CURE DOMICILIARI, BASTA BUFALE

Il Patto Trasversale per la Scienza e l’Associazione Biotecnologi Italiani stigmatizzano il fatto che informazioni pseudoscientifiche abbiano trovato spazio in una sala del Senato della Repubblica: le terapie domiciliari definite “precoci”, e promosse attraverso i social, anche se vengono presentate come miracolose, non lo sono e costituiscono un rischio per i malati. Le cure domiciliari, serie, in Italia esistono e sono quelle regolamentate e basate su evidenze scientifiche.

I casi Stamina e Di Bella ci dovrebbero aver insegnato a dubitare di chi promuove pseudoterapie senza portare prove scientifiche, ma solo racconti molto spesso privi di ogni riscontro. Abbiamo bisogno di una Medicina basata sulle evidenze, che devono essere pubblicate, discusse e condivise all’interno della Comunità Scientifica, e non di slogan dati in pasto alle piazze o sui media, il cui unico risultato è di creare false speranze nelle persone e indurle a non adottare comportamenti che potrebbero salvare loro la vita.

Si chiede pertanto agli organi competenti, dal Ministero all’Istituto Superiore di Sanitá dall’Aifa al Consiglio Superiore di Sanitá e al Garante per la privacy, ma anche agli Ordini Professionali e alle Società Scientifiche, di adempiere al proprio ruolo e di verificare ed intervenire rispetto a comportamenti che mettono potenzialmente a rischio la vita delle persone, come ad esempio:

la prescrizione di terapie off-label che utilizzano farmaci e integratori inutili o dannosi, senza tener conto della tempistica di somministrazione (come ad esempio il cortisone o l’eparina), né della posologia raccomandata o dell’interazione tra essi;


la pubblicizzazione e prescrizione di tali terapie via web, senza la visita del malato e senza che vi sia un razionale scientifico né una adeguata fase di raccolta dati per il monitoraggio dei risultati ottenuti;
la continua travisazione e denigrazione del protocollo domiciliare ufficiale e del lavoro delle migliaia di medici di medicina generale che lo applicano;


la richiesta di firmare non un consenso informato, ma una liberatoria per il medico che prescrive tali “cure”, in cui viene scaricata sul paziente ogni responsabilità civile e penale, cosa illegittima nel nostro Paese;


l’assenza di una chiara e precisa informativa sul trattamento dei dati personali e sensibili che vengono raccolti anche con mezzi del tutto inadeguati a garantirne la protezione.
la continua richiesta di “donazioni” con modalità opache quali Bitcoin o conti svizzeri.

Teniamo a ricordare che ad oggi abbiamo almeno 10 cose che sappiamo sulla gestione domiciliare della Covid-19:
Niente farmaci inutili e potenzialmente dannosi. L’85% di chi entra in contatto col virus SARS-CoV-2 resta asintomatico o paucisintomatico, questo è il dato che giustifica la “vigile attesa”, perché nella maggior parte dei casi il nostro sistema immunitario è in grado di gestire autonomamente l’infezione, ed è sufficiente il semplice ausilio di paracetamolo e antinfiammatori in presenza di febbre, dolori articolari o muscolari. La terapia farmacologica è indicata solo in particolari casi ed esistono protocolli di cura precisa per la gestione dei pazienti domiciliari.

Gli anticorpi monoclonali sono ad oggi indicati, entro 10 giorni dalla comparsa di sintomi, per alcune categorie a rischio come obesi, dializzati. Il plasma iperimmune non ha invece dimostrato di poter dare benefici certi.
L’uso precoce di cortisonici in assenza di sintomi, o con leggera sintomatologia, non è indicato perché può compromettere la risposta immunitaria. Anche nei casi indicati, la somministrazione non deve avvenire prima di 4 giorni dall’insorgenza dei sintomi per lo stesso motivo. Inoltre non tutti i cortisonici sono uguali, per la terapia è indicato il solo desametasone;

L’uso di eparina non è raccomandato a domicilio, soprattutto in pazienti non immobilizzati;

L’uso di antibiotici non è raccomandato a meno che, dopo visita medica, si sospetti una importante infezione batterica;

L’uso di idrossiclorochina non è raccomandato né a scopo terapeutico né a scopo di prevenzione;

L’utilizzo di antivirali come lopinavir, ritonavir non è raccomandato in quanto si sono dimostrati inefficaci. Il remdesivir è raccomandato solo per uso ospedaliero;

L’uso di ivermectina non è raccomandato nè come terapia nè come prevenzione, per la sua inutilità contro il coronavirus e l’alto profilo di rischio;

L’uso del parvulan, un generico immunostimolatore registrato in Brasile, ma non in Italia, come coadiuvante per il trattamento dell’acne, non è raccomandato per la sua inutilità contro SARS-CoV-2;

L’utilizzo di vitamina D, lattoferrina, quercetina ed altri integratori alimentari non è raccomandato per inefficacia terapeutica e di profilassi.

Le decisioni sulle strategie vaccinali non dovrebbero essere prese in seguito a un’onda emotiva

La morte di una giovane ragazza, associata e possibilmente causata dalla vaccinazione con vettore adenovirale, rappresenta una tragedia e colpisce emotivamente più dei freddi “numeri” dei decessi giornalieri per COVID-19. E’ ingiusto, ma è così, e non da oggi, spiegano gli psicologi. Ciò che non dovrebbe succedere, ma è successo, è che chi è preposto a prendere decisioni importanti per la collettività, lo faccia influenzato, anche solo per associazione temporale, da eventi emotivi quale il caso in questione. La decisione di cambiare strategia “in corsa” e adottare d’emblée l’approccio eterologo per la seconda dose vaccinale per chi ha ricevuto una prima dose con vaccino Astra-Zeneca (Vaxzevria) non poteva non avere la conseguenza di generare sconforto e confusione sia nei cittadini che nelle singole regioni, e non solo per comprensibili motivi logistici.

Il messaggio percepito, non voluto, ma inevitabile è stato: “la precedente strategia era sbagliata”, da cui, appunto, sconforto, confusione e reazioni emotive comprensibili del tipo “non siamo le vostre cavie da esperimento”.

Il dibattito scientifico sull’utilità e i potenziali vantaggi della vaccinazione eterologa (una dose col vaccino A, la seconda col vaccino B) è in corso ed iniziano a comparire, spesso in forma non ancora revisionata da altri scienziati (peer review), i primi risultati incoraggianti. Ma tradurre questo legittimo e importante dibattito dal contesto sperimentale, inclusivo di studi in “doppio cieco”, all’applicazione diretta, senza alcuna indicazione o raccomandazione di EMA e altre agenzie regolatorie, è intempestivo e, al di là delle migliori intenzioni, destinato ad alimentare ansie, confusione, difficoltà di analisi dei risultati vaccinali (già molto compromessi dall’eterogeneità delle strategie adottate dalle singole regioni).

Fortunatamente, tutti i vaccini sono “buoni vaccini” e funzionano proteggendo le persone dall’evoluzione in malattia grave, se infettate, e prevenendo efficientemente dalla trasmissione virale, soprattutto dopo la seconda dose. Nonostante la cattiva informazione e comunicazione che se ne sta facendo.

Per approfondimento, vedi: https://www.ilfoglio.it/salute/2021/06/15/news/mix-di-rischi-non-ragionati-su-astrazeneca-2519375/

Il PTS difende Enrico Bucci dagli attacchi della “lobby” dell’agricoltura biodinamica

Guido Poli: “La lotta alla pseudo-scienza, nelle sua varie dimensioni, è nel DNA del PTS. Enrico Bucci, da par suo, ha smontato e dimostrato l’inconsistenza scientifica della cosiddetta “agricoltura biodinamica”, come già denunciato dalla Senatrice a Vita, Prof.ssa Elena Cattaneo. Il PTS si riconosce pienamente in quanto espresso da entrambi e lo sosterrà con tutti i mezzi leciti in democrazia”.

Apprendiamo con sgomento che, in data 9 giugno 2021, nella seduta n. 334, è stato depositato presso il Senato della Repubblica, a firma del Senatore Saverio De Bonis, un Atto di Sindacato Ispettivo (n. 4-05612 –http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/Sindisp/0/1299462/index.html)  nei confronti del Prof. Enrico Bucci, noto ricercatore, divulgatore scientifico e coordinatore di un Gruppo Operativo dedicato alle frodi scientifiche e all’integrità nella ricerca nonché membro del Consiglio Direttivo del Patto Trasversale per la Scienza. Il Prof. Bucci, che tenta da anni di portare elementi di razionalità nel dibattito pubblico su altri temi scientifici con ripetuti interventi, compresa la recente pandemia di COVID-19, ha “meritato” l’attenzione del Senatore De Bonis per aver evidenziato l’inconsistenza scientifica dell’Agricoltura Biodinamica, erroneamente paragonata all’Agricoltura Biologica.

Esprimiamo la massima solidarietà a Enrico Bucci e condividiamo i suoi sforzi sottolineando che l’Agricoltura Biodinamica non è un’evoluzione o una branca dell’Agricoltura Biologica, come si sostiene anche nell’Atto depositato dal Senatore De Bonis, ma semmai una sua involuzione. Per chi fosse interessato ad approfondire rimandiamo ad una serie di recenti interventi di Bucci sul tema: https://www.ilfoglio.it/tag/biodinamica/

Cogliamo infine questa occasione per spronare il Senato della Repubblica a valorizzare il sapere scientifico, facendo anche tesoro delle importanti sfide imposte dalla pandemia e condurre il nostro Paese nel futuro, non nel passato occupandosi di pratiche esoteriche prive di qualunque fondamento scientifico.

Costi e benefici di AstraZeneca e Johnson & Johnson

Calcoliamo bene il rapporto costi/benefici della scelta di non somministrare i vaccini basati su vettore adenovirale (AstraZeneca e Johnson & Johnson) sotto i 60 anni

di Enrico Bucci, Luciano Butti, Corrado Canafoglia, Davide Ederle, Julia Filingeri, Andrea Grignolio, Diego Pavesio, Luca Pezzullo, Guido Poli, Guido Silvestri, Marco Tamietto, Vincenzo Trischitta, Francesca Ulivi, Andrea Uranic.

I ministeri della salute e le agenzie regolatorie di molti paesi europei, compreso il nostro, hanno deciso che è preferibile non vaccinare gli under 60 con Vaxzevria (il vaccino di AstraZeneca, AZ, a cui seguiranno probabilmente decisioni analoghe per quello prodotto dalla Johnson & Johnson, J&J), pur non vietandolo, perché in questa fascia d’età il rapporto costi/benefici non sarebbe sufficientemente favorevole. Ma siamo sicuri che sia così? Ma davvero se avessimo questi vaccini a disposizione per tutta la popolazione sarebbe meglio non vaccinare comunque gli under 60 ed attendere i mesi necessari per l’arrivo di altri vaccini? O se fra qualche mese, una volta vaccinati tutti gli over 60, non riuscissimo a vaccinare rapidamente gli under 60 con gli altri vaccini a mRNA davvero non dovremmo utilizzare i vaccini basati su vettori adenovirali per accorciare i tempi? Proviamo a ragionare sui dati disponibili e necessari per rispondere con ragionevole certezza a queste domande.

I dati disponibili

1. Nel primo anno di pandemia si stima (per difetto) che il 5% degli Italiani si sia infettata con SARS-CoV-2, il virus che causa la malattia nota come COVID-19

https://opendatadpc.maps.arcgis.com/apps/dashboards/b0c68bce2cce478eaac82fe38d4138b1

2. In Italia la popolazione degli adulti sotto i 60 anni è rappresentata al netto dei decimali da 32 milioni di individui:

–  19 milioni (il 59%) nella fascia 40-59 aa

–  13 milioni (il 41%) nella fascia 20-39 aa

https://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2019/

3. Il tasso di letalità (cioè quanti dei soggetti che hanno contratto l’infezione andranno incontro a morte) stimato dall’ISS è pari a:

–  0.4% nella fascia 40-59 anni

–  prossimo a 0% nella fascia 20-39 anni.

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_24-febbraio-2021.pdf

Gli scenari

Stante i dati sopraesposti, immaginiamo uno scenario in cui:

A. non si voglia/possa più stare in lockdown e si abbia un Rt pari almeno a 2 (ogni infetto contagia in media due persone; da sottolineare che in assenza di lockdown SARS-CoV-2 ha un Rt stimato di 2,4 senza tener conto di varianti più contagiose, quali l’”Inglese” che oramai è responsabile del 90% delle nuove infezioni);

B. tutti gli over 60 siano stati vaccinati e quindi siano protetti dal COVID-19 e dalle sue più temibili complicanze (scenario irrealistico sia perché non tutti si vaccineranno, sia perché la protezione per quanto ottima non è assoluta, ma qui si vuole essere conservativi);

C. i 32 milioni di Italiani nella fascia 20-59 anni non si vaccinano con Vaxzevria o J&J, aspettando per tre mesi un altro vaccino. E’ ipotizzabile che circa l’1.25% di essi (un quarto del 5%/anno di cui al punto 1) contrarrà l’infezione da SARS-CoV-2, cioè circa 400mila individui (236mila nella fascia 40-59 anni e 164mila nella fascia 20-39 anni). Questi, con Rt=2, a loro volta infetteranno altri 800mila individui, 472mila individui nella fascia 40-59 aa (per un totale in questa fascia di 708mila individui) e 328mila individui nella fascia 20-39 (per un totale in questa seconda fascia di 492mila unità).

Quanti decessi ci possiamo aspettare tra i soggetti infettati, in considerazione del tasso di letalità osservato in Italia e descritto al punto 3?

– nessun decesso (0%, esagerando in ottimismo) nei circa 490mila della fascia 20-39 anni

– lo 0,4% nei circa 700mila della fascia 40-59 aa pari a 2.800 decessi

E se si vuole considerare uno scenario con Rt pari a 1 (più o meno quello attuale ottenuto dopo un lungo lockdown), si fa in fretta a dimezzare per un totale di 1.400 morti.

Infine, ipotizzando che siano proprio i vaccini con vettore adenovirale a “causare” la trombosi venosa cerebrale (TVC) o addominale (TVA) con un’incidenza di 1/100mila (tutto da dimostrare sia in termini di causalità che di incidenza), non vaccinando i 32 milioni di Italiani under 60 eviteremmo circa 320 casi di TVC/TVA, una sessantina dei quali in forma letale.

Il rapporto costi/benefici

Quindi, in sintesi, in assenza di lockdown se per tre mesi tutti gli Italiani under 60 anni non si vaccinassero con AZ o J&J si devono mettere in conto alcune migliaia di decessi al fine di risparmiarne qualche decina…

Certo, questi numeri possono essere lievemente diversi in funzione di alcune variabili che è difficile controllare in maniera perfetta. Per esempio, nei prossimi 3-4 mesi, grazie all’innalzarsi della temperatura, il virus potrebbe circolare meno e causare meno vittime. D’altra parte, come si è detto, sappiamo che non accadrà mai che tutti gli over 60 si vaccineranno e ciò, inevitabilmente, aumenterà il numero dei contagiati e dei decessi causati dalla mancata vaccinazione degli under 60. 

Noi continuiamo a pensare che, se ci fosse (o se ci sarà in futuro) la disponibilità di questi vaccini, sarebbe bene somministrarli a tutti gli adulti, senza distinzione per classi d’età. L’EMA, peraltro, non ha indicato limiti d’età per l’uso di questi vaccini basati su vettori adenovirali   

(https://www.ema.europa.eu/en/news/astrazenecas-covid-19-vaccine-ema-finds-possible-link-very-rare-cases-unusual-blood-clots-low-blood  e

https://www.ema.europa.eu/en/news/covid-19-vaccine-janssen-ema-finds-possible-link-very-rare-cases-unusual-blood-clots-low-blood).

Inoltre, non è escluso che analizzando i dati, anche futuri, possa emergere il suggerimento che fra gli under 60 si dovrebbe dare precedenza ai maschi che rischiano più delle donne di contrarre il COVID-19 in forma grave e morirne https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_24-febbraio-2021.pdf

mentre, per contro, la stessa EMA ci informa che sono meno a rischio di sviluppare le rare forme di TVC/TVA associate a questi vaccini.

Non possiamo quindi essere d’accordo con chi sostiene: “non vacciniamo con AZ (o J&J) gli under 60 per evitare il rischio di TVC/TVA, tanto poi li vacciniamo fra qualche mese con altri vaccini” perché in quei “pochi” mesi diverse centinaia di migliaia di persone si ammaleranno, sovraccaricando il sistema ospedaliero, e, purtroppo, alcune migliaia moriranno.

Investire in ricerca per curare il Paese

terapie a confronto: approccio oligarchico o democratico

ll dibattito sull’impiego dei fondi del PNRR per la ricerca scientifica, si fa sempre più ampio e molte sono le proposte presentate al Governo. Dopo la nostra lettera di appoggio alla Senatrice Cattaneo, pubblichiamo questo articolo redatto da molti dei nostri soci.

Continua il dibattito sul tema della ricerca e sui criteri di valutazione per la distribuzione delle risorse. Il piano Amaldi, sottoscritto da eminenti scienziati, indica la strada per un’inversione di rotta e propone al governo una svolta ambiziosa per rendere competitivo il nostro Paese nel panorama internazionale: “investire in ricerca pubblica e capitale umano e sostenere la ricerca di base, fonte primaria dell’innovazione nelle società avanzate”.

Qualche settimana fa, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno voluto puntualizzare quello che gli scienziati che hanno sottoscritto l’appello di Amaldi hanno omesso di indicare: “Come far sì che questi maggiori finanziamenti migliorino effettivamente la qualità della ricerca?” Il ragionamento di Boeri e Perotti, esplicitato nel titolo dell’articolo, “Basta contributi a pioggia, i fondi vanno concentrati sulle università migliori”, ha stimolato un acceso dibattito nella comunità scientifica che vive le difficoltà di un sistema sottofinanziato e, nonostante tutto, da nord a sud, contribuisce a rendere il sistema della ricerca un punto di riferimento per lo sviluppo sociale, culturale e scientifico del Paese. Quella comunità scientifica che conosce molto bene il principio che le risorse debbano essere distribuite in base a criteri di merito e si oppone all’idea che istituzioni e fondazioni private, senza alcuna competizione, possano beneficiare a vita di soldi pubblici.

Una tale sperequazione nei criteri di distribuzione delle risorse creerebbe uno scollamento sociale e culturale, perché limiterebbe il fondamentale principio costituzionale che sancisce l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, senza il macigno di ostacoli di ordine economico. Una preoccupazione, questa, espressa recentemente, in un documento-appello indirizzato al Presidente Draghi, da un gruppo di giuristi universitari e autorevoli costituzionalisti.

Vorremmo quindi contribuire al dibattito con una proposta, che parte dal piano Amaldi.

Un Paese, per essere pronto alle nuove sfide, dovrebbe:

1) garantire finanziamenti pubblici per la ricerca di base, fondati su un accesso competitivo alle risorse, humus essenziale per far emergere eccellenze e talenti;

2) potenziare e rinnovare le infrastrutture esistenti, tenendo conto che, come dimostrano la storia passata e ancor più quella recente, la loro fruibilità in ogni campo è tanto maggiore quanto più ampia e diffusa è la rete di laboratori e centri che vi afferiscono;

3) rimuovere il macigno di una burocrazia ipertrofica che spesso frena le potenzialità di ricerca e sviluppo nelle università, mentre fondazioni private che godono di finanziamenti pubblici sono esentate da lacci, lacciuoli e freni burocratici (in altre parole, evitare che la ricerca italiana viaggi a due diverse velocità);

4) dotare il Ministero della Università e della Ricerca (MUR) di un ufficio ad hoc, permanente, composto da figure qualificate, non affiliate a strutture di ricerca italiane, costantemente aggiornate sulle complesse procedure di valutazione, istruito per gestire la delicata fase di erogazione del denaro pubblico;

5) adottare misure di detassazione che prevedano l’abolizione dell’IVA su reagenti e apparecchiature a favore di università e centri di ricerca senza scopo di lucro.

Il PNRR è un’occasione unica per rimettere l’Università e tutto il comparto della ricerca di base al centro delle politiche del nostro Paese. Bisogna tuttavia evitare di commettere errori, già avvenuti nel passato, che costringono a complesse e difficili modifiche in corso. Proporre, come si evince dalla bozza del PNRR, sette (perché sette?) iniziali nuovi poli di innovazione locale/territoriale distribuiti in diverse città (con quale criterio?) incaricati della erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati (quali? Con quale obiettivo?) e servizi innovativi qualificanti di trasferimento tecnologico (quali? In che misura? Con quali regole?) senza un preciso razionale, senza una definizione chiara degli obiettivi, senza verificare se quelle innovazioni siano in realtà già presenti nelle Università o negli Enti di ricerca esistenti, è l’ennesimo esercizio della politica di creare nuovi contenitori che toglierebbero valore al comparto della ricerca già esistente, senza probabilmente raggiungere lo scopo del PNRR.

Antonio Musarò, Alexandra Battaglia Mayer e Roberto Caminiti (La Sapienza Università di Roma)

Gaetano Di Chiara e Micaela Morelli (Università di Cagliari)

Ugo Borrello e Marco Onorati (Università di Pisa)

Michele Simonato (Università di Ferrara e Vita Salute San Raffaele, Milano)

Marco Tamietto (Università di Torino)

Paolo Pinton (Università di Ferrara)

Luciano Conti (Università di Trento)

Monica Mattioli Belmonte (Università Politecnica delle Marche)

Girolamo Calò e Michelangelo Cordenonsi (Università di Padova)

Gianpaolo Papaccio (Università di Napoli Vanvitelli)

Maria Grano (Università di Bari)

Daniele Bani e Elisabetta Cerbai (Università di Firenze)

Roberto Ciccocioppo (Università di Camerino)

Aumentare i finanziamenti alla ricerca, mettere in rete le strutture esistenti, evitare la creazione di nuovi enti.

Il PTS accanto alla Senatrice Cattaneo sul PNRR

Il Governo sta per approvare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nell’ambito dell’iniziativa Next Generation EU che ha come limite temporale il 2025. Ci sono stati diversi commenti alle linee esposte nel piano, compresi quelli della Senatrice a Vita, Prof.ssa Elena Cattaneo, in linea con la precedente proposta del fisico Ugo Amaldi sull’aumento sostanziale dei fondi per la ricerca che aveva ottenuto un amplissimo consenso e approvazione nel mondo scientifico. Noi, Patto Trasversale per la Scienza (PTS), ci associamo alle istanze della Senatrice Cattaneo, con particolare riferimento all’importanza di finanziare adeguatamente la ricerca pubblica, compresa quella di base, e al mettere in rete le strutture di ricerca pubblica già operanti sul territorio nazionale, evitando possibilmente la creazione di nuovi enti se ridondanti e non autenticamente innovativi rispetto a quelli già esistenti.

In linea con questa premessa, avanziamo alcuni princìpi finalizzati ad ottimizzare l’utilizzo dei finanziamenti che verranno stanziati a sostegno della ricerca scientifica nel PNRR.

1. Coordinamento. L’offerta di fondi per la ricerca dovrà essere coordinata per evitare l’attuale frammentazione di multipli bandi su tematiche simili e/o l’esistenza di bandi “di nicchia”. Inoltre, l’offerta dovrà essere rigorosamente programmata con precise scadenze annuali o biennali. Altrettanto rigorosamente programmate e rispettate dovranno essere le date di attribuzione dei fondi e le rendicontazioni dei progetti finanziati.

2. Trasparenza e Responsabilità. Sarà indispensabile una totale trasparenza sia nei processi di assegnazione dei fondi sia nella valutazione dei risultati conseguiti, nonché un’assunzione di responsabilità da parte dei ricercatori finanziati con denaro pubblico rispetto ai risultati prodotti. Strumentale a questo obiettivo sarebbe la creazione di un unico portale informativo nazionale pubblico (PortIN), che copra un periodo a ritroso di almeno 5 anni e che sia costantemente aggiornato sia sui bandi attivi sia sulla valutazione dei risultati ottenuti dai progetti finanziati nei precedenti bandi. Sarà inoltre necessario pubblicare sullo stesso sito PortIN la composizione delle commissioni valutatrici sia di assegnazione sia di consuntivo che dovranno essere diverse. Infine, sarà necessario pubblicare sullo stesso sito PortIN le valutazioni dei singoli progetti ed i relativi verbali dei lavori delle commissioni. Nel caso di progetti con durata superiore ai tre anni, sarà utile prevedere anche una valutazione in itinere (per es., dopo 2-3 anni dall’inizio) del progresso e/o di deviazioni significative dal progetto originale.

3. Albo di Esperti. Sarà opportuno creare, con criteri prestabiliti di competenza scientifica internazionalmente riconosciuta, un albo di esperti che preveda anche la presenza di stranieri, per la valutazione delle proposte progettuali con un meccanismo di revisione paritaria (peer review). Sempre in linea con modelli di altre agenzie internazionali per la ricerca, ogni settore disciplinare presente nell’albo dovrà essere suddiviso in sotto-settori per consentire di rappresentare anche aree di ricerca che, seppure minoritarie, hanno un ruolo cruciale nel campo della conoscenza di base e della diffusione del sapere. La presenza di ogni revisore nell’albo dovrà avere un limite temporale (5 anni) e pertanto l’albo dovrà essere continuativamente rinnovato. Ciascun commissario dovrà essere individuato attraverso estrazione a sorte dall’albo e non potrà far parte di più di una commissione all’interno del medesimo bando né potrà essere nominato in successive commissioni di valutazione, se non dopo almeno 2 anni di inattività. 

4. Partecipazione ai bandi. La partecipazione ai bandi dovrà essere garantita a ciascun ricercatore e non dovrà prevedere un contingentamento di Ente/Istituzione nel numero di progetti presentabili. Negli ultimi anni in particolare abbiamo assistito spesso alla formazione di cordate per la partecipazione a bandi regionali o nazionali che hanno reso difficile, quando non impossibile, la partecipazione di ricercatori giovani e/o al di fuori di network già consolidati, arrecando così un grave danno potenziale per il rinnovamento delle idee e dei protagonisti della ricerca scientifica in costante evoluzione.

Anlaids Lazio e PTS insieme – webinar con gli Esperti

Anlaids Lazio e PTS insieme per una serie di webinar con gli Esperti per approfondire i temi meno conosciuti e più specifici delle Pandemie da Sars-Cv-2 e HIV.

Si comincia oggi con l’infettivologo Francesco Maria Di Campli (socio PTS)
Introducono il dott. Massimo Ghenzer – presidente Anlaids Lazio – e il prof. Guido Poli – Presidente PTS.
ore 17:30 in diretta su Zoom, disponibile anche su Facebook e Youtube.

Per info e prenotazioni: segreteria@anlaidslazio.it
Le iscrizioni su Zoom sono possibili fino ad esaurimento degli accessi disponibili.

Nelle prossime settimane interverrano i nostri Andrea Antinori, Guido Poli, Andrea Grignolio ed Elisa Vincenzi.
Negli altri incontri ci saranno poi scienziati di grande caratura come Stefano Vella, Massimo Galli e Giorgio Palù.

Buona visione!

ANCHE IL “NON FARE” FA

Le 200.000 dosi di vaccino Astrazeneca sospese non sono a costo zero

Il Patto Trasversale per la Scienza e l’Associazione Biotecnologi Italiani criticano la scelta governativa di aver sospeso la somministrazione del vaccino AstraZeneca in assenza di chiare evidenze scientifiche. Serve più trasparenza nelle motivazioni di scelte così drastiche che rischiano di avere un forte impatto sulla fiducia delle persone nei vaccini e sul successo della più grande campagna di vaccinazione di massa della nostra storia recente. Siamo in mezzo ad una strada e un TIR che ci sta venendo contro rapidamente. Stiamo per spostarci, ma notiamo in lontananza un piccolo movimento e di colpo ci fermiamo “per precauzione”. L’esito sappiamo già qual è. Lo immaginiamo benissimo. Ecco, oggi ci troviamo nella stessa situazione.

La sospensione delle somministrazioni del vaccino di AstraZeneca, con la terza ondata epidemica in pieno svolgimento, è equivalente a restare in mezzo alla strada mentre un TIR ci viene addosso, può causare molti più danni di quelli che si cercano di evitare con la sospensione. Spesso si pensa che “nel dubbio” sia meglio fermare tutto, e che questa sia sempre la scelta più sicura. Qual è però oggi il vero rischio? Con 300-500 morti per COVID-19 al giorno, senza contare il sovraccarico dei ricoveri ospedalieri e delle terapie intensive, il vero rischio è proprio il fermarsi, soprattutto senza un più che valido motivo e, nel farlo, incrinare la fiducia consolidata in questi primi mesi di vaccinazione, proprio nel momento in cui la si sta estendendo a tutta la popolazione.

La realtà è che ogni giorno in Italia per COVID muore un numero di persone equivalente a 4 aerei passeggeri. Quattro aerei pieni di Matteo, Antonio, Maria, Rosa, Emanuela, Franco… che, non vaccinandosi oggi, non saranno protetti dal virus e che, se colpiti, non riusciranno a superarlo. Per non parlare di tutte le altre persone colpite da forme più o meno gravi che, pur guarendo, soffriranno di strascichi importanti per molti mesi. Sia chiaro: è fondamentale la vigilanza, verificare ogni segno che evidenzi anomalie (contaminazioni di lotti, eventi avversi non rilevati durante le fasi sperimentali, ecc.), ma se le evidenze statistiche – come in questo caso – indicano che si è ampiamente all’interno dei numeri attesi (siano questi gli effetti avversi o i decessi per patologie anche rare), sospendere la profilassi vaccinale non ha l’effetto di aumentare la sicurezza, bensì, al contrario, di aumentare il rischio collettivo che ci assumiamo.

Prendiamo, ad esempio, la rara trombosi del seno venoso cerebrale alla base della decisione tedesca di sospendere la vaccinazione. La decisione è stata presa dopo che in Germania si erano registrati 7 eventi (di cui 6 in giovani donne). Sulla base di quanto è stato reso fin qui noto, questi 7 (sette) eventi si sono verificati dopo la somministrazione di 1.700.000 dosi di vaccino, nell’arco temporale di due mesi. Questo equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno. Questo numero è del tutto in linea con quanto osservato nella popolazione generale, in particolare femminile, sulla base dei dati disponibili nella letteratura scientifica (ca. 28 casi/anno/milione di donne)*.

Analogamente, anche in Inghilterra, la nazione col maggior numero di vaccinati con il vaccino AstraZeneca, circa 11 milioni di persone, non si è osservato un eccesso statistico di eventi tromboembolici cerebrali. Alla luce dei dati disponibili quindi non c’è alcuna ragione scientifica a supporto dell’adozione di un mal interpretato “Principio di Precauzione” (che mette sempre sul piatto della bilancia rischi e benefici), come peraltro ha ben sottolineato l’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) in tutti questi giorni. Per contro, l’interruzione della somministrazione crea situazioni di rischio ancor più elevato (come già avvenuto ad esempio rinviando l’uso delle mascherine nelle RSA per paure altrettanto infondate).La decisione di sospendere, anche solo per alcuni giorni, la somministrazione del vaccino AstraZeneca inoltre, soprattutto se amplificata da una comunicazione allarmistica, confusa e contraddittoria aumenterà l’esitazione vaccinale e la sfiducia nei confronti dei vaccini e della scienza in generale. Questo perché, purtroppo, la nostra mente, in questi casi non ci aiuta a valutare correttamente i rischi. Infatti:

1. ci porta ad avere paura dei rischi sbagliati (il vaccino invece del virus; l’aereo invece dell’automobile; lo screening invece del tumore);

2. ci fa ingenuamente pensare che “stare fermi e non fare niente” sia “più sicuro” che fare qualcosa di attivo (anche se siamo di fatto in mezzo ad una strada e ci stanno per investire);

3. ci fa pensare che la prevenzione sia solo un fastidio (come per le cinture di sicurezza, che però in caso di incidente ci possono salvare letteralmente la vita);

4. costruisce relazioni di causa effetto inesistenti (“Post Hoc Propter Hoc”: ieri un gatto nero mi ha attraversato la strada, ecco perché oggi ho preso la multa);

5. ci fa focalizzare su eventi negativi, anche se rari, perché ci colpiscono emotivamente, a maggior ragione se vengono amplificati dai media e dalle reti sociali in cui siamo immersi;

6. ci porta a sentirci meno turbati da un evento, seppur grave, che si ripete da tempo (i 500 morti al giorno di oggi per COVID, a marzo 2020 ci angosciavano, mentre ora ci sembrano solo fredda statistica), rispetto a qualcosa di nuovo con cui non abbiamo ancora familiarità come il vaccino (che anche se ha effetti avversi gravi limitatissimi, nell’ordine dello “zero virgola zero”, ci crea più “allarme” di 500 morti al giorno solo perché è qualcosa di nuovo).

E’ per questo che i decisori politici, scientifici e anche logistici devono avere ben presente questi “rischi della mente”, perché possono diventare “rischi per la vita”, specie in una situazione emergenziale collettiva. Davanti a dati evidenti sulla sicurezza vaccinale dopo milioni di dosi somministrate, e ribaditi ancora ieri dall’EMA, il “non fare” solo per assecondare paure infondate è molto pericoloso. a questa emergenza usciremo anche e soprattutto quando saremo in grado di elaborare una comunicazione chiara, forte e coerente basata su dati oggettivi e trasparenti.

L’ansia collettiva è parte del problema non della soluzione, non va né coltivata né cavalcata.Ora abbiamo due urgenze da affrontare subito: (1) recuperare il prima possibile le 200.000 vaccinazioni mancate di questi giorni, ma soprattutto (2) recuperare la fiducia delle persone messa in crisi da una decisione e da una comunicazione autolesionista davvero difficile da capire.

Stare fermi, in una pandemia, uccide. Torniamo a correre, per tornare a vivere.

  • La decisione è stata presa sulla spinta dei 7 (sette) eventi si sono verificati negli ultimi 2 mesi in Germania su 1.700.000 dosi di vaccino somministrate. Rapportato su base annuale, il dato equivale a poco meno di 25 eventi per milione di dosi per anno.Tutta la letteratura recente, a partire da uno studio realizzato in Olanda e uno in Australia, indica l’incidenza di questa malattia fra 13.2 eventi per milione per anno (CI 95% 10.6-16.1, Olanda) e 15.7 (CI 95% 12.9-19.0, Australia). È facile verificare come, su numeri così piccoli e popolazioni così ampie, le differenze osservate con quanto visto in Germania non siano significative (per i tecnici, lo Z-score per le differenze fra le proporzioni è pari a -1.4056, p pari a 0.15854). Oltretutto, per quanto riguarda lo studio olandese, si è osservato che per le donne fra 31 e 50 anni di età, l’incidenza è pari a 27.8 per milione per anno (con un intervallo di confidenza del 95% tra 19.8–38.2), del tutto in linea con i numeri osservati in Germania e con la distribuzione fra i sessi nota.

Arrivare ben informati alla vaccinazione anti-Covid-19

12 domande – 12 risposte

Dr. Stefano Zona & Prof. Guido Poli

  1. Cos’è un “Vaccino”?
    Il termine “vaccino” ha un significato storico: il medico inglese Edward Jenner a fine ‘700, notando che i mungitori spesso si ammalavano di una malattia delle mucche chiamata “vaiolo vaccino” (=delle vacche), ma erano resistenti al ben più grave vaiolo umano, inoculò il contenuto di una pustola di vaiolo vaccino nel braccio di un ragazzino e poi lo espose al vaiolo umano. Il ragazzino (e altri che furono trattati in seguito) non s’infettò mai di vaiolo umano. Da allora la procedura è universalmente definita “vaccinazione”.
    I vaccini espongono alle cellule del sistema immunitario quelle componenti dei patogeni (chiamate antìgeni – vedi sotto) utili a indurre una risposta immunitaria protettiva; servono quindi ad addestrare i linfociti, esattamente come si addestrano e si allenano i militari o gli atleti.
    Ogni giorno, nel nostro corpo, un esercito costituito da cellule di diversi tipi (complessivamente definito “sistema immunitario”) ci protegge da vari agenti infettivi molto diversi tra loro (batteri, vermi, funghi e virus) che potrebbero causare malattie. Il nostro sistema immunitario adotta una complessa strategia per difenderci, così da evitare di avere nuovamente la malattia nel caso di un secondo incontro con lo stesso agente patogeno. Nel caso delle malattie virali, il meccanismo di difesa più importante è la produzione di speciali proteine a forma di “Y” dette anticorpi.
    Gli antìgeni sono costituiti principalmente dalle proteine del patogeno. Quando il sistema immunitario riesce a reagire efficacemente, producendo anticorpi neutralizzanti (cioè capaci di legarsi all’agente patogeno impedendogli d’infettare le nostre cellule), allora sarà possibile produrre anche un vaccino efficace. Purtroppo, esistono gravi malattie infettive come l’AIDS, la malaria e la tubercolosi per cui non è ancora stato trovato un vaccino efficace.

2. Come fanno i vaccini a proteggerci dalle malattie infettive?

I vaccini sfruttano una proprietà del sistema immunitario nota come “memoria immunologica”. Ogni infezione lascia una “traccia” di sé in un piccolo numero di cellule immunitarie, definiti “linfociti memoria”. Nel caso in cui un individuo fosse nuovamente esposto allo stesso agente infettivo i linfociti memoria molto rapidamente attiverebbero una risposta immunitaria specifica contro quell’agente.

La componente più importante di questa risposta immunitaria sono gli anticorpi, proteine solubili in grado di riconoscere l’agente infettivo con alta specificità. A seconda dell’infezione, un certo livello di anticorpi rimane in circolo e, a volte, può essere sufficiente a proteggerci da infezioni successive.

La vaccinazione “inganna” il sistema immunitario facendogli credere che sia in atto un’infezione, per cui induce lo stesso tipo di anticorpi e la selezione di “linfociti memoria” che sarebbero indotti dall’infezione.

La vaccinazione è considerata “profilassi”, ovvero ha lo scopo di impedire (prevenire) l’infezione a differenza dei farmaci che vengono somministrati dopo che un’infezione si è instaurata e hanno lo scopo di eliminarla.

  1. Quanti vaccini abbiamo a disposizione contro la COVID-19, la malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2?

La malattia “COVID-19” è una grave patologia respiratoria che colpisce ca. il 10% delle persone che s’infettano col coronavirus SARS-CoV-2.
Al momento, in Italia, ci sono 3 vaccini autorizzati per la vaccinazione contro la COVID-19:
due vaccini basati sull’iniezione di RNA messaggero (RNAm, prodotti dalle ditte Pfizer/BioNtech e dalla ditta ModeRNA negli USA). A questi due si è recentemente aggiunto un terzo vaccino basato su una tecnologia diversa (vettori adenovirali) e prodotto dalla ditta AstraZeneca in collaborazione con l’università di Oxford in Inghilterra.

Tutti e 3 i vaccini prevedono due dosi somministrate a diverse settimane di distanza l’una dall’altra con un’iniezione nel muscolo deltoide della spalla. I primi due vaccini a RNAm conferiscono una protezione di ca. il 95% (ovvero, su 100 persone vaccinate, 95 saranno protette e 5 no), mentre l’efficacia del terzo vaccino, per il momento, è di ca. il 63%.
Per questo motivo il vaccino di AstraZeneca/Oxford sarà destinato preferenzialmente a persone con meno di 55 anni, in quanto al di sotto di questa età anche in caso d’infezione si sviluppa raramente la malattia grave COVID-19.

4. Come vengono prodotte le proteine e perché è importante l’RNA messaggero (RNAm)?

Ogni cellula del nostro corpo è una “fabbrica” di proteine in base all’informazione del codice genetico scritto nel nostro DNA che si trova nel nucleo delle nostre cellule (esattamente come il tuorlo di un uovo). Dal DNA l’informazione di quali proteine fabbricare per una certa cellula viene copiata in molecole di RNA definite “RNA messaggeri” (RNAm) che escono dal nucleo e vanno nel citoplasma della cellula (l’albume dell’uovo) dove ci sono speciali “macchinette” (i ribosomi) che traducono il messaggio di RNA in una proteina specifica.

La rivoluzione, introdotta dai vaccini a mRNA di Pfizer/BioNTech e ModeRNA o nei vaccini a vettori virali che trasportano DNA di AstraZeneca/Oxford e Johnson&Johnson (tra poco in arrivo anche in Italia), sta nel far produrre le proteine virali alle cellule del corpo umano invece che introdurli artificialmente come fanno i vaccini tradizionali. Le cellule umane produrranno quindi solo l’informazione che serve per esprimere l’antigene virale adatto a stimolare la produzione di anticorpi protettivi. Nel caso di COVID-19 è la proteina virale detta “Spike” (= punta), che il virus utilizza come una chiave per entrare (infettare) le nostre cellule. Gli anticorpi anti-Spike prodotti in seguito alla vaccinazione sono in grado di bloccare il coronavirus qualora una persona vaccinata venisse esposta ad un potenziale contagio.

5. Come è possibile che il vaccino sia sicuro se è stato prodotto in tempi così rapidi?

Le ragioni sono molte, ma principalmente 3.

Prima di tutto l’imponente finanziamento della ricerca di uno o più vaccini: maggiore il finanziamento e più rapidi sono i tempi di produzione. Nel caso di questa emergenza mondiale, il finanziamento sia pubblico (degli stati) che privato è stato molto importante. Inoltre, è stato relativamente facile trovare le decine di migliaia di persone infettate e con malattia agli stadi iniziali che si sono sottoposte alla vaccinazione sperimentale per verificare l’efficacia dei vaccini. Infatti, questi vaccini sono stati testati e approvati in via preliminare per prevenire l’aggravamento dell’infezione e non per la loro efficacia nel prevenire l’infezione stessa che avrebbe richiesto molto più tempo, più finanziamenti e la possibilità di controllare con i tamponi se le persone vaccinate si sarebbero infettate di meno rispetto a quelle non vaccinate.

Un secondo motivo importante è stato che le tre fasi necessarie per approvare qualsiasi nuovo farmaco o vaccino (fase 1: sicurezza e mancanza di tossicità, testata su poche decine di persone; fase 2, definizione del dosaggio più efficace, testata su alcune centinaia di persone; fase 3, evidenza di efficacia clinica, testata su migliaia di persone) sono state condotte simultaneamente e non una dopo l’altra. Ciò è stato possibile perché, come ricordato sopra, molti stati e anche le stesse aziende hanno accettato il rischio di buttare via molti soldi nel caso di vaccini che si fossero rivelati tossici o non efficaci (com’è successo nel caso di un vaccino sperimentale australiano).

Terzo, le agenzie regolatorie che devono approvare i nuovi farmaci e vaccini (in Europa la “EMA”, European Medicines Agency, in Italia l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco) hanno modificato le loro procedure analizzando i risultati delle vaccinazioni man mano che questi venivano inviati senza aspettare la fine del periodo sperimentale, ma senza compromettere la sicurezza dei vaccini stessi.

Questi fattori combinati, unitamente al fatto che questo virus induce una robusta produzione di anticorpi, hanno permesso di ottenere vaccini efficaci in tempi incredibilmente rapidi.

  1. Se i vaccini contengono informazioni genetiche, possono modificare il mio DNA?
    I due vaccini di Pfizer e Moderna sono costituiti da una molecola di RNA messaggero (RNAm), avvolta in un guscio di grassi simili a quelli della membrana delle nostre cellule. La molecola di RNAm presente nel vaccino e inoculata nelle nostre cellule non entra nel loro nucleo dove risiede il DNA (il tuorlo dell’uovo), quindi la molecola di RNA del vaccino non può in alcun modo modificare il nostro DNA.
    Inoltre, per sua natura, l’RNAm è rapidamente degradato e quindi la sua azione è di brevissima durata, di qualche ora o al massimo di qualche giorno.

7. Quali sono gli effetti secondari principali?

I vaccini in generale sono molto sicuri e, mediamente, sono associati ad effetti collaterali gravi solo in 1 caso su un milione di persone vaccinate. Nel caso dei vaccini a RNAm effetti collaterali seri sono stati riscontrati in 1 persona su 100.000, quindi un po’ più frequentemente rispetto ai vaccini tradizionali. Questi effetti collaterali non sono causati dall’RNAm, ma dal guscio di grassi che lo contengono. E’ probabile che nei prossimi mesi le aziende produrranno vaccini con ancora minor probabilità di causare quei pochi casi di eventi avversi. Le reazioni più comuni registrate sono state:

1. Dolore nel sito di iniezione: lieve 70%; moderato 16%; severo 0,3% (cioè in 3 soggetti su mille);

2. Febbre (da 38°C in su): 4% alla prima dose e 16 % alla seconda dose;

3. Mal di testa: severo nel 3% alla seconda dose.

4. Dolori muscolari: 2% alla seconda dose.

Ci sono stati poi altre manifestazioni di qualche importanza, ma, in tutti i casi, si è trattato di effetti temporanei. Non ci sono ragioni per pensare ad effetti che si manifesteranno a distanza di mesi o anni, anche se il monitoraggio dei soggetti vaccinati continuerà nel tempo.

Durante le sperimentazioni non sono state riscontrate reazioni allergiche. Tuttavia, nel corso della vaccinazione in Inghilterra, due pazienti con storia personale di anafilassi (grave reazione allergica che coinvolge tutto il corpo) hanno sviluppato una forte reazione allergica al vaccino. Uno dei componenti dei vaccini a mRNA, il poli-etilen-glicole (PEG), usato nell’industria alimentare, può causare in soggetti predisposti reazioni allergiche più o meno gravi: è importante sottolineare che nessuna reazione allergica su milioni di somministrazioni di vaccino ha portato comunque alla morte o a effetti a lungo termine. Per questi motivi, chi soffre d reazioni allergiche gravi ai vaccini o a sostanze alimentari in generale deve segnalarlo al proprio medico (che probabilmente ne è già a conoscenza) e/o al medico che si appresta a somministrare il vaccino che prenderà opportuni provvedimenti. Non c’è nulla da temere per chi soffre di banali allergie stagionali.

  1. Cosa contengono i vaccini anti-Covid-19?
    I vaccini a mRNA contengono l’informazione genetica per produrre l’antigene Spike (mRNA) avvolta e protetta da una membrana di grassi e zuccheri. I vaccini a vettori virali contengono l’informazione genetica avvolgendolo in una capsula di adenovirus del raffreddore dello scimpanzé, per AstraZeneca/Oxford, o dell’uomo, per Johnson&Johnson (solo la capsula del virus, non possono quindi causare alcuna malattia). Quindi, non sono presenti sostanze potenzialmente pericolose.
  1. Quanto durerà la protezione data dal vaccino? Dovremo ripeterlo ogni anno?
    Poiché sia la pandemia che i vaccini hanno meno di un anno di vita non abbiamo ancora informazioni certe sulla durata dell’immunità conferita dall’infezione naturale o dai vaccini. Le informazioni preliminari raccolte in questi mesi indicano una durata di diversi mesi. Nella peggiore delle ipotesi dovremo prevedere una vaccinazione annuale come già facciamo per prevenire l’influenza stagionale.
  1. Si sente parlare di “varianti virali”…se circolassero in Italia sarebbero un ostacolo per l’efficacia dei vaccini?
    La presenza di varianti virali è nota fin dall’anno scorso; infatti, in Italia, in Europa e nel resto del mondo si è diffusa una prima variante (detta “D614G”) rispetto al virus originalmente emerso in Cina dotata “di una marcia in più” per contagiosità, anche se ciò non significa che sia più “aggressiva” nella singola persona infettata. Attualmente, vi sono altre varianti che stanno circolando e che vengono comunemente identificate come “variante inglese, brasiliana, sudafricana, ecc.”.
    Quasi tutte queste varianti sono neutralizzate dagli anticorpi indotti dai vaccini disponibili, anche se qualcuna di loro meno efficacemente. In ogni caso, le aziende stanno già programmando di modificare i vaccini in modo da bloccare efficacemente anche queste varianti; i vaccini a RNAm sono particolarmente “facili” da riprogrammare vista la semplicità della loro composizione.
  1. Chi ha avuto la COVID-19 si dovrà vaccinare? Sarà il caso di fare un
    dosaggio degli anticorpi?

    Come ricordato, si stanno ancora raccogliendo le informazioni sulla durata della risposta immunitaria nelle persone che si sono infettate per capire se possano considerarsi ragionevolmente protette dalla possibilità di infettarsi nuovamente. Le informazioni a disposizione attualmente sono molto incoraggianti in quanto i casi di seconda infezione sono molto limitati.
    Prudenzialmente, possiamo affermare che chi si è già infettato dovrebbe “andare in coda” rispetto a chi non è stato esposto già al virus. Tuttavia, in base alla disponibilità dei vaccini e alle priorità stabilite dal Ministero della Salute, è sicuramente una buona idea programmare di vaccinarsi più avanti per stimolare la produzione di anticorpi protettivi (quello che in gergo viene anche definito un “richiamo”, come la vaccinazione anti tetanica che viene eseguita per prudenza in caso di ferita accidentale quando ci si reca al Pronto Soccorso).
  1. Potrò scegliere quale vaccino utilizzare?
    No, questa è una scelta fatta dal Ministero della Salute che, in base alla disponibilità dei vaccini, definisce e aggiorna un elenco di priorità e assegna anche il tipo di vaccino più adatto.

Separare le gestioni dei finanziamenti pubblici per l’emergenza pandemica e dei fondi per la ricerca scientifica correlata

Abbiamo letto in questi giorni un interessante dialogo sulla stampa nazionale tra Luciano Capone ed Enrico Bucci, da un lato, e Domenico Arcuri, Commissario Straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19”, nonché Amministratore Delegato di Invitalia S.p.A. (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa S.p.A.), coadiuvato da Giuseppe Ippolito, Direttore Scientifico dell’IRCCS “L. Spallanzani” (unico IRCCS italiano dedicato interamente alle malattie infettive), Nicola Magrini, Direttore Generale dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), e Antonella Folgori (Presidente, ReiThera).

Il dialogo ha riguardato il significativo investimento (81 milioni di €) di Invitalia SpA in ReiThera, piccola biotech italiana consorziata con due aziende europee, una in Belgio e l’altra in Germania, per lo sviluppo e la produzione di un vaccino anti-COVID-19 basato sulla tecnologia dei vettori adenovirali, una strategia simile a quella adottata per vaccini che hanno ottenuto già la licenza d’uso condizionata in Italia, come nel caso di Astra-Zeneca/Oxford.

Sebbene condividiamo in toto le perplessità tecniche sul progetto specifico del vaccino sperimentale di ReiThera, ben evidenziate da Enrico Bucci e riprese indipendentemente da Antonella Viola, entrambi membri del Consiglio Direttivo del PTS, qui desideriamo focalizzarci su un aspetto più generale della vicenda.

Innanzitutto, secondo quanto già emerso dalla stampa, e largamente anticipato il 16/11/2020 da un servizio di “Report”, parrebbe essere stato messo in atto in questo caso un meccanismo facilitato da conoscenze personali che hanno anche apparentemente coinvolto in un ruolo attivo diverse figure istituzionali per facilitare un finanziamento diretto a ReiThera in assenza di qualsiasi procedura pubblica e trasparente sul processo adottato. Al riguardo, il Dr. Magrini (AIFA) in occasione della conferenza stampa del 5 gennaio 2021 ha parlato di una “serie di facili e snelli rapporti personali tra molte delle persone individuate e anche la collaborazione con la struttura commissariale”.

Al riguardo, desideriamo sottolineare che ogni investimento in ricerca e sviluppo di denaro pubblico, anche se in taluni e ben determinati casi siano adottati criteri “top-down” per aumentare l’efficienza e la velocità del processo, debba avvenire nella totale trasparenza sulla procedura di assegnazione, sulle ragioni per l’identificazione dei possibili soggetti finanziati e sulla valutazione scientifica e tecnico-finanziaria, prima, durante e dopo l’investimento. Ciò perché, sebbene spetti alla politica assumersi la responsabilità delle scelte implicanti finanziamenti pubblici, queste non possono essere adottate in deroga alla responsabilità che ne deriva di fronte al cittadino, e tale principio vale in particolare nel caso del finanziamento erogato da Invitalia a ReiThera soprattutto per le implicazioni che il finanziamento pubblico del progetto dovrebbe avere sulla salute pubblica dell’intero Paese.

Delle due l’una: o un processo che, partendo dalla comunità civile – ristretta, in questo caso per competenza, alla comunità scientifica – porti in via condivisa ad identificare cosa debba essere finanziato e perché (criterio “bottom up”), oppure, se la politica si assume la responsabilità di questa selezione, tutto il processo dev’essere completamente aperto, trasparente e scrutinabile perché la comunità scientifica, in rappresentanza della comunità civile, possa giudicare la bontà e la legittimità della scelta. In altre parole, non è ammissibile che si prendano decisioni definite “strategiche”, e quindi di competenza della politica, senza rendere il processo decisionale accessibile allo scrutinio pubblico.

In secondo luogo, il PTS stigmatizza la confusione dei ruoli e delle funzioni che il “caso Reithera” ha portato alla luce. Non è accettabile che una singola persona assommi a sé, quale A.D., la decisione di investire i finanziamenti di Invitalia in un’azienda che ha in sviluppo un candidato vaccino per poi valutare l’acquisto e fornitura dello stesso vaccino per lo stato nella veste di Commissario per l’emergenza COVID-19. Inoltre, non è accettabile che i vertici di AIFA siano coinvolti nella presentazione di dati preliminari assieme al management dell’azienda che li ha prodotti, invece di astenersi da dichiarazioni che non siano quelle conseguenti alla richiesta di un parere ufficiale di AIFA al momento opportuno e da rilasciarsi secondo i canali previsti. A titolo di esempio, negli Stati Uniti è prassi standard che il denaro pubblico venga utilizzato per sostenere progetti di ricerca senza garanzia di successo, ma che sono ritenuti cruciali per il paese. Ma questo avviene mediante procedimenti trasparenti e basati sulle evidenze (nello specifico, “Warp Speed” e “RaDex” sono stati valutati col meccanismo delle “study sections” e le persone deputate alla decisione sono scienziati senza conflitti di interessi diretti, come nel caso di Anthony S. Fauci e di altri e non imprenditori).

In terzo luogo, il PTS chiede la condivisione con la comunità scientifica di tutti i dati sperimentali inerenti al finanziamento pubblico del progetto Reithera (come di ogni altro progetto finanziato con denaro pubblico) per poter valutare sia la reale consistenza dei risultati della ricerca sia la congruità dell’investimento pubblico su di essa.

Per concludere, ci preme sottolineare con forza che la situazione emergenziale determinata dalla pandemia in corso anche nel nostro paese non può e non deve essere una scorciatoia per ingenti investimenti di denaro pubblico in attività di ricerca e sviluppo che, per loro natura, non possono essere gestiti se non attraverso procedure pubbliche e trasparenti. Sicuramente è auspicabile che finanziamenti alla ricerca direttamente collegata alla pandemia in corso (ed “il caso ReiThera” vi rientra a pieno titolo) beneficino di processi decisionali rapidi, trasparenti e super partes, incluso, a titolo di esempio, la possibile costituzione di “hub” per il coordinamento di attività di ricerca specifiche basati su riconosciute competenze ed esistenti infrastrutture, ma sempre in un quadro di trasparenza e accessibilità a bandi di finanziamento da parte di tutti i soggetti qualificati nonché di accesso alle informazioni da parte di tutte le parti interessate alla verifica di trasparenza, obiettività e appropriatezza.

Il PTS auspica quindi che sia i risultati delle ricerche che quelli relativi alla valutazione di ogni progetto finanziato con denaro pubblico siano immediatamente messi a disposizione della comunità scientifica, secondo il più volte richiamato principio di “open data”.

Il PTS chiede infine al Governo un immediato intervento finalizzato alla netta separazione di responsabilità nelle gestione del finanziamento degli aspetti emergenziali (tra cui, per esempio, la riconversione di siti nazionali di produzione vaccinale per incrementare la disponibilità di vaccini che abbiano già completato la fase III di sperimentazione clinica e ottenuto una licenza d’utilizzo da parte di EMA e AIFA) dai compiti di selezione e investimento legati alla ricerca e sviluppo per fronteggiare la pandemia, attività da considerarsi entrambe strategiche per il Paese.