6). Mai nella storia abbiamo avuto a disposizione una quantità di dati e di fatti come nella nostra epoca, essi hanno bisogno di riflessione per essere valutati razionalmente ed utilizzati nelle decisioni.

A. Dirigente Analista Servizio Regionale Epidemiologa SeREMI – ASL Alessandria;

B. Professore Ordinario, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Foggia

Bibliografia

  1. Paulos, J. A.A Mathematician Reads the Newspaper. New York: Basic Books, p.81, 1995
  2. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Infografica_7aprile%20ITA.pdf
  3. Joo H, Kang Y, COVID-19 Infection in South Korea: Focusing on Age Distribution of Confirmed Cases. J Pure ApplMicrobiol. 2020;14(suppl 1):721-723. doi: 10.22207/JPAM.14.SPL1.08.https://microbiologyjournal.org/covid-19-infection-in-south-korea-focusing-on-age-distribution-of-confirmed-cases/
  4. Backhaus A. Common Pitfalls in the Interpretation of COVID-19 Data and Statistics. Inter Econ. 2020; 55(3): 162–166. Published online 2020 Jun 7. doi: 10.1007/s10272-020-0893-1. PMCID: PMC7276107. PMID: 32536714. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7276107/
  5. https://www.cdc.gov/coronavirus/2019-ncov/covid-data/investigations-discovery/hospitalization-death-by-age.html
  6. Jordan Ellenberg. 2014.“How Not to Be Wrong: The Power of Mathematical Thinking” Penguin Group.

Mozione a sostegno dei ricercatori

Il PTS ringrazia il Senato Accademico dell’Università degli Studi di Firenze che, durante l’Adunanza di oggi, ha accolto la mozione a sostegno dei ricercatori del progetto ERC “Light-up” e della sperimentazione animale.

Il Senato accademico dichiara che la sperimentazione animale rappresenta ad oggi un approccio indispensabile e insostituibile per lo sviluppo di terapie farmacologiche e chirurgiche per gravissime patologie. La vicenda mediatica, gli attacchi anche personali ai ricercatori e infine il caso giuridico del progetto Light-up espone tutta la ricerca italiana e non solo quella biomedica, vista l’ampia interdisciplinarietà del tema al rischio di vedere vanificati gli sforzi di progettualità, impegno di giovani ricercatori, sviluppo e attrazione di risorse nonostante la rigorosa applicazione delle normative europee, italiane e istituzionali in tema di benessere animale.

Il Senato Accademico auspica che alla prossima riunione della CRUI il Rettore trasmetta il sostegno del Senato accademico dell’Università di Firenze ai ricercatori impegnati nel progetto ERC “Light-up” e più in generale (il sostegno) alla sperimentazione animale, che ogni giorno si dimostra essenziale per il progresso della ricerca italiana. Sottolineando l’importanza del principio di libertà della ricerca.

Clicca qui per leggere la mozione

Plasma Iperimmune

Solitamente non condividiamo i post dei membri del nostro direttivo o dei nostri soci, ma questa vicenda del plasma iperimmune e dei servizi de Le Iene è importante.
Lo facciamo prima di tutto in difesa dei cittadini, perché non meritano, in piena pandemia, di avere letture della realtà prive di ogni fondamento da fonti di cui si fidano e continuano a fidarsi. Lo facciamo in difesa della scienza e del metodo scientifico che non può essere vilipeso da chi lo ignora e tirato per la giacchetta per dimostrare tesi preconcette. Infine lo facciamo anche in difesa del vero giornalismo di inchiesta che, quando parla di medicina, si basa sui dati e sul metodo scientifico.

 Plasma Iperimmune (di Antonella Viola)

C’è in giro un servizio pseudo-giornalistico che vorrebbe dimostrare come la terapia col plasma iperimmune sia la cura a portata di mano per il COVID-19. Il servizio mostra ospedali che la stanno usando e chiede ai medici se tra i pazienti che l’hanno ricevuta ci sono stati morti. Poi chiede ai pazienti guariti se la terapia ha funzionato e loro rispondono di sì, perchè subito dopo si sono sentiti molto meglio. Ecco come distruggere il metodo scientifico in una manciata di minuti. Ricordiamo che questi pseudo-giornalisti (Le Iene) sono gli stessi che anni fa proposero analoghi servizi a dimostrazione (secondo i loro canoni) che Stamina, la terapia-truffa di Vannoni, funzionava. E misero alla gogna uno scienziato di grandissima reputazione e serietà come Paolo Bianco. In modo analogo, nel servizio sul plasma, il bersaglio è Roberto Burioni, ma a rappresentare tutta quella classe di “esperti” che prima di dire che un farmaco o una terapia funziona chiedono le prove.
Andiamo quindi a vedere cosa sappiamo di questa terapia.
Come sappiamo ormai tutti, si basa sull’utilizzo della parte liquida del sangue (che contiene anche anticorpi) di persone che sono guarite dal COVID-19. Si prende il sangue, si separa il plasma e si utilizza per i pazienti, cercando di fornire loro un’arma in più: gli anticorpi prodotti da chi è già guarito. In linea di principio, potrebbe funzionare, ma anche no. Questo perché ci sono moltissime variabili in gioco; per nominare le più importanti: la concentrazione di anticorpi neutralizzanti nel plasma donato, la concentrazione di anticorpi nel sangue del paziente, lo stato infiammatorio/immunitario del paziente, la tempistica e il dosaggio di somministrazione, lo stadio della malattia. Per questi motivi, è molto difficile capire se la terapia funziona, perché in assenza di protocolli standardizzati (concentrazione di anticorpi fissa, condizione del paziente, modalità e tempi di somministrazione) la variabilità è troppo alta. L’unico modo per valutarne l’efficacia e la sicurezza è attraverso i soliti studi clinici controllati randomizzati, quelli in cui c’è un protocollo ben definito e si confrontano pazienti in cui si usa il plasma con pazienti di controllo. Cosa sappiamo sulla base degli studi esistenti? Che non c’è evidenza scientifica che il plasma iperimmune sia di beneficio per i pazienti. L’analisi dettagliata di tutti gli studi effettuati finora da parte della Cochrane (un’organizzazione internazionale che ha lo scopo di valutare gli interventi sanitari) conclude che i dati non sono sufficienti per suggerire la terapia con il plasma come efficace nella cura dei pazienti COVID-19.
Un servizio come quello trasmesso da Le Iene è quindi molto pericoloso: prima di tutto mina le basi della ricerca scientifica basata sulle prove; poi, genera aspettative e dubbi nella popolazione, che, come succedeva con Di Bella o con Stamina, vuole essere curata col plasma iperimmune e non capisce quindi perché molti ospedali non lo utilizzino. E da qui rabbia o panico.
La raccomandazione ai pazienti e ai loro familiari è di non cadere in queste trappole che hanno come unico scopo quello di fare audience e polemica. Non c’è alcun motivo per cui io o altri colleghi dovremmo negare una cura se efficace: per quanto mi riguarda, non sono mai stata pagata da un’industria farmaceutica, non ho rapporti di alcun genere con i produttori di farmaci o vaccini o anticorpi monoclonali. Saremmo tutti felici di poter dire che il plasma iperimmune funziona ed è uno strumento in più per affrontare il virus, e forse un giorno lo potremo comunicare con entusiasmo. Ma per il momento, dobbiamo basarci sui fatti e non creare false aspettative: non ci sono evidenze che questa terapia funzioni. Servono studi controllati e randomizzati per arrivare presto ad una conclusione definitiva.
Se oggi abbiamo farmaci che ci curano, vaccini che ci proteggono e terapie innovative contro malattie che reputavamo incurabili è solo grazie all’applicazione della scienza e del suo metodo, senza scorciatoie. Chi cerca scorciatoie, chi non rispetta i tempi e i metodi della ricerca scientifica, danneggia la salute pubblica, ci mette tutti in pericolo. Come è accaduto in passato, anche con l’aiuto de Le Iene.

Qui il documento del Cochrane: https://bit.ly/3faUcjr

L’appello di Giuseppe Ippolito e altri 15 scienziati europei

Il PTS approva e sottoscrive l’appello di Giuseppe Ippolito e altri 15 scienziati europei, pubblicato recentemente su Nature, per la realizzazione di un network europeo che faccia da raccordo alle agenzie nazionali deputate alla sanità pubblica nell’ottica della “preparedness” ad attuali e futuri pericoli pandemici. Lo “Europe-wide National Reference Centre for Infectious Diseases” avrebbe tra le responsabilità la sorveglianza epidemiologica e la capacità di reazione in tempi rapidi, la cooperazione tra enti pubblici nazionali e internazionali, la formazione e l’informazione relative a protocolli clinici e la formazione di personale qualificato per l’implementazione di test diagnostici su larga scala, l’incremento della capacità dei laboratori finalizzati all’identificazione di nuovi patogeni e il coordinamento delle attività di ricerca correlate.

Il Centro dovrebbe operare coordinandosi con altri enti europei quali la EU-BARDA “Biomedical Advanced Research and Developent Authority” e lo ECDC “European Centre for Disease Prevention and Control”.

L’iniziativa prende spunto dal piano di riforma dei sistemi dell’Unione Europea grazie ad un finanziamento di 750 miliardi di € definito operativamente “recovery plan” (https://www.consilium.europa.eu/en/policies/eu-recovery-plan/).

COVID: LE SCUOLE NON MOLTIPLICANO LE INFEZIONI

L’ANALISI DEL PTS SUI DATI DISPONIBILI

Nota del Presidente del PTS – prof. Guido Poli

La ripresa delle attività scolastiche in presenza è coincisa con una ripresa generale e preoccupante dell’epidemia. La domanda centrale è se le scuole siano “vittime” dell’epidemia in corso o ne siano attivi moltiplicatori. La sfasatura temporale dell’apertura delle scuole in diverse aree ha consentito a Enrico Bucci e Antonella Viola di analizzare i dati che inequivocabilmente, almeno nei limiti del primo mese di osservazione, scagionano le scuole come moltiplicatori d’infezione.

Enrico Bucci ed Antonella Viola, membri del direttivo del PTS hanno condotto una analisi sulla base dei dati disponibili per ricostruire l’andamento delle infezioni nelle scuole, al fine di rispondere al seguente quesito: possono le scuole essere considerate un luogo particolarmente rischio, sulla base dei dati disponibili?

Risultati in breve.

Dalla riapertura delle scuole, è iniziato il monitoraggio dei casi di positività a SARS-CoV-2 sia tra gli studenti che fra il personale scolastico.

I dati di analisi dell’incidenza nel tempo, cioè la dinamica di propagazione del virus nelle scuole, non è finora stata studiata in dettaglio, soprattutto a causa della grave mancanza dei dati necessari, i quali sono stati certamente raccolti ma non messi a disposizione né, per quanto se ne sa, utilizzati.[1]

L’analisi presentata qui di seguito tenta di ricostruire l’andamento delle infezioni nelle scuole, al fine di rispondere al seguente quesito: possono le scuole essere considerate un luogo particolarmente rischio, sulla base dei dati disponibili?

Per rispondere, si sono utilizzati due approcci indipendenti: uno direttamente basato sui dati disponibili per le scuole, ed uno volto a cercare effetti della riapertura sulle curve epidemiche regionali, confrontando regioni che hanno aperto prima con regioni che hanno aperto dopo,

Nonostante le limitazioni, principalmente dovute alla difficoltà nel reperire i dati necessari e alla correlata difficoltà nel controllare per eventuali bias di campionamento, le conclusioni ottenute sono complessivamente le seguenti.

  1. I dati considerati non supportano un ruolo delle scuole come “moltiplicatore” di infezioni
  2. I dati considerati mostrano che le scuole non sono più protette del resto della comunità
  3. Il tasso di infezione scolastica appare seguire quello della comunità circostante
  4. La probabilità di infezione in una scuola non è significativamente diversa da quella della società nel suo complesso

Naturalmente, questi risultati valgono nel momento attuale e nelle condizioni di sorveglianza attuali, ed anzi si suggerisce di ripetere questa o analisi più raffinate in presenza di dati di maggior consistenza e maggior qualità di quelli reperiti fino a questo momento.

Raccomandazioni.

Come detto, i nostri dati suggeriscono che non al momento non esistano motivi per evocare la chiusura delle scuole più di quanto non ve ne siano per un lockdown dell’intera società, poiché non sembra ascrivibile alla scuola l’aumento dei contagi. Al contrario, la scuola è fondamentale per la formazione, la socialità, lo sviluppo e il benessere dei bambini e dei ragazzi e la sua chiusura causerebbe danni gravissimi alle future generazioni e al Paese, ivi compresi danni di salute, come riportato in letteratura scientifica.

Al fine di proteggere la scuola dal diffondersi del contagio, è però urgente intervenire sulle regole e sulle procedure per la tracciatura ed il contenimento di eventuali focolai scolastici.

Innanzitutto, ricordiamo che al momento in Italia vi è un’inaccettabile disparità di indicazioni da regione a regione; questa deve essere abbandonata, in favore di una procedura unica.

In secondo luogo, la diagnostica in ambio scolastico deve essere anche essa uniformata e potenziata, attraverso l’introduzione di test rapidi antigenici e la procedura di pooling, in modo da evitare di affaticare ulteriormente il sistema diagnostico nazionale, già sotto stress per la ripresa epidemica in atto.

Fatte queste premesse, ricordiamo di seguito alcuni tra i punti che consideriamo più importanti.

Studio numero 1: l’andamento del contagio nelle scuole di alcune aree geografiche selezionate.

Grazie all’analisi delle fonti giornalistiche che riportano le dichiarazioni delle corrispondenti autorità sanitarie, è stato possibile reperire alcuni dati per quel che riguarda il numero di positivi nel tempo riscontrati nelle scuole della provincia di Milano, di quella di Bergamo e dell’intera regione Lazio.

I dati crudi cumulati, normalizzati per 100.000 unità di popolazione scolastica (intendendo la somma degli studenti, del personale docente e di quello tecnico-amministrativo) sono rappresentati di seguito.

Come è possibile notare dalla figura, per tutti e tre i gruppi di scuole considerati si osserva una crescita esponenziale del numero di casi cumulati nel tempo (e, corrispondentemente, dell’incremento di casi registrati).

Per sapere se le scuole costituiscono ambiente di particolare contagio, è necessario confrontare la crescita nel tempo del numero di casi positivi nelle scuole a quella registrata nella corrispondente area geografica. Tuttavia, si pone preliminarmente il problema di valutare se il campionamento all’interno delle scuole sia quantitativamente paragonabile a quello che avviene all’esterno delle scuole; un eventuale sottocampionamento porterebbe infatti a risultati artificiosamente più bassi nelle scuole rispetto a quelli sulla popolazione.

Per quel che riguarda Bergamo, si dispone fortunatamente dei tamponi effettuati nelle scuole in diversi intervalli di tempo a partire dal 14 settembre. In mancanza dei dati per l’intera provincia di Bergamo, la percentuale di soggetti testati fra i membri della popolazione scolastica di quella provincia può essere paragonata alla percentuale di testati fra gli abitanti dell’intera Lombardia.

Il risultato è riportato di seguito.

Come si può notare, almeno per le scuole di Bergamo non sembra che si sia sottocampionata la popolazione scolastica rispetto alla popolazione della regione in nessuno dei periodi considerati; inoltre, si osserva come la percentuale di test effettuati nelle scuole aumenti e diminuisca in corrispondenza degli aumenti e delle diminuzioni dei test a livello regionale, con una correlazione che è buona escluso il periodo iniziale, in cui si effettuavano meno test nelle scuole per ovvi motivi di avviamento. Questo tipo di semplice analisi, se esteso opportunamente a tutti i dati sulle scuole in possesso di ATS e regioni, potrebbe rassicurare almeno circa l’assenza del più grossolano fra i bias di campionamento; nell’ipotesi che ciò che avviene in Lombardia e a Bergamo non sia troppo diverso da quanto avviene in altre regioni d’Italia, passiamo quindi all’analisi che più ci interessa, ovvero alla comparazione delle percentuali di infezioni della popolazione scolastica rispetto alla popolazione di riferimento.

Come si può notare dai grafici, in cui si riporta il numero medio giornaliero di casi per 100.000 nelle scuole e nell’area di riferimento per i periodi indicati, le scuole (linee blue) non presentano mai un andamento peggiore rispetto alla popolazione complessiva.

La piccola discrepanza (non significativa) per Bergamo è spiegabile con il noto ritardo nell’esecuzione dei campioni nella popolazione rispetto all’immediatezza con cui ciò è stato fatto nelle scuole[2].

L’apparente deviazione (in meglio) delle scuole milanesi rispetto alla popolazione globale è invece spiegabile con gli effetti di saturazione del sistema di diagnosi e tracciamento dell’ultimo periodo, che hanno spostato sempre più i tamponi verso l’indagine clinica, abbandonando quella epidemiologica[3].

Infine, la corrispondenza fra infetti nelle scuole e sul totale osservata nel Lazio rinforza l’idea che, in sostanza, le scuole rappresentino solo una particolare finestra di osservazione all’interno di una popolazione più grande.

RISULTATO DELL’ANALISI:

Nei tre campioni esaminati (Provincia di Milano, Provincia di Bergamo, Regione Lazio) la circolazione del virus nelle scuole non appare superiore a quanto avviene nel complesso nella comunità di riferimento.

LIMITI DELL’ANALISI:

I dati sui tamponi effettuati nelle scuole, indispensabili per escludere sovra- o sottocampionamento, sono stati reperiti solo per la Provincia di Bergamo.[4] Sebbene per il Lazio un bias di campionamento appaia improbabile (perché è difficile immaginare un sottocampionamento o un sovracampionamento effettuato in maniera tale da dare esatta sovrapposizione fra le curve dentro e fuori le scuole), è invece possibile che un bias di sottocampionamento affligga i dati provenienti dalle scuole di Milano nell’ultima settimana.

Studio numero 2: l’effetto delle riaperture delle scuole sulle curve epidemiche.

Un secondo tipo di approccio possibile per valutare l’eventuale effetto delle scuole come “moltiplicatore” dei casi di infezione consiste nel ricercare tale effetto direttamente sulle curve epidemiche: se tale effetto esistesse ed avesse un peso significativo, esso dovrebbe manifestarsi come deviazione delle curve epidemiche dall’andamento manifestato precedentemente alla riapertura scolastica.

Al fine di meglio caratterizzare questa possibilità, è possibile confrontare l’andamento epidemico delle regioni che hanno aperto le scuole il 14 Settembre con quelle in cui la riapertura è stata rinviata al 24 settembre.

Essendo comunque in un periodo di ripresa epidemica in tutte le regioni italiane, Il test che si effettua è dunque volto ad identificare delle differenze significative fra l’aumento dei casi osservati per le regioni che hanno riaperto prima e quelle che hanno riaperto dopo.

Di seguito, si osserva la media dei casi giornalieri per le regioni che hanno riaperto il 14 settembre (linea rossa) e quelle che hanno riaperti il 24 settembre (linea nera). Per ciascun giorno, è riportata la deviazione standard intorno alla media dei casi giornalieri per 100.000 abitanti.

Anche se ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che le regioni che hanno riaperto prima (linea rossa) abbiano una curva che cresce più rapidamente delle altre, questa impressione non è corretta: infatti, la dispersione di quelle regioni intorno alla media aumenta notevolmente (barre di errore), il che si riflette nella assenza di significatività statistica per la deviazione osservata (t test multipli su ogni giorno non rilevano nessuna differenza significativa per nessuna giornata nell’arco di tempo indicato).

Per favorire la comprensione di quanto sta accadendo, basta dire che la media in rosso nasconde regioni in cui l’epidemia cresce più significativamente ed altre in cui la crescita è indistinguibile dalle regioni rappresentate con la media in nero (regioni ad apertura più tardiva); lo stesso vale, a parti invertite, per la linea nera.

Di seguito, si mostra qualche esempio per mostrare come, in sostanza, la crescita più o meno veloce della curva epidemica è indipendente dalla data di riapertura delle scuole.

La Campania che ha riaperto il 24 settembre, per esempio, cresce altrettanto velocemente delle regioni più veloci tra quelle che hanno riaperto il 14, come la Lombardia; viceversa il Veneto, che ha aperto il 14 settembre, non cresce più velocemente dell’Abruzzo, che ha riaperto il 24 settembre.

Peraltro, va aggiunto che se vi fosse un effetto della riapertura delle scuole misurabile, esso dovrebbe manifestarsi a tempi diversi nelle corrispondenti regioni; al contrario, come si può vedere, le curve epidemiche per tutte le regioni considerate iniziano a crescere in maniera grosso modo simultanea.

RISULTATO DELL’ANALISI:

La differenza di progressione epidemica nelle regioni italiane non è spiegata dalla data di riapertura delle scuole. Viceversa, nelle prime 5 settimane dalla riapertura della scuola per la maggior parte delle regioni italiane, la data di riapertura delle scuole non distingue fra le regioni in cui la curva epidemica ha maggiormente accelerato e le altre.

LIMITI DELL’ANALISI:

Effetti esponenziali potrebbero manifestarsi su periodi più lunghi, ed essere invisibili nella finestra di tempo considerata. Inoltre, la rumorosità dei dati disponibili potrebbe mascherare anche di effetti di una certa entità.


[1] Le fonti dei dati utilizzati e le analisi descritte in questo documento saranno messe a disposizione di chi ne farà richiesta al presidente del Patto per Trasversale per la Scienza prof. Guido Poli.

[2] https://www.ecodibergamo.it/stories/premium/Cronaca/meno-medici-e-incognita-tamponie-ce-il-mistero-dei-tracciatori_1374456_11/

[3] https://www.fanpage.it/milano/milano-con-laumento-dei-casi-torna-il-caos-tamponi-fino-a-13-giorni-per-farlo/

[4] Ancora una volta, si sottolinea come, in linea con quanto richiesto dal presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei prof. Giorgio Parisi, a nome dell’intera comunità scientifica, i dati esistono (perché sono poi aggregati e discussi come tali), e devono essere messi a disposizione se si vuole cercare di ottenere analisi che abbiano un qualche significato.

L’apparenza ingannevole: quando il senso comune prevale sul buon senso e il rispetto delle regole e delle leggi

Nell’ultimo anno, i progetti di giovani ricercatori finanziati dal prestigioso European Research Council sono stati 436, di cui ben 53 assegnati a studiosi italiani (secondi dopo i tedeschi). Tuttavia, solo 20 di questi progetti saranno condotti in Italia: infatti, la maggior parte dei nostri giovani ricercatori condurrà la ricerca all’estero, per poter trovare condizioni di lavoro, tutela dei diritti e serenità consoni all’importanza sociale del loro compito. In ambito biomedico preoccupa la vicenda relativa ad un progetto italiano vincitore di ERC, basato in due Atenei italiani, che esemplifica le ragioni della fuga dal nostro Paese dell’eccellenza della ricerca, anche di quella portata avanti da “cervelli” italiani. Il progetto Light-Up si propone di comprendere i problemi visivi che insorgono a seguito di piccole lesioni cerebrali ed a come porvi rimedio, e prevede tra l’altro una fase di sperimentazione su macachi. Ad oggi i ricercatori, oggetto da giugno 2019 di una continua e pericolosa campagna di disinformazione ad opera di associazioni animaliste, a partire dalla LAV, sono stati “premiati” dal sistema Paese con minacce di morte, ripetute ispezioni amministrative, infiniti ricorsi giudiziari culminati in uno stop cautelare da parte del Consiglio di Stato, puntualmente sconfessato dalla decisione di merito del Tar del Lazio.

E proprio sulla paradossale pronuncia della Terza Sezione del Consiglio di Stato, che intimava di sospendere in via cautelare le attività di ricerca del progetto, che è necessario soffermarsi. I supremi giudici amministrativi, con apodittiche considerazioni prive di fondamento scientifico, hanno sostenuto che quella ricerca andava sospesa, nonostante il progetto Light-up avesse superato il vaglio e ottenuto regolari autorizzazioni scientifiche ed etiche dallo European Research Council, dal Ministero della Salute (previa acquisizione del parere del Consiglio Superiore di Sanità, il massimo organo di consulenza tecnico-scientifica del Ministero) e dall’OPBA (Organismo Preposto al Benessere degli Animali) dell’Università di Parma, dove si dovranno svolgere le sperimentazioni. Ci si chiede ancora, con stupore, di quale “arcana” competenza scientifica si siano fatti portatori i giudici di Palazzo Spada.

La “resilienza” – la stessa a cui l’Europa ci richiama per fronteggiare la pandemia – dei ricercatori e la prova dei fatti, tuttavia, hanno portato ad un pronunciamento favorevole alla prosecuzione del progetto di ricerca da parte del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), il quale ha stabilito inequivocabilmente che “le censure dedotte dalle parti ricorrenti [LAV] si rivelano generiche e prive di fondamento in fatto e in diritto”. Ma non è bastato neppure questo ulteriore pronunciamento e giudizio di merito per porre fine ad una situazione che quegli elementari principi di merito e di diritto sembra decisa a sovvertire fino in fondo. Così, giovedì prossimo, assisteremo all’ennesima udienza del Consiglio di Stato per un ulteriore pronunciamento su quanto già enunciato dal TAR, a causa dell’ennesimo ricorso della LAV.

Oltre all’evidente danno per i ricercatori coinvolti nel progetto Light-Up, questa vicenda ha evidenti ripercussioni sulla credibilità e competitività del nostro sistema della ricerca. L’Italia si trova già nella gravosa situazione di dover affrontare una procedura d’infrazione per l’arbitrario recepimento della Direttiva Europea 63/2010, volta a stabilire misure relative alla protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali. Infatti, unici in Europa, abbiamo tradotto tale Direttiva nel nostro ordinamento aggiungendo ulteriori ed immotivate restrizioni, di anno in anno sottoposte a moratoria, per far sì che la ricerca in quegli ambiti potesse continuare (Decreto Legislativo n. 26/2014), sebbene con futuro assai incerto.  Questi eventi pongono la ricerca biomedica italiana in una condizione non solo di inferiorità, ma anche di manifesta inaffidabilità nel contesto europeo, che potrebbe precludere l’accesso a fondi comunitari su temi vitali per la salute pubblica e, persino, all’utilizzo dei tanto attesi fondi per ricerca e sviluppo legati all’emergenza COVID-19 (Next Generation EU o Recovery Fund). Ciò renderebbe ancora più difficile la situazione della ricerca italiana (Università ed enti di ricerca, policlinici, IRCCS, imprese biotech) e dei tanti lavoratori e ricercatori del settore.  Scoraggerà alcuni dal rientrare in Italia, ne spingerà altri ad abbandonare il nostro Paese. L’impronta irrazionale e ideologica che anima queste iniziative avrà come inevitabile risultato quello di precludere ed ostacolare anche la ricerca e la validazione di metodi “alternativi” (più corretto dire complementari) alla sperimentazione animale, essendo i due approcci inscindibili in ogni seria strategia metodologica.

Uno stato di diritto non può far prevalere e lasciare spazio alla sola “narrazione animalista”, una voce ideologica, antiscientifica e spesso violenta. Se lo stravolgimento dei giudizi di merito enunciati da organismi autorevoli e competenti in ambito scientifico venisse di nuovo perpetrato, assisteremmo all’ulteriore logoramento dei principi di libertà di ricerca (art. 33 Costituzione) su cui si fonda l’Università pubblica: una condanna alla “marginalità sociale” e alla “irrilevanza politica”.

Confidiamo che il Consiglio di Stato nella sua prossima deliberazione voglia confermare il giudizio di merito già espresso dal TAR, anche a tutela della ricerca, del suo valore per la conoscenza, la protezione e la cura della salute pubblica, e nel rispetto di tutte le valutazioni tecnico-scientifiche ed etiche nazionali ed europee che si sono invariabilmente espresse in senso favorevole sia rispetto al progetto Light-Up, sia alla indispensabilità della sperimentazione animale.

Antonio Musarò, Università Sapienza Roma

Elisabetta Cerbai, Università di Firenze

Micaela Morelli, Università di Cagliari

Michele Simonato, Università di Ferrara e Università San Raffaele, Milano

Marco Onorati, Università di Pisa

Alexandra Battaglia-Mayer, Università Sapienza Roma

Paolo Calabresi, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Presidente della Società italiana di Neuroscienze

Fiorenzo Conti, Università Politecnica delle Marche, Presidente della Società italiana di Fisiologia

Giuliano Grignaschi, Segretario generale di Research4Life

Roberto Caminiti, Coordinatore del Gruppo operativo sulla Sperimentazione animale del Patto Trasversale per la Scienza

Il PTS sostiene il #pianoAmaldi

per il raddoppio dei fondi alla ricerca per i prossimi sei anni

Il Patto Trasversale per la Scienza appoggia e sostiene il #pianoAmaldi che propone di aggiungere 1,5 miliardi al bilancio della ricerca pubblica – di base e applicata – nel 2021 e continuare fino a raggiungere l’1,1% del Pil nel 2026. Perché, come si legge nel testo della petizione rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte su change.org, “la ricerca, di base e applicata, è sorgente di nuove conoscenze e di futuro benessere per tutti.

Il “Recovery Fund” costituisce una occasione imperdibile per il rilancio del nostro paese e per il nostro futuro. Che la ricerca costituisca il motore di questo rilancio non è soltanto un auspicio del PTS, ma un’opinione condivisa dalle più importanti istituzioni culturali e politiche sovranazionali.

Inoltre, come sostiene il Prof Amaldi, investire sulla ricerca significa portare a compimento l’investimento sulla scuola (per drenare tra dieci anni le fughe dei cervelli), e significa investire sulle donne che già oggi rappresentano quasi il 50% degli addetti alla ricerca.

Come annunciato dal ministro Manfredi si sta varando il Piano Nazionale della Ricerca (PNR) 2021-2027 per il quale è già programmato uno stanziamento cospicuo. La possibilità di aggiungere al PNR altri finanziamenti in arrivo dall’Europa ci permetterebbe di colmare il gap esistente con altri paesi europei e far fare al nostro paese “il salto di qualità” richiesto dal Professor Amaldi e da tutta la comunità scientifica.

“Sarà poi ancora più importante” – sostiene Piergiuseppe De Berardinis (responsabile del gruppo fondi e politiche della ricerca del PTS) –  “fare in modo che gli investimenti seguano un percorso virtuoso di attuazione, attraverso un trasparente sistema di accesso ai bandi di finanziamento e di valutazione e monitoraggio dei progetti e dei risultati”.

Il PTS pertanto condivide l’appello a sostenere la proposta del Professor Amaldi attraverso la petizione presente su change.org, che ha già ricevuto oltre 10 mila firme, inoltre il PTS invita tutti i suoi soci e chiunque creda nella ricerca come fonte di nuove conoscenze e dello sviluppo della società a sottoscrivere la stessa petizione.

TESTO INTEGRALE DELLA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

https://www.change.org/p/presidenza-del-consiglio-dei-ministri-governo-italiano-ripartiamo-con-il-pianoamaldi-per-la-ricerca-firma-per-il-raddoppio-degli-stanziamenti

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIUSEPPE CONTE

L’Italia investe ogni anno soltanto lo 0.5% del Prodotto interno lordo (Pil) in ricerca pubblica, ossia circa 9 miliardi di euro, di cui 6 miliardi per la ricerca di base e 3 miliardi per quella applicata. Al confronto la Francia investe lo 0.75% (circa 17 miliardi di euro) e la Germania 30 miliardi, ossia quasi l’1% del Pil. I paesi del Nord Europa investono frazioni del Pil ancora maggiori.

Il #PianoAmaldi propone di aggiungere 1,5 miliardi al bilancio della ricerca pubblica – di base e applicata – già nel 2021 e continuare fino a raggiungere l’1,1% del Pil nel 2026, “agganciando” così l’investimento della Germania.

Centinaia di studi hanno dimostrato che la ricerca di base – non volta ad applicazioni particolari ma condotta per desiderio di pura conoscenza – è all’origine dell’innovazione tecnologica di lungo periodo e di nuovi mestieri, oggi impensabili, e produce non soltanto nuove conoscenze ma anche benefici economici.

Finanziare la ricerca pubblica applicata ha lo scopo di compensare, almeno nel breve termine, la scarsa propensione all’investimento in ricerca e sviluppo delle imprese italiane, per lo più piccole.

La ricerca pubblica (che riguarda non soltanto le scienze naturali ma anche le scienze sociali, le discipline umanistiche e l’arte) offre una delle migliori possibilità di investimento dei fondi del New Generation EU ed è in grado di qualificare tutte le altre richieste fatte all’Europa perché ha effetti proprio sul futuro delle nuove generazioni in un settore nel quale, con relativamente pochi fondi, l’Italia – che ha pochi ma validi ricercatori – può molto migliorare portandosi in 6-7 anni al livello della Germania. Investire nella ricerca pubblica è, inoltre, un investimento sulle donne perché il 47% dei ricercatori pubblici sono donne, mentre in Germania e Francia sono il 35%.

Con questa lettera aperta proponiamo che i fondi aggiuntivi siano ripartiti, con criteri meritocratici, su quattro aree d’investimento:

·      Risorse Umane: aumento del valore e del numero di borse di dottorato e aumento del numero di ricercatori, anche per invertire la «fuga dei cervelli»;

·      Progetti: lancio di nuovi grandi progetti e di progetti diffusi di rilevanza scientifica e sociale;

·      Infrastrutture: potenziamento dei laboratori e delle infrastrutture di ricerca esistenti;

·      Trasferimento tecnologico: miglioramento delle condizioni in cui avviene il trasferimento di conoscenze e di tecnologie dalle università e dagli enti pubblici alle imprese, in particolare a quelle medie e piccole.

In parallelo all’aumento dei finanziamenti sono necessarie riforme di sistema, attese da tempo, volte a eliminare la burocrazia e incentivare l’originalità e l’indipendenza di pensiero delle nuove generazioni. 

Le basi e i dettagli della proposta sono presentati alle pagine 105-112 di

www.outreach.cnr.it/1614/un-volume-sulla-pandemia-e-la-resilienza/

e nella seconda parte di questa lettera.

LA RICERCA SCIENTIFICA PUBBLICA È DI TUTTI I CITTADINI

 La ricerca, di base e applicata, è sorgente di nuove conoscenze e di futuro benessere per tutti.

A luglio 2020 i leader dell’UE hanno concordato un pacchetto articolato che combina il quadro finanziario pluriennale (1074 miliardi per il 2021-27) con uno sforzo straordinario per la ripresa di 750 miliardi, detto Next Generation EU. Per quanto riguarda l’Italia, il piano prevede poco più di 208 miliardi, dei quali 81 miliardi sono sussidi a fondo perduto mentre 127 miliardi sono prestiti. I prestiti vanno ovviamente restituiti, anche se a tassi molto bassi e a condizioni agevolate; è quindi essenziale che questi prestiti siano utilizzati per generare nuova ricchezza negli anni a venire.   

La pandemia di Covid-19 ha dimostrato che i Paesi che investono molto in ricerca (come Germania e Corea del Sud) sono più resilienti. Nel post-pandemia è necessario che l’Italia utilizzi i fondi europei per andare nella stessa direzione. Inoltre, è ormai sotto gli occhi di tutti come le attività economiche tradizionali (ad esempio il turismo, e il commercio) si siano dimostrate molto fragili mentre, al contrario, la pandemia ha aumentato il valore di tutti i settori high-tech. Un dato per tutti, la capitalizzazione delle Big Five (Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, e Google) ha ormai superato i 4000 miliardi di dollari, una cifra maggiore del Pil della Germania.

Oltre a produrre nuova conoscenza e nuove tecnologie che vanno poi a beneficio di tutti – basti pensare al Web e alla sua utilizzazione durante la pandemia – la ricerca (di base e applicata) arricchisce la vita dei cittadini ed è sorgente del loro futuro benessere. Per esempio, l’economia del Web in Italia fattura quasi 100 miliardi di euro l’anno. Inoltre, considerando l’Europa, la produzione economica delle industrie che utilizzano le conoscenze della fisica ammonta a 1450 miliardi l’anno, cioè al 12% dell’output totale (dati 2019); questa è una cifra molto superiore a quella dovuta a settori ritenuti già molto redditizi, come commercio (4.5%), costruzioni (5.3%) e servizi finanziari (5.3%). 

Vi sono realtà accademiche in Europa che, oltre ad essere delle vere e proprie fabbriche di cervelli, hanno un impatto economico enorme come il Politecnico di Zurigo (ETH) e l’Imperial College di Londra, che presentano fattori di ritorno economico del loro finanziamento pubblico annuale pari a 5 o più. L’ETH per esempio è uno dei 20 maggiori produttori di brevetti in Svizzera e ha uno spin-off di circa 50 industrie/anno che si accaparrano una frazione significativa dei «venture capitals» della Confederazione. Queste istituzioni non sono delle fortunate eccezioni ma il frutto di un sistema che connette il settore pubblico (scuola, università ed enti di ricerca pubblici) con quello privato.  La mancanza di questa cinghia di trasmissione in Italia è dimostrata dal numero di brevetti depositati presso gli Uffici dei brevetti sia europeo sia americano. La Germania deposita circa il quintuplo dei brevetti italiani in EU e dieci volte più brevetti dell’Italia in USA. L’Italia, insieme alla Spagna è il fanalino di coda in termini di brevetti depositati sia in EU che in USA.

L’innovazione industriale dovuta al trasferimento tecnologico, che ha origine nella ricerca di base e applicata, è sempre più evidente nei campi farmaceutico e delle scienze della vita, su cui l’attenzione pubblica si è particolarmente concentrata negli ultimi tempi a causa della pandemia ma che già da decenni sta ottenendo successi sempre più importanti. Per esempio, la scoperta nel 1987 nel DNA di alcuni batteri di brevi sequenze ripetute (dette CRISPR) ha portato, in combinazione con la scoperta della proteina Cas9, alla capacità tecnica di editing di specifiche sequenze di geni nelle cellule. La tecnica CRISPR/Cas9 è una scoperta proveniente dalla ricerca di base ma è correntemente impiegata come correttore genomico per far avanzare la ricerca applicata nella cura dell’AIDS e dei tumori, nel miglioramento dei rendimenti in agricoltura e dei biocarburanti e nella lotta alle zanzare che causano la malaria.

Solo tre anni fa moriva il piccolo Charlie Gard a causa di una rara alterazione genetica del DNA dei mitocondri. Quest’anno l’identificazione di un enzima in grado di operare sul DNA mitocondriale sta aprendo la via alla cura di queste malattie genetiche devastanti. La nuova tecnica è il risultato della ricerca di base, a dimostrazione del fatto che anch’essa può produrre rapidamente risultati e applicazioni ed è decisiva per la qualità della vita di ognuno anche nel breve termine.

 È necessario cogliere l’occasione favorevole e agire subito.

Il dopo-pandemia offre un’occasione unica e irripetibile per finanziare a livello europeo la ricerca pubblica, di base ed applicata, liberandola dall’eccessiva burocrazia che le impedisce di svilupparsi appieno.

Il piano per la ricerca propone un investimento essenziale per dare un futuro al sistema Paese.  Non bisogna commettere l’errore di considerare la spesa in ricerca come qualcosa di lontano dalla vita di tutti i giorni: i bambini che, con le molte difficoltà dovute alla pandemia, stanno tornando a scuola avranno una vita più piena e un tenore di vita migliore di quello odierno solo se, tra una ventina d’anni,  svolgeranno lavori altamente qualificati e produttivi in grado – tra l’altro – di sostenere l’onere crescente dei contributi che renderanno possibile il pagamento delle pensioni dei loro genitori, ossia degli adulti di oggi.

L’attuazione del piano per la ricerca deve iniziare già nel 2021 e con un grande investimento aggiuntivo, rispetto al 2020, perché il sistema della ricerca pubblica è da tempo in grande sofferenza.

Una ricerca pubblica forte produrrà nuove conoscenze, contribuendo a mantenere l’Italia all’altezza della sua storia, e sarà in grado di trainare il sistema industriale e imprenditoriale affinché possano avvenire, in modo sistemico, quei trasferimenti di conoscenze e di tecnologie che finalmente renderanno le imprese italiane innovative e competitive sul mercato globale.

BASTA AL DOPPIO TAMPONE, SEGUIAMO L’OMS

Alla vigilia della riunione del CTS, che avverrà oggi, facciamo come PTS un appello al governo e al CTS affinché rivedano la politica del doppio tampone adottando i criteri dell’OMS.
In Italia, un paziente ‘COVID-19’ viene considerato contagioso finché per due volte il tampone dia esito negativo. Con conseguenze spesso paradossali per la durata della quarantena.
Da tempo OMS ha abbandonato questo criterio, in base ad una crescente e ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità, che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10 giorni.

Al contrario, la positività del tampone può restare tale per molte settimane. Adottare, sulla scia di quasi tutti gli altri Paesi, il criterio OMS avrebbe rilevanti e immediati vantaggi non solo per le persone coinvolte, ma anche per la sanità pubblica.
Infatti, il timore di venire isolati senza un termine temporalmente definito costituisce un pericoloso incentivo al nascondimento dei propri sintomi per chi si ammala, oltre che all’utilizzo dell’app di tracciamento.
Per questo il PTS fa proprio e rilancia l’appello al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute, al Presidente del Comitato Tecnico Scientifico e ai Presidenti delle Camere, creato da Guido Silvestri e dal team della rubrica Pillole di Ottimismo

TESTO INTEGRALE DELL’APPELLO


Ill.mo Presidente del Consiglio dei Ministri
Ill.mo Ministro della Salute
Ill.mo Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico
Ill.ma Presidente del Senato della Repubblica
Ill.mo Presidente della Camera dei Deputati

Egregi Signori,
come sapete, nel nostro Paese un paziente affetto da COVID-19 viene considerato ufficialmente malato e contagioso, finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo.

Questo criterio, inizialmente adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è stato poi cambiato progressivamente in molti Paesi e, infine, dall’OMS stessa, in base ad una crescente e ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10 giorni.

La positività del tampone può invece restare tale per molte settimane, fino a oltre 4 mesi dalla malattia, identificando, di fatto, solo tracce di materiale genetico del virus, non attivo e incapace di trasmettere l’infezione.

Vi chiediamo quindi di sostituire il criterio del doppio tampone negativo con quello indicato nelle nuove direttive OMS, riducendo a 10 giorni il periodo di malattia per COVID-19 (più 3 giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero) e abbandonando l’uso del tampone di controllo. 

Ve lo chiediamo per tre ragioni, ciascuna delle quali ci sembra da sola sufficiente a giustificare la nostra richiesta.

  • La prima ragione riguarda la vita delle persone coinvolte: mantenere in isolamento forzato un paziente che con ogni probabilità non è più contagioso non è di alcuna significativa utilità, né per il paziente né per la collettività. 
  • La seconda ragione riguarda l’economia e la ripresa del nostro Paese: la nostra collettività ha bisogno del contributo di queste persone, ora lasciate per lungo tempo in uno stato di ingiustificata immobilità.
  • La terza ragione – che ci pare persino più importante delle altre – riguarda la salute pubblica: il timore di venire isolati senza un termine temporalmente definito costituisce un pericoloso disincentivo alla segnalazione dei propri sintomi per chi si ammala e all’utilizzo dell’app di tracciamento, che invece necessita urgentemente di molte nuove adesioni.

Concludiamo con un’osservazione. In senso contrario alla nostra richiesta, si sostiene frequentemente che le nuove direttive OMS sarebbero pensate per i Paesi con risorse limitate e che dunque non possono garantire un secondo tampone in tutti i casi in cui ciò è necessario, a causa dell’insufficienza di strumenti e personale medico. La descritta obiezione a nostro avviso non regge.
In primo luogo, gran parte dei Paesi europei hanno da tempo adottato le nuove linee guida OMS. In secondo luogo, le motivazioni di salute pubblica sopra indicate giustificherebbero persino l’assunzione di un modestissimo rischio, se esso fosse veramente associato alle nuove linee guida.
Infine, grande è la richiesta, da parte delle regioni, di maggiori risorse per aumentare i tamponi: la scelta che Vi chiediamo potrebbe offrire un aiuto importante in questa direzione.
Nella certezza che considererete con attenzione la nostra richiesta, Vi salutiamo cordialmente e Vi ringraziamo per il Vostro lavoro.