“Contagiati non vuol dire malati”? La lezione del virus dell’AIDS

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Cosa possiamo imparare dalla conoscenza accumulata sull’infezione da HIV che possa essere utile per affrontare meglio la sfida di SARS-CoV-2? E che lezione possiamo trarre da un virus che alcuni consideravano un fattore d’innesco (ma non la causa) della malattia – una posizione assimilabile all’espressione usata in questi giorni, “contagiati non vuol dire malati”?

di Guido Poli e Guido Silvestri

Erroneamente si parla spesso di “intelligenza del virus” o “strategia del virus” per descriverne le caratteristiche peculiari di trasmissione, patogenesi ed evoluzione in seguito all’accumulo di mutazioni che, tra altre proprietà, ne favoriscono la sfuggita al controllo del sistema immunitario o di farmaci antivirali. In realtà, i virus non sono dotati di “intelligenza”, ma sono il frutto di una selezione biologica che ne definisce le proprietà peculiari.

Restringendo l’analisi ai virus pericolosi per l’essere umano, possiamo considerare, per esempio, il fatto che l’infezione da HIV (human immunodeficiency virus, causa dell’immunodeficienza acquisita o AIDS, mortale per oltre il 95% delle persone infettate se non curata con la terapia antiretrovirale di combinazione, cART, disponibile dalla metà degli anni ’90 in poi) sarebbe perfettamente prevenibile se tutte le persone sessualmente attive utilizzassero condom, se non ci fossero più scambi di siringhe tra persone che usano droghe di ricreazione per via parenterale e se il sangue o altri emoderivati fossero universalmente controllati come avviene in Italia oramai da decenni.

Eppure, abbiamo circa 40 milioni di persone infettate sul pianeta e, nonostante gli indiscutibili progressi della cART (che permette alle persone infettate di condurre una vita quasi comparabile per durata e qualità a quelle delle persone non infette dello stesso sesso ed età) l’infezione da HIV e anche l’AIDS che ne è la conseguenza estrema continuano a persistere in Italia (circa 130.00 persone infettate, 3.500 nuovi casi l’anno di cui il 50% con sintomi clinici e il 15% già con AIDS conclamata, oltre a un “sommerso” stimato nel 12% di persone che non sa di essere infettata) come nel resto del mondo.

Cosa possiamo imparare dalla conoscenza accumulata nell’infezione da HIV che possa essere utile per affrontare meglio la sfida di quest’ultimo virus pandemico, il SARS-CoV-2, causa della grave malattia respiratoria e sistemica nota come Covid-19? Nel primo decennio dell’infezione da HIV (che ha fatto il suo esordio con uno scarno bollettino dei Centers for Disease Control, CDC, di Atlanta, Georgia, USA, nell’estate del 1981 [1]), la comunità scientifica era divisa, anche animosamente, tra coloro che ritenevano che il virus (scoperto nel 1983) fosse non solo la causa dell’AIDS, ma anche la principale causa di malattia, e altri che ritenevano che fosse semplicemente un fattore d’innesco della patologia, ma che questa fosse causata da un’alterata risposta immunitaria che conduceva alla grave immunodeficienza alla base dell’AIDS con meccanismi sostanzialmente indipendenti dal virus.

Questa dicotomia aveva profonde implicazioni per lo sviluppo di una terapia adeguata, perché, se il virus non avesse avuto potenziale patogenetico, lo sviluppo di farmaci antiretrovirali avrebbe potuto non avere l’impatto sperato nel controllo della malattia e nella reversione dello stato d’immunodeficienza (giova ricordare che le persone in AIDS morivano per infezioni o tumori definiti “opportunistici”, perché colpivano solo coloro che avevano profonda immunodeficienza). Potremmo assimilare questa seconda posizione all’efficace espressione di questi giorni riferita all’infezione da SARS-CoV-2: “contagiati non vuol dire malati”.

La disputa accademica sul ruolo del virus HIV finì grazie a uno studio retrospettivo del 1996 di John Mellors, di Philadelphia. Mellors si era posto una domanda semplice, ovvero se, nel momento dell’arruolamento di uno studio prospettico (cioè di monitoraggio nel tempo dell’evoluzione clinica dell’infezione) fosse più informativo il numero assoluto di linfociti T CD4+ nel sangue periferico (indice complessivo dello stato più o meno avanzato dell’immunodeficienza) o lo fossero i livelli di HIV nel sangue (“viremia”) misurati come numero di copie di RNA virale/ml di plasma e indice di replicazione virale.

Il risultato dello studio fu inequivocabile: i livelli di viremia erano enormemente (statisticamente) più predittivi del numero di linfociti T CD4+ nel predire l’evoluzione nel tempo dell’infezione (Figura 1). Tanto più alta la viremia, tanto più rapida la progressione ad AIDS e morte e viceversa, mentre il numero di linfociti T CD4+ era predittivo di evoluzione di morte per AIDS solamente al di sotto la soglia delle 385 cellule/µl [2].

“It’s the virus, stupid!” fu la battuta che pose fine alla disputa accademica e che determinò il fatto che la definizione di “HIV disease” (“malattia da HIV”), già introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990 [3], si affermasse definitivamente a significare, appunto, che l’infezione per se, ancorché asintomatica per molti anni, era da considerarsi già malattia. Infatti, la cART (che dimostrò la sua efficacia iniziale nello stesso anno, 1996, di questo studio, per poi affinarsi sempre più fino ai giorni nostri) viene iniziata indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi clinici.

Curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier stratificate in quartili delle medie delle prime due determinazioni di viremia (copie di RNA/ml di plasma) (A) o del n. assoluto di linfociti T CD4+ per µl (B) (n=172) rispetto al momento della morte.

Che lezione possiamo trarre dalla storia dell’infezione da HIV per meglio fronteggiare la pandemia di questo nuovo virus che, in meno di un anno, ha già infettato più di 20 milioni di persone al mondo e causato la morte di circa 800.000 persone? Come agli albori dell’infezione da HIV non abbiamo ancora terapie sufficientemente efficaci per poter guardare con tranquillità alla possibilità che una persona s’infetti e progredisca clinicamente verso gli stadi più gravi; idem per quanto riguarda il vaccino, che tuttavia sembra molto più vicino e probabile per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 che non da HIV.

Giova inoltre ricordare che anche nell’infezione da HIV esistono persone “contagiate, ma non malate”: sono le persone definite “long-term nonprogressors” o “elite controllers” (che rappresentano meno del 2-3% delle persone infettate) che, grazie a caratteristiche solo in parte decifrate, convivono col virus HIV senza assumere farmaci e senza evolvere verso l’AIDS per molti anni (in qualche caso decenni). Ovviamente questo non significa che “il virus non causa l’AIDS”, come sostenevano i negazionisti (altro fenomeno simile a certe posizioni estreme rispetto alla Covid-19), ma semplicemente che, nonostante i quasi 40 anni in cui il virus HIV è esordito a livello globale, esistono ancora aspetti sconosciuti nel rapporto tra virus e ospite per comprendere quali fattori proteggono questi rari individui dalle conseguenze del virus HIV, così come non conosciamo per quali motivi la maggioranza dei bambini e dei giovani adulti non vanno incontro a progressione clinica dell’infezione da SARS-CoV-2.

Un aspetto finale (ma sicuramente se ne potrebbero individuare altri) della convivenza col virus HIV riguarda lo stigma e la discriminazione che hano accompagnato, e in parte continuano ad accompagnare, soprattutto nelle regioni più povere del mondo, le persone infettate con importanti conseguenze sia psicologiche che relazionali e occupazionali. In questo senso, “contagiato non vuol dire malato” potrebbe essere riletto in chiave sociale non per negare la potenziale infettività di chiunque sia portatore di virus per i propri contatti (ne sappiamo ancora troppo poco della risposta immunitaria e dell’efficacia protettiva degli anticorpi nella trasmissione interindividuale per concludere che chi sviluppa le IgG non trasmette più il virus), ma per affermare una cultura di condivisione delle misure di protezione individuale (mascherine), di igiene delle mani e di distanziamento sociale, soprattutto nei luoghi chiusi, come migliore garanzia di contenimento della diffusione del nuovo virus e di prevenzione delle possibili conseguenze cliniche dell’infezione.

Referenze
1. M. Gottlieb et al, Pneumocysitis pneumonia–Los Angeles. Morbidity and Mortality Weekly Report, 30: 250-252, 1981- PMID: 6265753
2. J.W. Mellors et al, Prognosis of HIV-1 infection predicted by the quantity of virus in plasma. Science, 272 (5265): 1167-1170, 1996. DOI: 10.1126/science.272.5265.116
3. WHO. Interim proposal for a WHO staging system for HIV infection and disease”. Wkly Epidemiol. Res. 65 (29): 221-224, 1990. PMID: 1974812

PIER LUIGI LOPALCO SI DIMETTE DA PRESIDENTE DEL PTS

Il nostro Presidente ha rassegnato oggi le dimissioni per incompatibilità, a seguito della sua decisione di candidarsi alle elezioni amministrative in Puglia.

Scrive Lopalco nella sua lettera di dimissioni: “Fra poco sarò ufficialmente candidato nelle file di Emiliano aspirando al ruolo di Assessore alla Sanità in Puglia. E’ una sfida che non mi sono sentito di non accettare, per amore nei confronti della mia terra e per il principio cui sono stato sempre fedele in base al quale l’impegno civico deve essere vissuto sempre al massimo delle possibilità. D’altro canto, sulla base dei principi che animano la nostra associazione, credo sia opportuno che mi dimetta dalla carica di Presidente, pur garantendo tutto il mio supporto e sostegno per le attività correnti del PTS” e ancora, nella nota per i soci: “tutti voi sapete quanto sia stato onorato e felice quando, poco più di un anno fa, mi chiedeste di rappresentare il PTS in qualità di Presidente. La nascita del PTS è stata una avventura entusiasmante in cui tutti voi vi siete gettati con entusiasmo e generosità. Il mio compito di Presidente, infatti, è stato a conti fatti semplicissimo: ho dovuto fare davvero poco, potendo contare su una squadra del genere”

Il Prof. Andrea Cossarizza, attuale vice-presidente, prenderà le redini del PTS in attesa della nomina di un nuovo Presidente eletto: “Mi dispiace che Pier Luigi debba lasciarci e a lui va il mio più grande in bocca al lupo. Proseguirò nel solco tracciato nel momento della fondazione del PTS lo scorso giugno, per la tutela della salute dei cittadini, contro bufale mediche, pseudo scienza e ciarlatani. Attività oggi ancora più necessaria”

Grazie Pier Luigi da parte di tutto il Direttivo e dei soci fondatori

Grignaschi da Conte per gli Stati Generali

GIULIANO GRIGNASCHI, socio fondatore PTS, membro del Gruppo di Lavoro sulla Sperimentazione Animale e direttore di Research4Life ha incontrato – in occasione degli Stati Generali – il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Ministro della Ricerca Gaetano Manfredi ed il Capo di Gabinetto del Presidente, Alessandro Goracci.

Nel corso del colloquio ha evidenziato le preoccupazioni del mondo della ricerca biomedica italiana sia sulla situazione generale che sul merito dello scorretto recepimento della Direttiva Europea sulla protezione degli animali utilizzati nella ricerca.


“Ho sottolineato che – afferma Grignaschi – a causa di alcuni divieti presenti solo nella normativa italiana e privi di significato scientifico e reale impatto sul benessere degli animali, i ricercatori italiani sono frequentemente costretti ad effettuare all’estero le sperimentazioni necessarie allo sviluppo di terapie efficaci, come abbiamo potuto anche recentemente verificare nel caso del vaccino anti Covid-19 da parte dell’azienda italiana Takis”.

Al Presidente Conte ed alla rappresentanza del Governo è stato infine rappresentato come la comunità scientifica sia favorevole e costantemente impegnata nella ricerca volta anche allo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale ma come, purtroppo, oggi questi non siano ancora sufficienti a garantire lo sviluppo e il controllo delle terapie di cui i pazienti hanno assoluto bisogno.

Proposta per coordinare e rendere trasparenti e strutturali i finanziamenti alla ricerca

gruppo di lavoro sulle politiche per la ricerca

In seguito alla recente istituzione dell’Agenzia Nazionale della Ricerca vorremo proporre un elenco di punti per promuovere la costituzione di una struttura virtuosa e trasparente.

1. Siamo favorevoli alla opportunità di unificare i finanziamenti non ordinari destinati alla ricerca in una Agenzia erogatrice. Tale agenzia emana bandi per progetti sulla base delle linee programmatiche della Ricerca Nazionale. Scopo primario della Agenzia è evitare l’attuale frammentazione di tanti bandi su tematiche simili, bandi spesso riservati a pochi soggetti proponenti.

2. A valle della governance stabilita nel DL 1/2020, l’Agenzia dovrebbe dotarsi di un consiglio scientifico i cui membri , sull’esempio di altre realtà internazionali (ad esempio del “National Science Board” USA), dovrebbero essere: 

– persone di eccellente qualificazione – nei campi delle scienze di base, della medicina, ingegneria, agricoltura, scienze sociali, gestione della ricerca etc – documentata da pubblicazioni, brevetti etc. ;

– selezionati esclusivamente sulla base delle loro accertate competenze;

– selezionati in modo da rappresentare i vari centri di ricerca su tutto il territorio nazionale, la parità di genere (con uno sbilanciamento non peggiore del 30%) e con almeno un componente di età inferiore ai 40 anni;

– per almeno un terzo membri stranieri che non abbiano rapporti di collaborazione scientifica con altri membri della commissione.

Inoltre, dovrebbe essere stabilito un limite temporale di partecipazione: ad esempio, un terzo dei componenti del consiglio dovrebbe essere rinnovato ogni biennio, e non riconfermato nei successivi 5 bienni, in modo che la durata massima dell’incarico non superi i 6 anni.

3. L’Agenzia dovrebbe codificare attraverso uno specifico regolamento la formazione di albi di esperti sulla base delle tematiche di ricerca,  allo scopo di valutare le proposte progettuali con un meccanismo  di revisione paritaria (peer review). L’iscrizione agli albi avverrà su richiesta degli interessati, sulla base di titoli scientifici stabiliti nel regolamento. Sempre in linea con modelli di altre agenzie internazionali per la Ricerca, per la composizione degli albi ogni settore disciplinare sarà composto da sotto-settori. La numerosità dei sotto-settori consentirà di rappresentare anche aree di ricerca che, seppure minoritarie, assumono un ruolo cruciale nel campo della ricerca di base e della diffusione del sapere. Da questi albi si attinge per la composizione di commissioni di valutazione dei progetti. L’iscrizione agli albi avrà un limite temporale e pertanto tali albi saranno periodicamente rinnovati.

4. L’Agenzia garantisce e verifica che i progetti siano valutati attraverso un attento sistema di valutazione (peer review).

5. L’Agenzia garantisce la promulgazione dei bandi annualmente e la  valutazione ed erogazione dei fondi entro l’anno di emissione del bando.

6. La partecipazione ai bandi deve essere garantita a ciascun Ricercatore/Docente, e non deve prevedere un contingentamento di Ente/Istituzione nel numero di progetti da poter presentare.

7. L’Agenzia garantisce visibilità e trasparenza allestendo un unico database liberamente consultabile per tutti i bandi progettuali e per avere informazioni  sulla tipologia dei bandi, i panel di valutazione e i risultati ottenuti dai progetti presentati.

8. L’Agenzia istituisce tipologie di progetti in grado di coprire le potenzialità e le competenze della platea dei ricercatori. In particolare, si dovranno prevedere bandi che privilegiano la promozione di idee innovative, progetti coinvolgenti più unità, progetti di sviluppo di carriera, etc.

9. I fondi per infrastrutture saranno organizzati attraverso appositi bandi con procedure specifiche e non decurteranno il budget per i progetti a disposizione dell’Agenzia. L’attività e il funzionamento delle infrastrutture alla ricerca saranno vigilate da appositi comitati che faranno anch’essi riferimento all’Agenzia.

10. I fondi dell’agenzia saranno aggiuntivi e non ingloberanno i  fondi di finanziamento ordinario dei vari enti di Ricerca e Università                                                                        

NOTE:

LEGGE 27 dicembre 2019, n. 160; Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. (GU n.304 del 30-12-2019 – Suppl. Ordinario n. 45 ) Art. 1 commi 240-252

Solidarietà a Roberto Burioni

Il PTS esprime tutta la sua solidarietà al suo socio fondatore e consigliere Roberto Burioni.

L’attacco de L’Espresso sulle consulenze è sconcertante, insensato e riporta informazioni non vere, come se peraltro un professionista non dovesse farsi pagare per le consulenze che fa e come se il quanto non debba esser determinato dalle sue capacità. Comprendiamo la sua decisione di lasciare gli schermi televisivi, decisione che già aveva annunciato prima di questo attacco, per concentrarsi sulle sue ricerche e i suoi studenti, ma ribadiamo tutta la nostra solidarietà a chi in questa pandemia è comparso in televisione per offrire spiegazioni ed informazioni in maniera pacata, senza urlare, senza proclami e soprattutto sempre alimentando con chiarezza e umiltà un dibattito sereno e finalizzato a far comprendere che la scienza è prima di tutto dubbio. Buona estate Roberto!

Noi ti aspettiamo presto e intanto continuiamo a seguirti su Medical Facts!

Riportiamo per esteso il comunicato di Roberto uscito poco fa:

Carissimi, alcune notizie che mi riguardano apparse sulla stampa non sono vere e devo smentirle. Prima di tutto io non sono socio della società Lifenet, alla quale ho fornito una consulenza scientifica.

Inoltre io – con l’eccezione di Medical Facts SRL, una startup che ho fondato un anno fa con tre amici e che ben conoscete – NON SONO SOCIO DI NESSUNA SOCIETA’, nonostante quello che viene regolarmente scritto accusandomi di inesistenti conflitti di interesse.In secondo luogo l’importo delle mie consulenze svolte per le aziende riguardo all’emergenza COVID-19 direttamente o tramite Lifenet non è – purtroppo – neanche lontanamente vicino alle cifre che vengono diffuse (un milione!). Visto che ci siamo, preciso anche che io non fornisco consulenza scientifica a nessuna società o entità che sia coinvolta nello sviluppo o nella commercializzazione di vaccini; e neanche a società o entità che siano coinvolte nello sviluppo o nella commercializzazione di cose utili per la diagnosi, terapia, prevenzione o vaccinazione per COVID-19.

Considero questo chiarimento come un ulteriore atto per ristabilire un poco di verità in un mare di menzogne, un atto verificabile in ogni modo, sede e luogo ma anche definitivo.

Da qui in poi, con grande rammarico perché considero una sconfitta ogni escalation, ogni notizia falsa sul mio lavoro o sulla mia persona avrà un seguito legale. Grazie per l’affetto con il quale mi seguite.

Roberto Burioni

IL PRIMO ANNO DI VITA DELL’ASSOCIAZIONE

#OGNUNOPROTEGGETUTTI

Un anno fa eravamo tutti nell’ Aula Magna dell’Università Statale di Milano per presentare il Patto Trasversale per la Scienza e per far partire l’associazione con l’evento “La Salute Basata sulle Evidenze” e Silvio Garattini diventava il nostro primo socio onorario. 

A distanza di un anno siamo quasi 500 soci e sono tante le azioni che abbiamo intrapreso in difesa del sapere scientifico e soprattutto della salute dei cittadini e della società.

Oggi abbiamo deciso di festeggiare proprio con una campagna rivolta alla popolazione

#ognunoproteggetutti: se ti è mancata la tua normalità, proteggila. Una campagna di sensibilizzazione per aiutarsi e proteggersi vicendevolmente in questo momento di ripartenza. La campagna è stata creata dalla Armando Testa ed è in collaborazione con il Politecnico di Torino e il progetto “imprese aperte” (leggi qui)

In questo anno – estremamente complesso e nel quale molti dei membri del Patto hanno fornito un aiuto sostanziale nella ricerca e nella gestione dell’emergenza pandemica nel nostro paese – il PTS, con i suoi gruppi di lavoro, formati da clinici, ricercatori, giornalisti e professionisti di vario genere, ha iniziato a costruire il suo percorso di “pungolo” e di stimolo costante verso le istituzioni (contro movimenti negazionisti, no vax, per le priorità della ricerca); verso i media e a sostegno della ricerca.

PTS è stato sin dall’inizio al fianco dell’Università di Torino e dei ricercatori e soci Marco Tamietto e Luca Bonini, affinché potessero continuare i loro studi con i Macachi nel progetto Lightup per ridare la vista a migliaia di persone non vedenti.

Importanti anche le attività giudiziarie a sostegno della scienza. Roberto Burioni, Matteo Bassetti, Pellegrino Conte e Salvo di Grazia, tutti membri dell’Associazione sono i periti del PTS per l’Unione Nazionale Consumatori nel processo contro Massimiliano Mecozzi, omeopata di Pesaro, accusato dalla Procura della Repubblica di Ancona di essere responsabile della morte del piccolo Francesco Bonifazi.

Non ultime le denunce a Vittorio Sgarbi e a Stefano Montanari per la diffusione di affermazioni gravi e pericolose in relazione al Coronavirus.

Nei giorni scorsi i soci del PTS hanno creato e sottoscritto un decalogo di autodisciplina nella comunicazione scientifica, a fronte della una pericolosa infodemia in atto, perché prima di tutto clinici e ricercatori si facciano portavoce di una comunicazione sana, pacata, chiara e scientificamente inattaccabile.

La strada è ancora lunga, ma intanto: tanti auguri a tutti noi!

Intervista al nostro socio Andrea Grignolio

di Carlo Patrignani

La situazione è migliorata ma, anche se il caldo può darci una mano, come per la Sars del 2001-02 che sparì, attenuando la carica infettiva e patogenicità di Sars-Cov-2, virus simili ma diversi, entrambi della famiglia dei Coronavirus, la guardia non va abbassata: le misure in vigore per la fase due per la ripresa, parziale, dell’attività produttiva vanno nella giusta direzione del contenimento dei contagi con il potenziamento della medicina del territorio, fermo restando il distanziamento individuale, l’igiene personale e le mascherine, ma pure tamponi e test anticorpali che serviranno a isolare gli asintomatici, vettori inconsapevoli della malattia. E’ l’opinione del docente di Storia della Medicina all’Università Vita-Salute del San Raffaele e ricercatore del Itb-Cnr, Andrea Grignolio, per il quale “le nuove restrizioni, pur se poco piacevoli come per le relazioni amicali, hanno una finalità sensata a livello comunicativo: non ingenerare il ‘liberi tutti’ molto rischioso perché il coronavirus non fa differenza tra affetti stabili e non: ridurre i contatti ai soli parenti e relazioni strette è una indicazione epidemiologica generale, se presa alla lettera diventa poco comprensibile. L’importante è prepararsi bene al prossimo autunno-inverno con tutti gli strumenti necessari per arrivare in tempo e intervenire subito sui possibili focolai che possono riaccendersi”.

Quanti e quali sono gli strumenti necessari?
Primo, “il potenziamento della medicina del territorio che è non solo preziosa sentinella e di intervento immediato, ma ha funzioni di prevenzione: lo sa bene l’epidemiologia, come del resto la storia della medicina, poiché le epidemie e pandemie si affrontano soprattutto sul territorio e meno negli ospedali. Il concetto di contagio, di malattia infettiva, sconsiglia centri di aggregazione, tranne in casi di strutture specializzate, perché possono facilmente diventare di diffusione”.
Secondo, “il fondamentale tracciamento, il cosiddetto contact tracing – va bene l’app Immuni su base volontaria, con tutela della privacy, scadenza temporale e distruzione finale dei dati – degli asintomatici e dei paucisintomatici con tamponi e test sierologici, così da porli tempestivamente in quarantena e avvisare e controllare le persone che con costoro hanno avuto contatti ravvicinati”.
Terzo strumento le cure: “per i pazienti Covid oggi ci sono tre diverse terapie multifase a seconda del livello della malattia: antivirali per limitare la replicazione del virus nella prima fase, e gli antinfiammatori per la due seconde fasi, quella della iper risposta immune causata dal sistema immunitario e quella per le complicanze causate a polmoni, cuore, reni e cervello”.
Per Sars-Cov-2, insomma, “si potrebbe immaginare anche un modello simile a quello per l’Hiv per il quale non si è arrivati al vaccino: la terapia multifarmaco, come fu la triplice per l’Hiv, che – precisa Grignolio – ha dato e tuttora dà una aspettativa di vita quasi uguale a una persona non infetta”.

E il vaccino quando potrà essere disponibile?
“Per ovvi motivi: non nocività, efficacia e soprattutto produzione su larga scala internazionale – osserva – non sarà disponibile direi prima di un anno ma, nel frattempo, oggi abbiamo a disposizione, ed è un enorme passo in avanti, diverse terapie multifase, efficaci per ogni fase della malattia, compreso l’impiego di una vecchia pratica della sieroterapia: l’immissione del plasma con anticorpi dei guariti ai malati, che offre a un miglioramento delle condizioni del paziente, ma non immunità”.
Ma su questa pratica Grignolio non manca di sollevare tre problemi da risolvere, “è una procedura costosa, sebbene si dica spesso il contrario, perché difficile da ​standardizzare e con effetti potenzialmente nocivi dovuti al rischio di trasmissione di malattie infettive e alterare la coagulazione nei riceventi; è limitante nei tempi e nella produzione perché con due pazienti guariti si ottengono gli anticorpi per un paziente, cosa molto disfunzionale durante una pandemia che richiede subito e per molti tanti anticorpi; e soprattutto offre una immunità passiva e non attiva come il vaccino, ovvero gli anticorpi provenienti dai guariti cessano dopo il trattamento e non vengono autonomamente prodotti dal paziente, che quindi non sviluppa l’immunità attiva e l’immunità per futuri incontri con il virus, la agognata immunità di gregge o di comunità”.

La medicina e più in generale la ricerca scientifica, molto probabilmente vincerà la sfida arrivata da un virus sconosciuto?
“Penso di sì, come avvenuto in passato con tante altre malattie infettive che non sono né una punizione divina né una vendetta della natura, ma sono malattie connesse e causate dai cambiamenti del rapporto tra l’essere umano, l’ambiente e gli animali. A questo va aggiunto che le epidemie fioriscono in contesti ad alta densità di popolazione e altamente connesse da porti e aeroporti. Il passato ce lo insegna chiaramente sia con la via della seta sia con il commercio marittimo, da cui proviene la famosa quarantena veneziana del 1300. Ecco perché è improprio accusare le polveri sottili e l’inquinamento: vi sono molte zone del globo dove non c’è inquinamento e Covid si diffonde con grande efficacia, e questo è valido per tante epidemie del recente passato o del passato remoto, dove il mondo era privo di inquinamento e le epidemie erano molto più diffuse e feroci. Per vincere la sfida dei prossimi mesi e delle prossime epidemie abbiamo assoluto bisogno di un solido e forte sistema sanitario nazionale, ben attrezzato a livello del territorio e di una nuova collaborazione con le strutture sanitarie private, che stanno facendo la loro parte con le proprie strutture. Pubblico e privato non sono affatto in collisione: l’uno non esclude l’altro, nell’interesse comune della tutela della salute pubblica”.

Ultima domanda, che ne pensa dello scontro tra Usa e Cina sulla genesi e manipolazione del virus in laboratorio, quello di Wuhan?
“Mi pare che la questione sia una contrapposizione politica più che scientifica: la scienza parla chiaro e con dati e i dati sono spesso scomodi al decisore politico, perché non sono opinabili o manipolabili per fini elettorali. I dati che abbiamo oggi ci dicono che la genetica, come dimostrato da un articolo sulla rivista Nature, indica una provenienza animale, ovvero pipistrello e pangolino, del virus e non artificiale in laboratorio. Inoltre, che il luogo d’origine non sia Wuhan, dove è presente il laboratorio incriminato, ma Guandong, la stessa regione dove scoppiò la Sars, e infine che i primi casi siano retrodatabili tra settembre e dicembre. Ma le scienze cognitive con il concetto di ‘ragionamento motivato’ ci spiegano bene che a questi dati della scienza le orecchie dei complottisti rimarranno non solo sorde ma, per così dire, immuni anche in futuro”.

PROPOSTA PER RIAPRIRE L’ITALIA

CONVIVERE CON COVID-19: proposta scientifica per “riaprire l’Italia” gestendo in modo sicuro la transizione pandemia –> endemia.

PREMESSA: La grande epidemia italiana da COVID-19 non dovrebbe comportarsi in modo molto dissimile da ogni altra epidemia conosciuta. In altre parole, dovrebbe arrivare ad un plateau sia come numero di nuovi casi che come numero di morti per giorno, e poi calare abbastanza rapidamente nel giro di alcune settimane. Nel momento in cui si registreranno finalmente questi importanti segni di rallentamento (i.e., riduzione dei nuovi contagi e decessi) sarà importante iniziare rapidamente una discussione sulle strategie sanitarie a medio-lungo termine che devono essere messe in atto per limitare i danni da COVID-19. Questo perché la strategia a breve termine, basata soprattutto sulle misure di isolamento e di distanziamento sociale della popolazione non sembra essere sostenibile per più di alcune settimane. Per questi motivi, riteniamo che sia necessario riflettere fin da adesso su come meglio emergere dalla attuale fase di isolamento della popolazione, dalla quale pensiamo si debba uscire non appena si osserveranno due-tre settimane di un trend stabile verso un numero molto basso di contagi e morti. Considerando il numero progressivamente crescente di persone infettate da SARS-CoV-2 nel mondo, quello di cui stiamo parlando è la transizione dalla fase “pandemica” di COVID-19 a quella “endemica”. Dal punto di vista scientifico, ci sono almeno tre fattori chiave che possono contribuire allo scenario che prevede una prossima fine per la fase “acuta” dell’epidemia. Il primo fattore, ovviamente, è l’isolamento individuale e il distanziamento sociale (oltre alle misure di igiene individuale). Il secondo fattore, tutto da valutare, è lo stabilirsi di immunità naturale verso COVID-19 in una parte importante della popolazione. Il terzo fattore, anch’esso da confermare ma presumibilmente importante, è la stagionalità, che sappiamo valere per gli altri virus respiratori, compresi i Coronavirus, che prediligono la stagione invernale.Dei tre, solo l’immunità naturale ci potrà proteggere contro il ritorno del virus – ma l’efficacia e la durata di questa immunità non è ancora nota e dovrà essere monitorata nel tempo. Per cui, al momento, e non essendo disponibile un vaccino almeno parzialmente efficace contro SARS-CoV-2, l’unico modo per valutare come questi fattori hanno agito nel ridurre il numero dei contagi (e la conseguente mortalità) è quello di campionare in modo statisticamente rilevante la popolazione generale nelle varie aree geografiche del paese per valutare sia lo stato dell’infezione attiva, tramite tamponi diagnostici (che ricercano il virus nella saliva), che lo stato di immunità della popolazione, tramite analisi sierologiche grazie a test validati per la presenza di anticorpi specifici*. Se, come prevedibile, il livello di immunità specifica nella popolazione risulterà basso – l’unica strategia per “riaprire” l’Italia sarà monitorare a intervalli regolari il possibile ritorno del virus per poter “giocare di anticipo” e prevedere un piano d’azione scalabile finalizzato, per esempio di rapido ripristino delle misure di isolamento individuale e di distanziamento sociale laddove vi sia il forte rischio di un focolaio epidemico, come osservato nella presente epidemia a Codogno (Lodi) e Vò Euganeo, in cui la costituzione di una “zona rossa” ha contribuito in modo importante al contenimento dell’infezione. Se invece l’immunità acquisita spontaneamente a conseguenza della presente epidemia si mostrerà sufficientemente alta il monitoraggio dovrà focalizzarsi nel valutare le caratteristiche generali di questa immunità nel tempo prevedendo d’includere il monitoraggio virologico mediante tamponi diagnostici mirati, soprattutto se la presenza di una risposta immunitaria specifica desse segni di attenuazione o d’inefficacia.

LA PROPOSTA: Per tornare gradualmente alla nostra vita di sempre, proponiamo la creazione di una struttura di monitoraggio e risposta flessibile, MRF, dell’infezione da SARS-CoV-2 e della malattia che ne consegue (COVID-19) e, possibilmente, in futuro, di altre epidemie. Questa nuova struttura, con chiare articolazioni regionali, che prevediamo operare sotto il coordinamento di Protezione Civile (PC) e Ministero della Salute (MinSan) ed il supporto tecnico dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dovrà avere le seguenti caratteristiche generali:

(i) capacità e risorse per poter eseguire un altissimo numero di test (almeno nell’ordine di molte migliaia alla settimana) sia virologici che sierologici nella popolazione generale asintomatica con rapidissime procedure di autorizzazione da parte del Governo centrale e dai singoli governi regionali da utilizzare in caso di segnale di attivazione di nuovi focolai epidemici;

(ii) struttura di sorveglianza centrale potenziata presso l’ISS, che sia responsabile sia dell’analisi dei dati in tempo “quasi-reale” che della loro presentazione da parte del Ministero della Salute, a frequenza regolare direttamente al Governo, al Parlamento e agli organismi sanitari sovranazionali;

(iii) rafforzamento della capacità regionale di sorveglianza epidemiologica sotto forma di centri periferici di monitoraggio a diffusione capillare sul territorio e con messa a punto di sistemi di “epidemic intelligence” che rilevino precocemente ogni segnale di accensione di focolai epidemici;

(iv) potenziamento del networking fra le strutture operative e i professionisti che costituiscono la prima linea di intercettazione e difesa verso SARS-CoV-2/COVID-19 nella fase sintomatica della patologia, promuovendo l’integrazione della rete delle Malattie infettive largamente distribuite nel territorio italiano con quella della Medicina generale e territoriale, in un’ottica hubs&spokes di livello paritario;

(v) mandato legale di proporre in modo tempestivo e possibilmente vincolante provvedimenti flessibili in risposta a segnali di ritorno del virus, tra cui forme di isolamento sociale (sospensione di attività, eventi sportivi, scuole, etc); gestione di infetti e contatti (implementata anche attraverso l’uso di appropriate tecnologie come smartphones, app, etc come già sperimentato a Singapore ed in Corea), potenziamento di specifiche strutture sanitarie;

(vi) condivisione della strategia comunicativa con l’Ordine dei Giornalisti e i maggiori quotidiani a tiratura nazionale, nonché le principali testate radio-televisive pubbliche e private per evitare i danni potenziali sia dell’allarmismo esagerato che della sottovalutazione facilona o addirittura negazionista (utilizzando anche l’esperienza sul campo nel rapporto medico-paziente).

Non sfugge, ovviamente, alla nostra attenzione che un simile ambizioso progetto di struttura di monitoraggio e risposta flessibile (MRF) al rischio di ritorno dell’infezione da SARS-CoV-2 che sia rigorosamente “data-driven” rappresenti un investimento significativo di risorse, necessarie alla sua rapida implementazione nei prossimi quattro-sei mesi (personale, infrastruttura, test, analisi ecc**). Allo stesso modo siamo consapevoli che la creazione di questa struttura “MRF” richiederà la definizione circostanziata di un perimetro normativo entro il quale operare quanto più possibile in armonia e sinergia con le rilevanti entità politiche, amministrative, sanitarie e tecnico-scientifiche, a livello sia nazionale che loco-regionale. Il rafforzamento del sistema sorveglianza-risposta a livello sanitario dovrà essere accompagnato da un piano complessivo di limitazione del rischio di attivazione di focolai epidemici nei luoghi di lavoro e nel sistema educativo scolastico. Tale piano dovrà prevedere una profonda ristrutturazione delle procedure e delle attività che dovranno essere ridisegnate al fine di limitare la diffusione di virus respiratori. Mentre una dettagliata valutazione economica e normativa del corrente progetto esula dallo scopo di questa prima esposizione della proposta, riteniamo tuttavia che questo possa essere un ragionevole percorso, dal punto di vista epidemiologico e virologico, per il ritorno alla normalità durante il forzato periodo di convivenza con il coronavirus che – speriamo – sarà quanto prima interrotto dall’arrivo di un vaccino .

Filippo ANELLI – Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO)

Andrea ANTINORI – Direttore UOC Immunodeficienze virali Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, IRCCS

Italo ANGELILLO – professore ordinario a Napoli e presidente SITI (Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Medicina Pubblica)

Roberto BURIONI – Professore Ordinario, Università Vita e Salute San Raffaele, Milano – Direttore Scientifico, MedicalFacts

Arnaldo CARUSO – Professore Ordinario, Università di Brescia Presidente, Società Italiana di Virologia (SIV)

Massimo CLEMENTI – Professore Ordinario e Preside di Facoltà, Università Vita e Salute San Raffaele, Milano

Andrea COSSARIZZA Professore Ordinario e Vice-Preside di Facoltà, Università di Modena e Reggio Emilia Presidente, International Society for the Advancement of Cytometry (ICAS)

Giuliano GRIGNASCHI – Professore, Università Statale di Milano Presidente, Research for Life (R4L)

Giovanni LEONI – Vice-Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO)

Pier Luigi LOPALCO – Professore Ordinario, Università di Pisa – Presidente, Patto Trasversale per la Scienza (PTS)

Alberto OLIVETI – Presidente, Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Medici (ENPAM)

Guido POLI – Professore Ordinario, Università Vita e Salute San Raffaele, Milano

Silvestro SCOTTI – Segretario Generale, Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG)

Guido SILVESTRI – Professore Ordinario e Direttore del Dipartimento di Patologia, Emory University, AtlantaEditor, The Journal of Virology

Marcello TAVIO – Direttore, Malattie Infettive, Ospedale Torrette di Ancona Presidente Societa’ Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT)

*A questo proposito riteniamo che l’analisi dello status immunologico della popolazione italiana nei confronti di COVID-19 debba essere iniziata il più presto possibile mediante studio sierologici a campione in soggetti asintomatici.

**A questo proposito riteniamo che la succitata struttura “MRF” debba coordinare e supervisionare anche la capacità di produrre e stoccare alte quantità di dispositivi di protezione individuale, in primis mascherine.

“Solo la scienza può vincere ma va aiutata” – La sperimentazione animale ai tempi del Coronavirus

Intervista al Presidente Pier Luigi Lopalco e al socio fondatore Giuliano Grignaschi su Quotidiano Nazionale – Il Giorno

«In Italia, se fai ricerca, devi passare attraverso quattro comitati, aspettare mesi e per giunta pagare una tassa, anche solo per sfiorare un topo in laboratorio». Le parole di Silvio Garattini, presidente del Mario Negri, nell’intervista pubblicata ieri su Quotidiano Nazionale – Il Giorno, hanno sollevato la questione degli ostacoli allo sviluppo di medicinali. Giuliano Grignaschi, biologo responsabile dell’Animal Care all’Università Statale di Milano, è segretario generale di Research4Life, piattaforma che riunisce associazioni di pazienti, centri clinici e istituzioni come Farmindustria, San Raffaele, Airc, Telethon, al fine di conciliare etica e salute.
Dottor Grignaschi, con l’emergenza Coronavirus vorremmo subito farmaci e vaccini. Perché la medicina in Italia si inceppa davanti a un topo?«Perché siamo il Paese che ha introdotto le maggiori difficoltà a promuovere la sperimentazione pre-clinica, tanto che Bruxelles ha messo in mora l’Italia per aver recepito dal 2014 una direttiva sull’impiego di animali a fini scientifici in termini troppo restrittivi, e non poteva».Sacrosanto il rispetto delle cavie, ma migliaia di persone muoiono di polmonite, milioni di sopravvissuti rischiano una fibrosi invalidante. Cosa succede nei laboratori?«Succede che i nostri cervelli vanno all’estero, trovano condizioni migliori e lì restano. La nostra legislazione tutela la protezione degli animali da esperimento, ma senza garantire uguali condizioni operative tra enti che lavorano alle nuove terapie».A cosa serve studiare il modello animale nella Covid-19?«Dobbiamo capire cosa provoca questo virus in un organismo vivente, piuttosto che studiarlo in colture cellulari separate, e soluzioni che portano alla cura. Per i vaccini dobbiamo verificare la sicurezza, le reazioni prima di arrivare all’uomo».La ricerca è paralizzata in Italia dai cavilli?«Il professore Garattini fa presente che il percorso per poter fare anche solo un’iniezione a un singolo animale, passa attraverso valutazioni interminabili. In qualunque momento, come si è visto per una ricerca che ha coinvolto le università di Parma e Torino, puoi essere fermato».Che cosa comportano paletti e obiezioni animalista?«Vede, i ricercatori presentano progetti di largo respiro. Gli altri Paesi non devono sottostare a vincoli e rischi. E questo si ripercuote anche nella nostra corsa al vaccino».

Il commento del Presidente Pierluigi Lopalco:”Diceva Gaber “libertà è partecipazione”. Quando parliamo di ricerca scientifica, però, il termine partecipazione si riferisce ad una ampia comunità di professionisti che per partecipare hanno bisogno non solo di creatività ed ipotesi scientifiche da testaret, ma anche di risorse tecnologiche e finanziarie. Il tema della Libertà di ricerca e quindi strettamente connesso al suo finanziamento. L’emergenza Covid-19 ha mostrato al mondo intero come solo lo sforzo scientifico internazionale possa fermare una minaccia di quelle proporzioni. Il SARS-Cov-2 ha mostrato al mondo intero la debolezza dei sistemi sanitari. Una debolezza, nei confronti di un’ondata pandemica eccezionale, che ha fatto presente ai politici quanto sia difficile prendere decisioni utili a proteggere la salute dei cittadini senza il supporto della scienza. Mai come ora il ragionamento scientifico e le decisioni basate sulla scienza hanno avuto un ruolo centrale nel dibattito politico e nel dominio della opinione pubblica. Quei ’professoroni’ che erano indicati come portatori di un sapere inutile e saccente, sono oggi più ascoltati di quanto non fosse ieri un importante commentatore sportivo. E questo in Italia è tutto dire. L’attenzione politica e mediatica ai temi della scienza legate alla pandemia di Covid-19 comportano il fatto che sia sulla rete che sui media mainstream temi come la progressione logistica di una curva epidemica o la risposta IgM a un’infezione virale siano temi discussi nei talk show serali.

Ma il tema di reale interesse per il progresso scientifico è: passata la bufera, una volta che un gruppo di esperti sia riuscito a levare qualche castagna dal fuoco al decisore politico, riuscirà la ricerca a liberarsi dei pesanti fardelli che ne hanno impedito fino a oggi il pieno sviluppo nel nostro Paese? E, a titolo di esempio, oltre all’annosa questione del finanziamento, ne cito un paio. Il primo, la difficoltà a svolgere ricerche sperimentali di elevata qualità e di respiro internazionale a causa di limiti che altri Paesi europei non hanno, a causa della azione di lobbing da parte di gruppi che in nome di principi etici o filosofici bloccano la sperimentazione su modelli animali o l’utilizzo di cellule staminali. Il secondo, il sistema ingessatissimo di reclutamento nelle università e nei centri di ricerca ancora basato sul principio del concorso pubblico. Allora proviamo a liberare la ricerca in Italia, perché la scienza è l’unica cosa di cui il virus abbia timore”.