“I BAMBINI NON SI TOCCANO”…E’ VERO: I BAMBINI SI VACCINANO!

“I BAMBINI NON SI TOCCANO”…E’ VERO: I BAMBINI SI VACCINANO!

Domanda: I bambini si ammalano di COVID-19? 

Risposta: Si

Sebbene la COVID-19 tenda a presentarsi in maniera più mite nei bambini rispetto agli adulti, essi contraggono comunque l’infezione da SARS-CoV2. Ad oggi si contano oltre 340.000 casi nella fascia 0-9 e oltre 500.000 nella fascia 10-19. Inoltre, a causa del fatto che non sono vaccinati, al momento i bambini si contagiano più degli adulti. 

Domanda: la COVID-19 nei bambini può essere grave? 

Risposta: Si

I bambini che si ammalano di COVID-19 sviluppano, seppur raramente, gravi danni polmonari e diverse altre complicanze sia nel breve che nel lungo termine. Tra le ultime, la Long Covid (7% dei casi secondo Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità) con persistenza dei sintomi e comparsa della MIS-C (Multisystem Inflammatory Syndrome in Children), una malattia vascolare che interessa diversi organi causata da una sproporzionata risposta immunitaria che nel 70% dei casi richiede ricovero in terapia intensiva. Infine, fonti dell’ISS indicano che in Italia fino al 15 dicembre 2021, sono morti 15 bambini nella fascia d’età 0-9 anni a causa di COVID-19.

Domanda: Il vaccino anti-COVID19 per i bambini di 5-11 anni è sicuro ed efficace? 

Risposta: Si

Lo studio per cui l’AIFA ha approvato la vaccinazione nei bambini di età compresa tra 5 e 11 anni ha dimostrato un’elevatissima efficacia nel prevenire l’infezione sintomatica da SARS-CoV-2. 

Oltre 5 milioni di bambini nel mondo hanno ricevuto almeno una dose di vaccino anti-COVID19 e gli eventuali effetti collaterali più frequenti durano poche ore e sono sovrapponibili a quelli presenti nell’adulto (febbre, dolori muscolari, stanchezza, dolore nel sito di iniezione). Inoltre, rispetto alle età maggiori, i problemi cardiaci precedentemente descritti (miocarditi e pericarditi) si sono osservati nei bambini in percentuali minori, con minore gravità e con rapida risoluzione. 

Infine, non vi sono patologie pediatriche per cui vi sia una controindicazione assoluta al vaccino la cui somministrazione non necessita di alcuna preparazione né l’assunzione di farmaci antinfiammatori per prevenire i pochi sintomi fastidiosi che possono presentarsi per un paio di giorni dopo la vaccinazione.

Domanda: Insomma, il vaccino nei bambini va fatto?

Risposta: Prima lo fanno, meglio è!

In sintesi, i dati disponibili dimostrano che vaccinare i bambini contro la COVID-19 ha un rapporto costo/beneficio estremamente vantaggioso che sarebbe un grave errore ignorare, soprattutto considerando l’aumento costante dei casi notificati in età pediatrica nelle ultime settimane. Vaccinare i bambini appena possibile è quindi la scelta più saggia e opportuna.

photo credit by Unicef

BASTA FAKE NEWS NEI TALK SHOW

Non basta più la semplice preoccupazione o scandalizzarsi per i dati diffusi dal 55° rapporto del CENSIS presentato il 3 dicembre 2021 sulla consapevolezza e convinzioni degli italiani rispetto alla pandemia: “Per il 5,9% degli italiani il Covid non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile e per il 31,4% chi si vaccina fa da cavia”.

Ormai da mesi, soprattutto in televisione e purtroppo anche sul Servizio Pubblico della Rai, gli italiani assistono a diversi talk show che, lungi dall’offrire informazioni sulla tragedia sanitaria, economica e sociale che stiamo ancora attraversando, propongono piuttosto confronti con opinioni non scientifiche, antiscientifiche, fantascientifiche. 

Questo in nome di una supposta par condicio e del diritto di parola garantito dalla Carta Costituzionale, travisandone, tuttavia, il significato. La par condicio risulta infatti falsata dal confronto uno ad uno, laddove a volte un ricercatore serio si trova a fronteggiarne più di uno che con la scienza ed il metodo scientifico niente hanno a che fare e con il risultato di alimentare negli spettatori la sensazione che la “scienza è divisa”. E se è vero che la Costituzione garantisce a ciascuno di esprimere le proprie opinioni, di certo non impone di intervistare terrapiattisti, novax, medici radiati, politici e non che non conoscono ma dissertano di virologia ed epidemiologia: non si tratta di opinioni personali, ma di pericolose menzogne o eclatanti ignoranze offerte al pubblico come contraddittorio.

Il Patto Trasversale per la Scienza condivide le considerazioni di Enrico Mentana, direttore del TG di La7: “Mi onoro di non aver mai ospitato nel tg che dirigo nessun esponente dei no vax…A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa o una censura alle opinioni scomode, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali…Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione, come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura”.

Come PTS ci appelliamo alla professionalità di tutti i giornalisti e a tutti coloro che hanno responsabilità dirette e indirette nella programmazione e gestione dei

programmi di informazione, soprattutto nei talk show, perché:

  • qualsiasi discussione sulla campagna vaccinale sia basata sulle evidenze scientifiche accertate in tutto il mondo dalle autorità sanitarie circa la sicurezza ed efficacia dei vaccini e l’opportunità della loro massima diffusione presso tutti i soggetti per i quali sono approvati;
  • Si prenda atto che la diffusione, a questo riguardo, di dati contrastanti con le evidenze comunemente accettate dalla comunità scientifica equivale alla diffusione di fake news;
  • il giusto approfondimento su questi temi e sulla malattia da COVID-19 in generale sia condotto da esperti autentici e riconosciuti nel settore, nel rispetto e avendo riguardo alle loro singole competenze.

Come PTS chiediamo inoltre:

  • all’Ordine Nazionale dei Giornalisti di vigilare e, se del caso, applicare il codice deontologico che impone ai propri iscritti di attenersi ai fatti basati su risultanze scientifiche, mettendo in campo gli strumenti sanzionatori previsti a tutela della professione e soprattutto di chi al lavoro giornalistico si affida per informarsi;
  • alla Federazione dell’Ordine dei medici, di fare altrettanto rispetto ai tanti iscritti che, basandosi su convinzioni che non trovano riscontro nella letteratura scientifica, diffondono false informazioni sulla pandemia e sulle vaccinazioni;
  • al Ministero della Pubblica Istruzione e a quello dell’Università di riorganizzare ed implementare la formazione scientifica fin dalla scuola primaria, fornendo alle prossime generazioni gli strumenti interpretativi per discernere una fake news.

Meritoriamente la Rai si è dotata di una task force contro le fake news, ma la cattiva informazione viaggia anche attraverso la presenza costante di personaggi che con la scienza non hanno a che fare ma partecipano quotidianamente a varie trasmissioni spesso senza il competente intervento del conduttore a sottolineare l’assurdità e la non scientificità delle loro affermazioni.

Naturalmente, a valle dell’informazione di natura scientifica, attuata secondo modalità corrette, è giusto che vi sia un dibattito di natura giuridico-legislativa circa i migliori strumenti per raggiungere gli obiettivi di diffusione più larga possibile della campagna vaccinale. Anche questo dibattito, tuttavia, deve avvenire nel rispetto delle evidenze scientifiche sopra ricordate, con toni rispettosi e adeguati alla difficile situazione sanitaria in corso e con il coinvolgimento anche di riconosciuti esperti di diritto costituzionale. Tutto ciò al fine di non alimentare il clima di confusione della popolazione generale evidenziato dal recente rapporto del CENSIS.

Innovare investendo in ricerca

PTS – “Sapienza” Università di Roma

16 settembre 2021

Obiettivo del Convegno “Innovare investendo in ricerca”, tenutosi on-line il 16 settembre 2021, è stato valutare i fattori legati all’innovazione nella ricerca e al trasferimento delle conoscenze da essa prodotte al fine d’indicare le strategie da adottare per sostenere la ricerca scientifica in Italia. La ricerca scientifica è infatti l’unica vera forza propulsiva, capace di elevare il Paese verso una crescita culturale, tecnologica, sociale ed economica.

Il Convegno si è aperto con l’intervento di Antonella Polimeni, Rettrice di Sapienza Università di Roma, che ha spiegato quanto sia importante implementare i sistemi integrati di innovazione, in grado di agevolare contaminazione e collaborazione fra Università ed Enti di Ricerca. L’intervento si è poi focalizzato sulla descrizione della necessità di costituzione di infrastrutture stabili, piattaforme per la ricerca avanzata multidisciplinare e creazione di incubatori di impresa.

Fulvio Esposito, rappresentante nel Comitato per lo Spazio Europeo della Ricerca, ha inveceevidenziato l’importanza che una occasione straordinaria come il PNRR diventi una occasione ordinaria e quindi mezzo per creare una tendenza alla crescita dell’investimento in ricerca. Per fare questo è importante investire in dottorati di ricerca, nuovi ricercatori, progetti di sviluppo basati su accordi di programma, con obiettivi, risultati attesi, monitoraggio e rigorosa valutazione ex post.

Elisabetta Cerbai, docente dell’Università di Firenze, ha descritto come in Italia esistano peculiarità qualitative in merito alle caratteristiche del gruppo eterogeneo dei ricercatori. Il primo è l’età, il secondo una spiccata attitudine a modifiche ricorrenti delle modalità di reclutamento e stabilizzazione, il terzo la scarsa presenza femminile in discipline tradizionalmente considerate maschili, una forbice che si allarga con la progressione verso i ruoli più alti. Inoltre, l’ingresso tardivo in posizioni stabili e autonome priva il sistema della capacità ideativa e innovativa più fertile e originale.

Gaetano Di Chiara,già docente dell’Università di Cagliari, ha delineato il delicato ruolo dell’Università nel trasferimento tecnologico (TT) della ricerca.Il TT è nato nelle grandi università americane, grazie allo stretto rapporto tra università e impresa per creare un circolo virtuoso tra ricerca di base e applicata. Il passaggio dall’invenzione all’innovazione è tuttavia un processo ad alto rischio che corrisponde ad una fase in cui la ricerca non è più finanziabile con fondi statali in quanto coperta da brevetto, ma è ancora in uno stadio troppo precoce per essere finanziata da istituzioni private. All’origine di una tecnologia rivoluzionaria c’è sempre un’originale ricerca di base. L’esempio tangibile di questo è il seminale lavoro del periodo 2005-2008 di Karikò e Weissman che descriveva le basi per lo sviluppo dei vaccini a mRNA e poi l’utilizzazione del brevetto di Karikò e Weissman da parte delle aziende biotecnologiche Biontech e Moderna.

E’ quindi necessario guardare al PNRR come a una strategia complessiva che nell’incidere sul tessuto socioeconomico, sulla qualità di formazione pre- e post-universitaria, sul diritto allo studio e all’inclusione, può avere riflessi anche sulla scelta di fare ricerca scientifica in Italia. Si tratta di scegliere se rimanere a traino di paesi capaci di innovazione, o assecondare la vocazione che i ricercatori e le ricercatrici hanno, come dimostrano i numeri, coltivata da una buona o talvolta ottima tradizione educativa, ma che viene spesa oltre frontiera.

Antonio Musarò (Università Sapienza, Roma) e Micaela Morelli (Università di Cagliari)

Clicca per il resoconto del meeting o per vederlo sul nostro canale

Le decisioni sulle strategie vaccinali non dovrebbero essere prese in seguito a un’onda emotiva

La morte di una giovane ragazza, associata e possibilmente causata dalla vaccinazione con vettore adenovirale, rappresenta una tragedia e colpisce emotivamente più dei freddi “numeri” dei decessi giornalieri per COVID-19. E’ ingiusto, ma è così, e non da oggi, spiegano gli psicologi. Ciò che non dovrebbe succedere, ma è successo, è che chi è preposto a prendere decisioni importanti per la collettività, lo faccia influenzato, anche solo per associazione temporale, da eventi emotivi quale il caso in questione. La decisione di cambiare strategia “in corsa” e adottare d’emblée l’approccio eterologo per la seconda dose vaccinale per chi ha ricevuto una prima dose con vaccino Astra-Zeneca (Vaxzevria) non poteva non avere la conseguenza di generare sconforto e confusione sia nei cittadini che nelle singole regioni, e non solo per comprensibili motivi logistici.

Il messaggio percepito, non voluto, ma inevitabile è stato: “la precedente strategia era sbagliata”, da cui, appunto, sconforto, confusione e reazioni emotive comprensibili del tipo “non siamo le vostre cavie da esperimento”.

Il dibattito scientifico sull’utilità e i potenziali vantaggi della vaccinazione eterologa (una dose col vaccino A, la seconda col vaccino B) è in corso ed iniziano a comparire, spesso in forma non ancora revisionata da altri scienziati (peer review), i primi risultati incoraggianti. Ma tradurre questo legittimo e importante dibattito dal contesto sperimentale, inclusivo di studi in “doppio cieco”, all’applicazione diretta, senza alcuna indicazione o raccomandazione di EMA e altre agenzie regolatorie, è intempestivo e, al di là delle migliori intenzioni, destinato ad alimentare ansie, confusione, difficoltà di analisi dei risultati vaccinali (già molto compromessi dall’eterogeneità delle strategie adottate dalle singole regioni).

Fortunatamente, tutti i vaccini sono “buoni vaccini” e funzionano proteggendo le persone dall’evoluzione in malattia grave, se infettate, e prevenendo efficientemente dalla trasmissione virale, soprattutto dopo la seconda dose. Nonostante la cattiva informazione e comunicazione che se ne sta facendo.

Per approfondimento, vedi: https://www.ilfoglio.it/salute/2021/06/15/news/mix-di-rischi-non-ragionati-su-astrazeneca-2519375/

Il PTS difende Enrico Bucci dagli attacchi della “lobby” dell’agricoltura biodinamica

Guido Poli: “La lotta alla pseudo-scienza, nelle sua varie dimensioni, è nel DNA del PTS. Enrico Bucci, da par suo, ha smontato e dimostrato l’inconsistenza scientifica della cosiddetta “agricoltura biodinamica”, come già denunciato dalla Senatrice a Vita, Prof.ssa Elena Cattaneo. Il PTS si riconosce pienamente in quanto espresso da entrambi e lo sosterrà con tutti i mezzi leciti in democrazia”.

Apprendiamo con sgomento che, in data 9 giugno 2021, nella seduta n. 334, è stato depositato presso il Senato della Repubblica, a firma del Senatore Saverio De Bonis, un Atto di Sindacato Ispettivo (n. 4-05612 –http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1299462/index.html)  nei confronti del Prof. Enrico Bucci, noto ricercatore, divulgatore scientifico e coordinatore di un Gruppo Operativo dedicato alle frodi scientifiche e all’integrità nella ricerca nonché membro del Consiglio Direttivo del Patto Trasversale per la Scienza. Il Prof. Bucci, che tenta da anni di portare elementi di razionalità nel dibattito pubblico su altri temi scientifici con ripetuti interventi, compresa la recente pandemia di COVID-19, ha “meritato” l’attenzione del Senatore De Bonis per aver evidenziato l’inconsistenza scientifica dell’Agricoltura Biodinamica, erroneamente paragonata all’Agricoltura Biologica.

Esprimiamo la massima solidarietà a Enrico Bucci e condividiamo i suoi sforzi sottolineando che l’Agricoltura Biodinamica non è un’evoluzione o una branca dell’Agricoltura Biologica, come si sostiene anche nell’Atto depositato dal Senatore De Bonis, ma semmai una sua involuzione. Per chi fosse interessato ad approfondire rimandiamo ad una serie di recenti interventi di Bucci sul tema: https://www.ilfoglio.it/tag/biodinamica/

Cogliamo infine questa occasione per spronare il Senato della Repubblica a valorizzare il sapere scientifico, facendo anche tesoro delle importanti sfide imposte dalla pandemia e condurre il nostro Paese nel futuro, non nel passato occupandosi di pratiche esoteriche prive di qualunque fondamento scientifico.

Costi e benefici di AstraZeneca e Johnson & Johnson

Calcoliamo bene il rapporto costi/benefici della scelta di non somministrare i vaccini basati su vettore adenovirale (AstraZeneca e Johnson & Johnson) sotto i 60 anni

di Enrico Bucci, Luciano Butti, Corrado Canafoglia, Davide Ederle, Julia Filingeri, Andrea Grignolio, Diego Pavesio, Luca Pezzullo, Guido Poli, Guido Silvestri, Marco Tamietto, Vincenzo Trischitta, Francesca Ulivi, Andrea Uranic.

I ministeri della salute e le agenzie regolatorie di molti paesi europei, compreso il nostro, hanno deciso che è preferibile non vaccinare gli under 60 con Vaxzevria (il vaccino di AstraZeneca, AZ, a cui seguiranno probabilmente decisioni analoghe per quello prodotto dalla Johnson & Johnson, J&J), pur non vietandolo, perché in questa fascia d’età il rapporto costi/benefici non sarebbe sufficientemente favorevole. Ma siamo sicuri che sia così? Ma davvero se avessimo questi vaccini a disposizione per tutta la popolazione sarebbe meglio non vaccinare comunque gli under 60 ed attendere i mesi necessari per l’arrivo di altri vaccini? O se fra qualche mese, una volta vaccinati tutti gli over 60, non riuscissimo a vaccinare rapidamente gli under 60 con gli altri vaccini a mRNA davvero non dovremmo utilizzare i vaccini basati su vettori adenovirali per accorciare i tempi? Proviamo a ragionare sui dati disponibili e necessari per rispondere con ragionevole certezza a queste domande.

I dati disponibili

1. Nel primo anno di pandemia si stima (per difetto) che il 5% degli Italiani si sia infettata con SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia nota come COVID-19

https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/dashboards/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1

2. In Italia la popolazione degli adulti sotto i 60 anni è rappresentata al netto dei decimali da 32 milioni di individui:

–  19 milioni (il 59%) nella fascia 40-59 aa

–  13 milioni (il 41%) nella fascia 20-39 aa

https://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2019/

3. Il tasso di letalità (cioè quanti dei soggetti che hanno contratto l’infezione andranno incontro a morte) stimato dall’ISS è pari a:

–  0.4% nella fascia 40-59 anni

–  prossimo a 0% nella fascia 20-39 anni.

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_24-febbraio-2021.pdf

Gli scenari

Stante i dati sopraesposti, immaginiamo uno scenario in cui:

A. non si voglia/possa più stare in lockdown e si abbia un Rt pari almeno a 2 (ogni infetto contagia in media due persone; da sottolineare che in assenza di lockdown SARS-CoV-2 ha un Rt stimato di 2,4 senza tener conto di varianti più contagiose, quali l’”Inglese” che oramai è responsabile del 90% delle nuove infezioni);

B. tutti gli over 60 siano stati vaccinati e quindi siano protetti dal COVID-19 e dalle sue più temibili complicanze (scenario irrealistico sia perché non tutti si vaccineranno, sia perché la protezione per quanto ottima non è assoluta, ma qui si vuole essere conservativi);

C. i 32 milioni di Italiani nella fascia 20-59 anni non si vaccinano con Vaxzevria o J&J, aspettando per tre mesi un altro vaccino. E’ ipotizzabile che circa l’1.25% di essi (un quarto del 5%/anno di cui al punto 1) contrarrà l’infezione da SARS-CoV-2, cioè circa 400mila individui (236mila nella fascia 40-59 anni e 164mila nella fascia 20-39 anni). Questi, con Rt=2, a loro volta infetteranno altri 800mila individui, 472mila individui nella fascia 40-59 aa (per un totale in questa fascia di 708mila individui) e 328mila individui nella fascia 20-39 (per un totale in questa seconda fascia di 492mila unità).

Quanti decessi ci possiamo aspettare tra i soggetti infettati, in considerazione del tasso di letalità osservato in Italia e descritto al punto 3?

– nessun decesso (0%, esagerando in ottimismo) nei circa 490mila della fascia 20-39 anni

– lo 0,4% nei circa 700mila della fascia 40-59 aa pari a 2.800 decessi

E se si vuole considerare uno scenario con Rt pari a 1 (più o meno quello attuale ottenuto dopo un lungo lockdown), si fa in fretta a dimezzare per un totale di 1.400 morti.

Infine, ipotizzando che siano proprio i vaccini con vettore adenovirale a “causare” la trombosi venosa cerebrale (TVC) o addominale (TVA) con un’incidenza di 1/100mila (tutto da dimostrare sia in termini di causalità che di incidenza), non vaccinando i 32 milioni di Italiani under 60 eviteremmo circa 320 casi di TVC/TVA, una sessantina dei quali in forma letale.

Il rapporto costi/benefici

Quindi, in sintesi, in assenza di lockdown se per tre mesi tutti gli Italiani under 60 anni non si vaccinassero con AZ o J&J si devono mettere in conto alcune migliaia di decessi al fine di risparmiarne qualche decina…

Certo, questi numeri possono essere lievemente diversi in funzione di alcune variabili che è difficile controllare in maniera perfetta. Per esempio, nei prossimi 3-4 mesi, grazie all’innalzarsi della temperatura, il virus potrebbe circolare meno e causare meno vittime. D’altra parte, come si è detto, sappiamo che non accadrà mai che tutti gli over 60 si vaccineranno e ciò, inevitabilmente, aumenterà il numero dei contagiati e dei decessi causati dalla mancata vaccinazione degli under 60. 

Noi continuiamo a pensare che, se ci fosse (o se ci sarà in futuro) la disponibilità di questi vaccini, sarebbe bene somministrarli a tutti gli adulti, senza distinzione per classi d’età. L’EMA, peraltro, non ha indicato limiti d’età per l’uso di questi vaccini basati su vettori adenovirali   

(https://www.ema.europa.eu/en/news/astrazenecas-covid-19-vaccine-ema-finds-possible-link-very-rare-cases-unusual-blood-clots-low-blood  e

https://www.ema.europa.eu/en/news/covid-19-vaccine-janssen-ema-finds-possible-link-very-rare-cases-unusual-blood-clots-low-blood).

Inoltre, non è escluso che analizzando i dati, anche futuri, possa emergere il suggerimento che fra gli under 60 si dovrebbe dare precedenza ai maschi che rischiano più delle donne di contrarre il COVID-19 in forma grave e morirne https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_24-febbraio-2021.pdf

mentre, per contro, la stessa EMA ci informa che sono meno a rischio di sviluppare le rare forme di TVC/TVA associate a questi vaccini.

Non possiamo quindi essere d’accordo con chi sostiene: “non vacciniamo con AZ (o J&J) gli under 60 per evitare il rischio di TVC/TVA, tanto poi li vacciniamo fra qualche mese con altri vaccini” perché in quei “pochi” mesi diverse centinaia di migliaia di persone si ammaleranno, sovraccaricando il sistema ospedaliero, e, purtroppo, alcune migliaia moriranno.

Investire in ricerca per curare il Paese

terapie a confronto: approccio oligarchico o democratico

ll dibattito sull’impiego dei fondi del PNRR per la ricerca scientifica, si fa sempre più ampio e molte sono le proposte presentate al Governo. Dopo la nostra lettera di appoggio alla Senatrice Cattaneo, pubblichiamo questo articolo redatto da molti dei nostri soci.

Continua il dibattito sul tema della ricerca e sui criteri di valutazione per la distribuzione delle risorse. Il piano Amaldi, sottoscritto da eminenti scienziati, indica la strada per un’inversione di rotta e propone al governo una svolta ambiziosa per rendere competitivo il nostro Paese nel panorama internazionale: “investire in ricerca pubblica e capitale umano e sostenere la ricerca di base, fonte primaria dell’innovazione nelle società avanzate”.

Qualche settimana fa, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno voluto puntualizzare quello che gli scienziati che hanno sottoscritto l’appello di Amaldi hanno omesso di indicare: “Come far sì che questi maggiori finanziamenti migliorino effettivamente la qualità della ricerca?” Il ragionamento di Boeri e Perotti, esplicitato nel titolo dell’articolo, “Basta contributi a pioggia, i fondi vanno concentrati sulle università migliori”, ha stimolato un acceso dibattito nella comunità scientifica che vive le difficoltà di un sistema sottofinanziato e, nonostante tutto, da nord a sud, contribuisce a rendere il sistema della ricerca un punto di riferimento per lo sviluppo sociale, culturale e scientifico del Paese. Quella comunità scientifica che conosce molto bene il principio che le risorse debbano essere distribuite in base a criteri di merito e si oppone all’idea che istituzioni e fondazioni private, senza alcuna competizione, possano beneficiare a vita di soldi pubblici.

Una tale sperequazione nei criteri di distribuzione delle risorse creerebbe uno scollamento sociale e culturale, perché limiterebbe il fondamentale principio costituzionale che sancisce l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, senza il macigno di ostacoli di ordine economico. Una preoccupazione, questa, espressa recentemente, in un documento-appello indirizzato al Presidente Draghi, da un gruppo di giuristi universitari e autorevoli costituzionalisti.

Vorremmo quindi contribuire al dibattito con una proposta, che parte dal piano Amaldi.

Un Paese, per essere pronto alle nuove sfide, dovrebbe:

1) garantire finanziamenti pubblici per la ricerca di base, fondati su un accesso competitivo alle risorse, humus essenziale per far emergere eccellenze e talenti;

2) potenziare e rinnovare le infrastrutture esistenti, tenendo conto che, come dimostrano la storia passata e ancor più quella recente, la loro fruibilità in ogni campo è tanto maggiore quanto più ampia e diffusa è la rete di laboratori e centri che vi afferiscono;

3) rimuovere il macigno di una burocrazia ipertrofica che spesso frena le potenzialità di ricerca e sviluppo nelle università, mentre fondazioni private che godono di finanziamenti pubblici sono esentate da lacci, lacciuoli e freni burocratici (in altre parole, evitare che la ricerca italiana viaggi a due diverse velocità);

4) dotare il Ministero della Università e della Ricerca (MUR) di un ufficio ad hoc, permanente, composto da figure qualificate, non affiliate a strutture di ricerca italiane, costantemente aggiornate sulle complesse procedure di valutazione, istruito per gestire la delicata fase di erogazione del denaro pubblico;

5) adottare misure di detassazione che prevedano l’abolizione dell’IVA su reagenti e apparecchiature a favore di università e centri di ricerca senza scopo di lucro.

Il PNRR è un’occasione unica per rimettere l’Università e tutto il comparto della ricerca di base al centro delle politiche del nostro Paese. Bisogna tuttavia evitare di commettere errori, già avvenuti nel passato, che costringono a complesse e difficili modifiche in corso. Proporre, come si evince dalla bozza del PNRR, sette (perché sette?) iniziali nuovi poli di innovazione locale/territoriale distribuiti in diverse città (con quale criterio?) incaricati della erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati (quali? Con quale obiettivo?) e servizi innovativi qualificanti di trasferimento tecnologico (quali? In che misura? Con quali regole?) senza un preciso razionale, senza una definizione chiara degli obiettivi, senza verificare se quelle innovazioni siano in realtà già presenti nelle Università o negli Enti di ricerca esistenti, è l’ennesimo esercizio della politica di creare nuovi contenitori che toglierebbero valore al comparto della ricerca già esistente, senza probabilmente raggiungere lo scopo del PNRR.

Antonio Musarò, Alexandra Battaglia Mayer e Roberto Caminiti (La Sapienza Università di Roma)

Gaetano Di Chiara e Micaela Morelli (Università di Cagliari)

Ugo Borrello e Marco Onorati (Università di Pisa)

Michele Simonato (Università di Ferrara e Vita Salute San Raffaele, Milano)

Marco Tamietto (Università di Torino)

Paolo Pinton (Università di Ferrara)

Luciano Conti (Università di Trento)

Monica Mattioli Belmonte (Università Politecnica delle Marche)

Girolamo Calò e Michelangelo Cordenonsi (Università di Padova)

Gianpaolo Papaccio (Università di Napoli Vanvitelli)

Maria Grano (Università di Bari)

Daniele Bani e Elisabetta Cerbai (Università di Firenze)

Roberto Ciccocioppo (Università di Camerino)

ANCHE IL “NON FARE” FA

Le 200.000 dosi di vaccino Astrazeneca sospese non sono a costo zero

Il Patto Trasversale per la Scienza e l’Associazione Biotecnologi Italiani criticano la scelta governativa di aver sospeso la somministrazione del vaccino AstraZeneca in assenza di chiare evidenze scientifiche. Serve più trasparenza nelle motivazioni di scelte così drastiche che rischiano di avere un forte impatto sulla fiducia delle persone nei vaccini e sul successo della più grande campagna di vaccinazione di massa della nostra storia recente. Siamo in mezzo ad una strada e un TIR che ci sta venendo contro rapidamente. Stiamo per spostarci, ma notiamo in lontananza un piccolo movimento e di colpo ci fermiamo “per precauzione”. L’esito sappiamo già qual è. Lo immaginiamo benissimo. Ecco, oggi ci troviamo nella stessa situazione.

La sospensione delle somministrazioni del vaccino di AstraZeneca, con la terza ondata epidemica in pieno svolgimento, è equivalente a restare in mezzo alla strada mentre un TIR ci viene addosso, può causare molti più danni di quelli che si cercano di evitare con la sospensione. Spesso si pensa che “nel dubbio” sia meglio fermare tutto, e che questa sia sempre la scelta più sicura. Qual è però oggi il vero rischio? Con 300-500 morti per COVID-19 al giorno, senza contare il sovraccarico dei ricoveri ospedalieri e delle terapie intensive, il vero rischio è proprio il fermarsi, soprattutto senza un più che valido motivo e, nel farlo, incrinare la fiducia consolidata in questi primi mesi di vaccinazione, proprio nel momento in cui la si sta estendendo a tutta la popolazione.

La realtà è che ogni giorno in Italia per COVID muore un numero di persone equivalente a 4 aerei passeggeri. Quattro aerei pieni di Matteo, Antonio, Maria, Rosa, Emanuela, Franco… che, non vaccinandosi oggi, non saranno protetti dal virus e che, se colpiti, non riusciranno a superarlo. Per non parlare di tutte le altre persone colpite da forme più o meno gravi che, pur guarendo, soffriranno di strascichi importanti per molti mesi. Sia chiaro: è fondamentale la vigilanza, verificare ogni segno che evidenzi anomalie (contaminazioni di lotti, eventi avversi non rilevati durante le fasi sperimentali, ecc.), ma se le evidenze statistiche – come in questo caso – indicano che si è ampiamente all’interno dei numeri attesi (siano questi gli effetti avversi o i decessi per patologie anche rare), sospendere la profilassi vaccinale non ha l’effetto di aumentare la sicurezza, bensì, al contrario, di aumentare il rischio collettivo che ci assumiamo.

Prendiamo, ad esempio, la rara trombosi del seno venoso cerebrale alla base della decisione tedesca di sospendere la vaccinazione. La decisione è stata presa dopo che in Germania si erano registrati 7 eventi (di cui 6 in giovani donne). Sulla base di quanto è stato reso fin qui noto, questi 7 (sette) eventi si sono verificati dopo la somministrazione di 1.700.000 dosi di vaccino, nell’arco temporale di due mesi. Questo equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno. Questo numero è del tutto in linea con quanto osservato nella popolazione generale, in particolare femminile, sulla base dei dati disponibili nella letteratura scientifica (ca. 28 casi/anno/milione di donne)*.

Analogamente, anche in Inghilterra, la nazione col maggior numero di vaccinati con il vaccino AstraZeneca, circa 11 milioni di persone, non si è osservato un eccesso statistico di eventi tromboembolici cerebrali. Alla luce dei dati disponibili quindi non c’è alcuna ragione scientifica a supporto dell’adozione di un mal interpretato “Principio di Precauzione” (che mette sempre sul piatto della bilancia rischi e benefici), come peraltro ha ben sottolineato l’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) in tutti questi giorni. Per contro, l’interruzione della somministrazione crea situazioni di rischio ancor più elevato (come già avvenuto ad esempio rinviando l’uso delle mascherine nelle RSA per paure altrettanto infondate).La decisione di sospendere, anche solo per alcuni giorni, la somministrazione del vaccino AstraZeneca inoltre, soprattutto se amplificata da una comunicazione allarmistica, confusa e contraddittoria aumenterà l’esitazione vaccinale e la sfiducia nei confronti dei vaccini e della scienza in generale. Questo perché, purtroppo, la nostra mente, in questi casi non ci aiuta a valutare correttamente i rischi. Infatti:

1. ci porta ad avere paura dei rischi sbagliati (il vaccino invece del virus; l’aereo invece dell’automobile; lo screening invece del tumore);

2. ci fa ingenuamente pensare che “stare fermi e non fare niente” sia “più sicuro” che fare qualcosa di attivo (anche se siamo di fatto in mezzo ad una strada e ci stanno per investire);

3. ci fa pensare che la prevenzione sia solo un fastidio (come per le cinture di sicurezza, che però in caso di incidente ci possono salvare letteralmente la vita);

4. costruisce relazioni di causa effetto inesistenti (“Post Hoc Propter Hoc”: ieri un gatto nero mi ha attraversato la strada, ecco perché oggi ho preso la multa);

5. ci fa focalizzare su eventi negativi, anche se rari, perché ci colpiscono emotivamente, a maggior ragione se vengono amplificati dai media e dalle reti sociali in cui siamo immersi;

6. ci porta a sentirci meno turbati da un evento, seppur grave, che si ripete da tempo (i 500 morti al giorno di oggi per COVID, a marzo 2020 ci angosciavano, mentre ora ci sembrano solo fredda statistica), rispetto a qualcosa di nuovo con cui non abbiamo ancora familiarità come il vaccino (che anche se ha effetti avversi gravi limitatissimi, nell’ordine dello “zero virgola zero”, ci crea più “allarme” di 500 morti al giorno solo perché è qualcosa di nuovo).

E’ per questo che i decisori politici, scientifici e anche logistici devono avere ben presente questi “rischi della mente”, perché possono diventare “rischi per la vita”, specie in una situazione emergenziale collettiva. Davanti a dati evidenti sulla sicurezza vaccinale dopo milioni di dosi somministrate, e ribaditi ancora ieri dall’EMA, il “non fare” solo per assecondare paure infondate è molto pericoloso. a questa emergenza usciremo anche e soprattutto quando saremo in grado di elaborare una comunicazione chiara, forte e coerente basata su dati oggettivi e trasparenti.

L’ansia collettiva è parte del problema non della soluzione, non va né coltivata né cavalcata.Ora abbiamo due urgenze da affrontare subito: (1) recuperare il prima possibile le 200.000 vaccinazioni mancate di questi giorni, ma soprattutto (2) recuperare la fiducia delle persone messa in crisi da una decisione e da una comunicazione autolesionista davvero difficile da capire.

Stare fermi, in una pandemia, uccide. Torniamo a correre, per tornare a vivere.

  • La decisione è stata presa sulla spinta dei 7 (sette) eventi si sono verificati negli ultimi 2 mesi in Germania su 1.700.000 dosi di vaccino somministrate. Rapportato su base annuale, il dato equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno.Tutta la letteratura recente, a partire da uno studio realizzato in Olanda e uno in Australia, indica l’incidenza di questa malattia fra 13.2 eventi per milione per anno (CI 95% 10.6-16.1, Olanda) e 15.7 (CI 95% 12.9-19.0, Australia). È facile verificare come, su numeri così piccoli e popolazioni così ampie, le differenze osservate con quanto visto in Germania non siano significative (per i tecnici, lo Z-score per le differenze fra le proporzioni è pari a -1.4056, p pari a 0.15854). Oltretutto, per quanto riguarda lo studio olandese, si è osservato che per le donne fra 31 e 50 anni di età, l’incidenza è pari a 27.8 per milione per anno (con un intervallo di confidenza del 95% tra 19.8–38.2), del tutto in linea con i numeri osservati in Germania e con la distribuzione fra i sessi nota.

Arrivare ben informati alla vaccinazione anti-Covid-19

12 domande – 12 risposte

Dr. Stefano Zona & Prof. Guido Poli

  1. Cos’è un “Vaccino”?
    Il termine “vaccino” ha un significato storico: il medico inglese Edward Jenner a fine ‘700, notando che i mungitori spesso si ammalavano di una malattia delle mucche chiamata “vaiolo vaccino” (=delle vacche), ma erano resistenti al ben più grave vaiolo umano, inoculò il contenuto di una pustola di vaiolo vaccino nel braccio di un ragazzino e poi lo espose al vaiolo umano. Il ragazzino (e altri che furono trattati in seguito) non s’infettò mai di vaiolo umano. Da allora la procedura è universalmente definita “vaccinazione”.
    I vaccini espongono alle cellule del sistema immunitario quelle componenti dei patogeni (chiamate antìgeni – vedi sotto) utili a indurre una risposta immunitaria protettiva; servono quindi ad addestrare i linfociti, esattamente come si addestrano e si allenano i militari o gli atleti.
    Ogni giorno, nel nostro corpo, un esercito costituito da cellule di diversi tipi (complessivamente definito “sistema immunitario”) ci protegge da vari agenti infettivi molto diversi tra loro (batteri, vermi, funghi e virus) che potrebbero causare malattie. Il nostro sistema immunitario adotta una complessa strategia per difenderci, così da evitare di avere nuovamente la malattia nel caso di un secondo incontro con lo stesso agente patogeno. Nel caso delle malattie virali, il meccanismo di difesa più importante è la produzione di speciali proteine a forma di “Y” dette anticorpi.
    Gli antìgeni sono costituiti principalmente dalle proteine del patogeno. Quando il sistema immunitario riesce a reagire efficacemente, producendo anticorpi neutralizzanti (cioè capaci di legarsi all’agente patogeno impedendogli d’infettare le nostre cellule), allora sarà possibile produrre anche un vaccino efficace. Purtroppo, esistono gravi malattie infettive come l’AIDS, la malaria e la tubercolosi per cui non è ancora stato trovato un vaccino efficace.

2. Come fanno i vaccini a proteggerci dalle malattie infettive?

I vaccini sfruttano una proprietà del sistema immunitario nota come “memoria immunologica”. Ogni infezione lascia una “traccia” di sé in un piccolo numero di cellule immunitarie, definiti “linfociti memoria”. Nel caso in cui un individuo fosse nuovamente esposto allo stesso agente infettivo i linfociti memoria molto rapidamente attiverebbero una risposta immunitaria specifica contro quell’agente.

La componente più importante di questa risposta immunitaria sono gli anticorpi, proteine solubili in grado di riconoscere l’agente infettivo con alta specificità. A seconda dell’infezione, un certo livello di anticorpi rimane in circolo e, a volte, può essere sufficiente a proteggerci da infezioni successive.

La vaccinazione “inganna” il sistema immunitario facendogli credere che sia in atto un’infezione, per cui induce lo stesso tipo di anticorpi e la selezione di “linfociti memoria” che sarebbero indotti dall’infezione.

La vaccinazione è considerata “profilassi”, ovvero ha lo scopo di impedire (prevenire) l’infezione a differenza dei farmaci che vengono somministrati dopo che un’infezione si è instaurata e hanno lo scopo di eliminarla.

  1. Quanti vaccini abbiamo a disposizione contro la COVID-19, la malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2?

La malattia “COVID-19” è una grave patologia respiratoria che colpisce ca. il 10% delle persone che s’infettano col coronavirus SARS-CoV-2.
Al momento, in Italia, ci sono 3 vaccini autorizzati per la vaccinazione contro la COVID-19:
due vaccini basati sull’iniezione di RNA messaggero (RNAm, prodotti dalle ditte Pfizer/BioNtech e dalla ditta ModeRNA negli USA). A questi due si è recentemente aggiunto un terzo vaccino basato su una tecnologia diversa (vettori adenovirali) e prodotto dalla ditta AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford in Inghilterra.

Tutti e 3 i vaccini prevedono due dosi somministrate a diverse settimane di distanza l’una dall’altra con un’iniezione nel muscolo deltoide della spalla. I primi due vaccini a RNAm conferiscono una protezione di ca. il 95% (ovvero, su 100 persone vaccinate, 95 saranno protette e 5 no), mentre l’efficacia del terzo vaccino, per il momento, è di ca. il 63%.
Per questo motivo il vaccino di AstraZeneca/Oxford sarà destinato preferenzialmente a persone con meno di 55 anni, in quanto al di sotto di questa età anche in caso d’infezione si sviluppa raramente la malattia grave COVID-19.

4. Come vengono prodotte le proteine e perché è importante l’RNA messaggero (RNAm)?

Ogni cellula del nostro corpo è una “fabbrica” di proteine in base all’informazione del codice genetico scritto nel nostro DNA che si trova nel nucleo delle nostre cellule (esattamente come il tuorlo di un uovo). Dal DNA l’informazione di quali proteine fabbricare per una certa cellula viene copiata in molecole di RNA definite “RNA messaggeri” (RNAm) che escono dal nucleo e vanno nel citoplasma della cellula (l’albume dell’uovo) dove ci sono speciali “macchinette” (i ribosomi) che traducono il messaggio di RNA in una proteina specifica.

La rivoluzione, introdotta dai vaccini a mRNA di Pfizer/BioNTech e ModeRNA o nei vaccini a vettori virali che trasportano DNA di AstraZeneca/Oxford e Johnson&Johnson (tra poco in arrivo anche in Italia), sta nel far produrre le proteine virali alle cellule del corpo umano invece che introdurli artificialmente come fanno i vaccini tradizionali. Le cellule umane produrranno quindi solo l’informazione che serve per esprimere l’antigene virale adatto a stimolare la produzione di anticorpi protettivi. Nel caso di COVID-19 è la proteina virale detta “Spike” (= punta), che il virus utilizza come una chiave per entrare (infettare) le nostre cellule. Gli anticorpi anti-Spike prodotti in seguito alla vaccinazione sono in grado di bloccare il coronavirus qualora una persona vaccinata venisse esposta ad un potenziale contagio.

5. Come è possibile che il vaccino sia sicuro se è stato prodotto in tempi così rapidi?

Le ragioni sono molte, ma principalmente 3.

Prima di tutto l’imponente finanziamento della ricerca di uno o più vaccini: maggiore il finanziamento e più rapidi sono i tempi di produzione. Nel caso di questa emergenza mondiale, il finanziamento sia pubblico (degli stati) che privato è stato molto importante. Inoltre, è stato relativamente facile trovare le decine di migliaia di persone infettate e con malattia agli stadi iniziali che si sono sottoposte alla vaccinazione sperimentale per verificare l’efficacia dei vaccini. Infatti, questi vaccini sono stati testati e approvati in via preliminare per prevenire l’aggravamento dell’infezione e non per la loro efficacia nel prevenire l’infezione stessa che avrebbe richiesto molto più tempo, più finanziamenti e la possibilità di controllare con i tamponi se le persone vaccinate si sarebbero infettate di meno rispetto a quelle non vaccinate.

Un secondo motivo importante è stato che le tre fasi necessarie per approvare qualsiasi nuovo farmaco o vaccino (fase 1: sicurezza e mancanza di tossicità, testata su poche decine di persone; fase 2, definizione del dosaggio più efficace, testata su alcune centinaia di persone; fase 3, evidenza di efficacia clinica, testata su migliaia di persone) sono state condotte simultaneamente e non una dopo l’altra. Ciò è stato possibile perché, come ricordato sopra, molti stati e anche le stesse aziende hanno accettato il rischio di buttare via molti soldi nel caso di vaccini che si fossero rivelati tossici o non efficaci (com’è successo nel caso di un vaccino sperimentale australiano).

Terzo, le agenzie regolatorie che devono approvare i nuovi farmaci e vaccini (in Europa la “EMA”, European Medicines Agency, in Italia l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco) hanno modificato le loro procedure analizzando i risultati delle vaccinazioni man mano che questi venivano inviati senza aspettare la fine del periodo sperimentale, ma senza compromettere la sicurezza dei vaccini stessi.

Questi fattori combinati, unitamente al fatto che questo virus induce una robusta produzione di anticorpi, hanno permesso di ottenere vaccini efficaci in tempi incredibilmente rapidi.

  1. Se i vaccini contengono informazioni genetiche, possono modificare il mio DNA?
    I due vaccini di Pfizer e Moderna sono costituiti da una molecola di RNA messaggero (RNAm), avvolta in un guscio di grassi simili a quelli della membrana delle nostre cellule. La molecola di RNAm presente nel vaccino e inoculata nelle nostre cellule non entra nel loro nucleo dove risiede il DNA (il tuorlo dell’uovo), quindi la molecola di RNA del vaccino non può in alcun modo modificare il nostro DNA.
    Inoltre, per sua natura, l’RNAm è rapidamente degradato e quindi la sua azione è di brevissima durata, di qualche ora o al massimo di qualche giorno.

7. Quali sono gli effetti secondari principali?

I vaccini in generale sono molto sicuri e, mediamente, sono associati ad effetti collaterali gravi solo in 1 caso su un milione di persone vaccinate. Nel caso dei vaccini a RNAm effetti collaterali seri sono stati riscontrati in 1 persona su 100.000, quindi un po’ più frequentemente rispetto ai vaccini tradizionali. Questi effetti collaterali non sono causati dall’RNAm, ma dal guscio di grassi che lo contengono. E’ probabile che nei prossimi mesi le aziende produrranno vaccini con ancora minor probabilità di causare quei pochi casi di eventi avversi. Le reazioni più comuni registrate sono state:

1. Dolore nel sito di iniezione: lieve 70%; moderato 16%; severo 0,3% (cioè in 3 soggetti su mille);

2. Febbre (da 38°C in su): 4% alla prima dose e 16 % alla seconda dose;

3. Mal di testa: severo nel 3% alla seconda dose.

4. Dolori muscolari: 2% alla seconda dose.

Ci sono stati poi altre manifestazioni di qualche importanza, ma, in tutti i casi, si è trattato di effetti temporanei. Non ci sono ragioni per pensare ad effetti che si manifesteranno a distanza di mesi o anni, anche se il monitoraggio dei soggetti vaccinati continuerà nel tempo.

Durante le sperimentazioni non sono state riscontrate reazioni allergiche. Tuttavia, nel corso della vaccinazione in Inghilterra, due pazienti con storia personale di anafilassi (grave reazione allergica che coinvolge tutto il corpo) hanno sviluppato una forte reazione allergica al vaccino. Uno dei componenti dei vaccini a mRNA, il poli-etilen-glicole (PEG), usato nell’industria alimentare, può causare in soggetti predisposti reazioni allergiche più o meno gravi: è importante sottolineare che nessuna reazione allergica su milioni di somministrazioni di vaccino ha portato comunque alla morte o a effetti a lungo termine. Per questi motivi, chi soffre d reazioni allergiche gravi ai vaccini o a sostanze alimentari in generale deve segnalarlo al proprio medico (che probabilmente ne è già a conoscenza) e/o al medico che si appresta a somministrare il vaccino che prenderà opportuni provvedimenti. Non c’è nulla da temere per chi soffre di banali allergie stagionali.

  1. Cosa contengono i vaccini anti-Covid-19?
    I vaccini a mRNA contengono l’informazione genetica per produrre l’antigene Spike (mRNA) avvolta e protetta da una membrana di grassi e zuccheri. I vaccini a vettori virali contengono l’informazione genetica avvolgendolo in una capsula di adenovirus del raffreddore dello scimpanzé, per AstraZeneca/Oxford, o dell’uomo, per Johnson&Johnson (solo la capsula del virus, non possono quindi causare alcuna malattia). Quindi, non sono presenti sostanze potenzialmente pericolose.
  1. Quanto durerà la protezione data dal vaccino? Dovremo ripeterlo ogni anno?
    Poiché sia la pandemia che i vaccini hanno meno di un anno di vita non abbiamo ancora informazioni certe sulla durata dell’immunità conferita dall’infezione naturale o dai vaccini. Le informazioni preliminari raccolte in questi mesi indicano una durata di diversi mesi. Nella peggiore delle ipotesi dovremo prevedere una vaccinazione annuale come già facciamo per prevenire l’influenza stagionale.
  1. Si sente parlare di “varianti virali”…se circolassero in Italia sarebbero un ostacolo per l’efficacia dei vaccini?
    La presenza di varianti virali è nota fin dall’anno scorso; infatti, in Italia, in Europa e nel resto del mondo si è diffusa una prima variante (detta “D614G”) rispetto al virus originalmente emerso in Cina dotata “di una marcia in più” per contagiosità, anche se ciò non significa che sia più “aggressiva” nella singola persona infettata. Attualmente, vi sono altre varianti che stanno circolando e che vengono comunemente identificate come “variante inglese, brasiliana, sudafricana, ecc.”.
    Quasi tutte queste varianti sono neutralizzate dagli anticorpi indotti dai vaccini disponibili, anche se qualcuna di loro meno efficacemente. In ogni caso, le aziende stanno già programmando di modificare i vaccini in modo da bloccare efficacemente anche queste varianti; i vaccini a RNAm sono particolarmente “facili” da riprogrammare vista la semplicità della loro composizione.
  1. Chi ha avuto la COVID-19 si dovrà vaccinare? Sarà il caso di fare un
    dosaggio degli anticorpi?

    Come ricordato, si stanno ancora raccogliendo le informazioni sulla durata della risposta immunitaria nelle persone che si sono infettate per capire se possano considerarsi ragionevolmente protette dalla possibilità di infettarsi nuovamente. Le informazioni a disposizione attualmente sono molto incoraggianti in quanto i casi di seconda infezione sono molto limitati.
    Prudenzialmente, possiamo affermare che chi si è già infettato dovrebbe “andare in coda” rispetto a chi non è stato esposto già al virus. Tuttavia, in base alla disponibilità dei vaccini e alle priorità stabilite dal Ministero della Salute, è sicuramente una buona idea programmare di vaccinarsi più avanti per stimolare la produzione di anticorpi protettivi (quello che in gergo viene anche definito un “richiamo”, come la vaccinazione anti tetanica che viene eseguita per prudenza in caso di ferita accidentale quando ci si reca al Pronto Soccorso).
  1. Potrò scegliere quale vaccino utilizzare?
    No, questa è una scelta fatta dal Ministero della Salute che, in base alla disponibilità dei vaccini, definisce e aggiorna un elenco di priorità e assegna anche il tipo di vaccino più adatto.

UN TARDIVO LAMPO DI RAGIONEVOLEZZA

La sentenza della III sezione del Consiglio di Stato (CdS) (1) che consente la ripresa del Progetto LightUp è un ragionevole, anche se tardivo, lampo di ragionevolezza. La sequenza temporale degli eventi è ormai nota. Soffermiamoci sul vulnus che l’operato della III sezione ha inferto alla separazione, che deve esistere in uno Stato di diritto, tra i compiti e limiti della magistratura ed il fare della scienza.

Mettiamo anche da parte l’ovvia considerazione che la magistratura, amministrativa o penale, ha il dovere di intervenire nei casi di violazione della legge, in questo caso il DL.vo 26/2014 (2) sulla sperimentazione animale. Il limite che la legge impone è che la magistratura non possa intervenire nel merito degli aspetti scientifici e radici culturali di un progetto di ricerca già approvato dagli enti regolatori nazionali ed internazionali a ciò preposti, come nel caso di LightUp.

La richiesta del CdS alle Università di Torino e Parma ed al Ministero della Sanità di fornire le prove che non esistessero metodi alternativi all’uso dei macachi per studiare le residue capacità visive, a seguito di lesione delle aree visive cerebrali, è stato un chiaro esempio di capovolgimento dell’onere della prova, che andava chiesta al ricorrente, la LAV.

Per il progetto LightUp non era stato possibile reperire nella letteratura scientifica studi che mostrassero metodi alternativi in grado di studiare un fenomeno complesso, come un costrutto mentale, tra l’altro alterato. A ciò non sarebbero neanche serviti i modelli computazionali tanto cari alla LAV.  Questi, infatti, sono sempre ispirati da dati sperimentali raccolti grazie ai modelli animali, e solo in questo caso in grado di predire possibili e nuovi comportamenti di una rete neurale, artificiale o biologica che sia. Esiste una letteratura di grande spessore scientifico su questi aspetti. Ma questo la LAV non lo sa, né può saperlo la III sezione del CdS.  Da sottolineare che questa posizione è ormai uno stanco refrain animalista e della responsabile di questioni bio-sanitarie della LAV, Michela Kuan, la stessa che, in un suo “ispirato” articolo volto a combattere la povertà nel mondo e curare Ebola, ha proposto l’uso di “minerali e vitamine adeguati”2, e non certo quel vaccino scoperto proprio grazie all’uso dei macachi.

Il principio di ragionevolezza imponeva di rigettare il ricorso della LAV contro LightUp, come aveva fatto per ben due volte il TAR del Lazio. Oltre ad entrare nel merito del progetto, il CdS ha anche ignorato questo elementare principio, imponendo ai ricercatori, alle loro Università ed al Ministero della Salute, in quanto parti della catena autorizzativa, l’onere di dimostrare l’esistenza di ciò che non può esistere nello studio di funzioni nervose complesse, quei metodi alternativi, appunto, che sono sempre più una prospettiva illusoria per la ricerca fondamentale e translazionale.

Grazie alla coraggiosa e, per la prima volta non solitaria, battaglia dei responsabili della ricerca, i Professori Marco Tamietto e Luca Bonini, che hanno sentito il dovere di agire, e grazie al nostro continuo impegno ed ai dubbi sul comportamento dei giudici amministrativi espressi da diversi mezzi di informazione, il CdS ha chiesto a due esperti esterni un parere, peraltro non vincolante, che è stato dato in senso favorevole alla continuazione del progetto.

In conclusione, le precedenti delibere della III sezione del CdS, le esternazioni su LightUp del suo Presidente, Franco Frattini (4), collaboratore e testimonial (5) di una della parti in causa (la LAV), le perplessità che tutto ciò ha suscitato nella comunità scientifica e sulla stampa circa la terzietà di un collegio giudicante, fanno capire che aria tiri in alcune aule di Palazzo Spada, un luogo dove un’altra prospettiva illusoria, quella del Borromini, fa apparire grande ciò che nella realtà è piccolo, vera magia dell’architettura barocca!

Ci auguriamo che questo tardivo lampo di ragionevolezza del CdS, che è benvenuto, non venga smentito in futuro e che il rapporto tra magistratura e scienza evolva in senso costruttivo e non conflittuale, sulla base di una chiara separazione dei ruoli.  Come in un bell’articolo del 28.1.2021di Fiorenzo Conti (Presidente della Società italiana di Fisiologia) su Il Foglio, diciamo “Ofelè fa el to mesté!”.

La lezione positiva di questa storia è che per la prima volta emerge una comunità scientifica consapevole, combattiva e trasparente, che fa della difesa e diffusione del sapere scientifico e del dubbio ad esso inerente, non più considerati come un “tempo perso”, un aspetto costitutivo del divenire uno scienziato moderno. Nella scienza di domani, gli scienziati, ancora troppi, che rimangono chiusi nelle isole dorate dei loro laboratori non troveranno diritto di cittadinanza. L’aggiunta di nuove foto a questo embrionale album di famiglia renderà possibile combattere e vincere l’irrazionalità che oscura il pensare ed il fare, di vasti settori delle società moderne.

Roberto Caminiti

Neurofisiologo

Responsabile del Gruppo operativo sulla sperimentazione animale del Patto Trasversale per la Scienza.

1. https://www.giustizia-amministrativa.it/web/guest/dcsnprr (N. 00863/2021)

2. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/03/14/14G00036/sg

3. https://www.lav.it/news/ebola-curiamo-la-poverta-invece-di-testare-inutilmente-vaccini-su-scimmie

4. https://www.ilfoglio.it/scienza/2021/01/12/news/come-spegnere-la-scienza-frattini-e-il-caso-lightup–1669419/

https://twitter.com/FrancoFrattini/status/1140195330778161153

5. https://www.lav.it/cpanelav/js/ckeditor/kcfinder/upload/files/files/Bilancio%20Sociale_LAV%202018_low.pdf