Solitamente non condividiamo i post dei membri del nostro direttivo o dei nostri soci, ma questa vicenda del plasma iperimmune e dei servizi de Le Iene è importante. Lo facciamo prima di tutto in difesa dei cittadini, perché non meritano, in piena pandemia, di avere letture della realtà prive di ogni fondamento da fonti di cui si fidano e continuano a fidarsi. Lo facciamo in difesa della scienza e del metodo scientifico che non può essere vilipeso da chi lo ignora e tirato per la giacchetta per dimostrare tesi preconcette. Infine lo facciamo anche in difesa del vero giornalismo di inchiesta che, quando parla di medicina, si basa sui dati e sul metodo scientifico.
C’è in giro un servizio pseudo-giornalistico che vorrebbe dimostrare come la terapia col plasma iperimmune sia la cura a portata di mano per il COVID-19. Il servizio mostra ospedali che la stanno usando e chiede ai medici se tra i pazienti che l’hanno ricevuta ci sono stati morti. Poi chiede ai pazienti guariti se la terapia ha funzionato e loro rispondono di sì, perchè subito dopo si sono sentiti molto meglio. Ecco come distruggere il metodo scientifico in una manciata di minuti. Ricordiamo che questi pseudo-giornalisti (Le Iene) sono gli stessi che anni fa proposero analoghi servizi a dimostrazione (secondo i loro canoni) che Stamina, la terapia-truffa di Vannoni, funzionava. E misero alla gogna uno scienziato di grandissima reputazione e serietà come Paolo Bianco. In modo analogo, nel servizio sul plasma, il bersaglio è Roberto Burioni, ma a rappresentare tutta quella classe di “esperti” che prima di dire che un farmaco o una terapia funziona chiedono le prove. Andiamo quindi a vedere cosa sappiamo di questa terapia. Come sappiamo ormai tutti, si basa sull’utilizzo della parte liquida del sangue (che contiene anche anticorpi) di persone che sono guarite dal COVID-19. Si prende il sangue, si separa il plasma e si utilizza per i pazienti, cercando di fornire loro un’arma in più: gli anticorpi prodotti da chi è già guarito. In linea di principio, potrebbe funzionare, ma anche no. Questo perché ci sono moltissime variabili in gioco; per nominare le più importanti: la concentrazione di anticorpi neutralizzanti nel plasma donato, la concentrazione di anticorpi nel sangue del paziente, lo stato infiammatorio/immunitario del paziente, la tempistica e il dosaggio di somministrazione, lo stadio della malattia. Per questi motivi, è molto difficile capire se la terapia funziona, perché in assenza di protocolli standardizzati (concentrazione di anticorpi fissa, condizione del paziente, modalità e tempi di somministrazione) la variabilità è troppo alta. L’unico modo per valutarne l’efficacia e la sicurezza è attraverso i soliti studi clinici controllati randomizzati, quelli in cui c’è un protocollo ben definito e si confrontano pazienti in cui si usa il plasma con pazienti di controllo. Cosa sappiamo sulla base degli studi esistenti? Che non c’è evidenza scientifica che il plasma iperimmune sia di beneficio per i pazienti. L’analisi dettagliata di tutti gli studi effettuati finora da parte della Cochrane (un’organizzazione internazionale che ha lo scopo di valutare gli interventi sanitari) conclude che i dati non sono sufficienti per suggerire la terapia con il plasma come efficace nella cura dei pazienti COVID-19. Un servizio come quello trasmesso da Le Iene è quindi molto pericoloso: prima di tutto mina le basi della ricerca scientifica basata sulle prove; poi, genera aspettative e dubbi nella popolazione, che, come succedeva con Di Bella o con Stamina, vuole essere curata col plasma iperimmune e non capisce quindi perché molti ospedali non lo utilizzino. E da qui rabbia o panico. La raccomandazione ai pazienti e ai loro familiari è di non cadere in queste trappole che hanno come unico scopo quello di fare audience e polemica. Non c’è alcun motivo per cui io o altri colleghi dovremmo negare una cura se efficace: per quanto mi riguarda, non sono mai stata pagata da un’industria farmaceutica, non ho rapporti di alcun genere con i produttori di farmaci o vaccini o anticorpi monoclonali. Saremmo tutti felici di poter dire che il plasma iperimmune funziona ed è uno strumento in più per affrontare il virus, e forse un giorno lo potremo comunicare con entusiasmo. Ma per il momento, dobbiamo basarci sui fatti e non creare false aspettative: non ci sono evidenze che questa terapia funzioni. Servono studi controllati e randomizzati per arrivare presto ad una conclusione definitiva. Se oggi abbiamo farmaci che ci curano, vaccini che ci proteggono e terapie innovative contro malattie che reputavamo incurabili è solo grazie all’applicazione della scienza e del suo metodo, senza scorciatoie. Chi cerca scorciatoie, chi non rispetta i tempi e i metodi della ricerca scientifica, danneggia la salute pubblica, ci mette tutti in pericolo. Come è accaduto in passato, anche con l’aiuto de Le Iene.
Nei giorni scorsi Enrico Bucci, membro del Direttivo, è stato oggetto di critiche pubbliche infondate. Confermiamo la nostra piena fiducia verso Enrico e invitiamo a smettere di infangarne l’onorabilità.
Di seguito la sua risposta in dettaglio
1. I processi sommari o alle intenzioni non fanno parte dell’etica pubblica liberale. In particolare, io rispondo se ci sono accuse documentante nei miei confronti (reati o cattiva condotta); quelle che mi sono state rivolte sono illazioni infondate.
2. Come da sito della Temple University, sono professore aggiunto presso il dipartimento di biologia. Sempre dal sito, è possibile vedere come io faccia parte della “research faculty”, senza dovere di insegnamento. Una cosa che in America è diffusa, con una storia peraltro illustre. Il titolo di professore aggiunto si ottiene attraverso valutazione di una proposta del candidato e viene confermato periodicamente sulla base delle pubblicazioni scientifiche prodotte ed esaminate dal Dean della facoltà di riferimento. Chi crede che il titolo sia “farlocco”, non ha che da riferirlo alla Temple University.
3. Almeno alcune delle accuse rivolte mancano di prove o si basano su prove false. Per esempio, l’articolo di Schneider ed i fatti di riferiti dalla Corsini sono così poco aderenti alla realtà da contestare ad Antonio Giordano le schede che PubPeer rivolge all’insieme degli autori che si chiamino A. Giordano (esempio: Franck A. Giordano, Assunta Giordano eccetera), con ciò denotando la cura che chi porta l’accusa mette nel verificare la fondatezza delle proprie fonti. Allo stesso modo, è falsa l’accusa a me rivolta di aver minacciato il blogger tedesco Schneider, come da questi riportato in base ad uno stralcio di email non verificato e dalla Corsini ripreso. È pure non corretta l’accusa rivolta dalla Corsini al Patto Trasversale della Scienza, di non essere stata ascoltata, per il solo fatto di non aver ottenuto ragione.
4. Per ovvi motivi di terzietà, non è opportuno che un affiliato ad una certa università sia responsabile dell’investigazione di potenziale cattiva condotta di un altro affiliato alla stessa università. Questo elementare principio preclude che io possa formalmente investigare il caso di Giordano.
5. Ciò nonostante, posso confermare che da anni il professor Giordano e tutti i gruppi che hanno collaborato con lui sono impegnati in un processo di revisione e correzione dei propri lavori, partito su base volontaria e non sollecitata.
6. Io non ho investigato su determinati importanti ricercatori per motivi personali, ma perché sono stato a ciò incaricato dalla Procura di Milano. Nel caso da me investigato, come in quello di Giordano, si pone il problema di un capo di laboratorio cui può capitare di essere implicato in incidenti di cattiva condotta a causa del comportamento frettoloso di suoi collaboratori.
7. La caratterizzazione di persone o gruppi di persone sulla base di stereotipi negativi (pizza/mafia/Italia/frode) è una inaccettabile forma di discriminazione, che nulla ha a che vedere con l’integrità di chi è accusato, ma molto con la mentalità dell’accusatore.
8. Ripetere continuamente le stesse accuse fingendo che non si sia avuta risposta, coinvolgendo continuamente nuovi enti, persone e pubblico è una forma di cattiva condotta.
Il Patto Trasversale per la Scienza rivolge alla società civile un appello a “FARE DI PIU’ E FARE MEGLIO!” per superare prima possibile l’emergenza trasformando difficoltà e reciproche accuse in un impegno comune.
La presente fase di gestione della pandemia è – allo stesso tempo –critica per la pressione ospedaliera, ma caratterizzata da notiziepromettenti, pur se ancora preliminari sulla messa a punto di vaccini e terapie specifiche anti-COVID-19.
Noi cittadini dobbiamo fare di più e meglio: anche oltre i divieti e gli obblighi (tutti da rispettare), riduciamo temporaneamente tutti i contatti sociali non indispensabili, soprattutto al chiuso, senza ascoltare chi nega la gravità della situazione.
Le istituzioni nazionali e regionali devono tutte fare di più e meglio:
– organizzando finalmente quanto finora non è stato adeguatamente organizzato, in termini di trasporti pubblici, assistenza domiciliare ai malati e medicina territoriale (dal coinvolgimento dei medici di famiglia alle USCA, Unità Speciali di Continuità Assistenziale);
– rendendo subito disponibili, in formati utilizzabili per la ricerca, cioè disaggregati, tutti i dati epidemiologici (oltre a tutti i verbali del CTS);
– appoggiando – forti anche della completa trasparenza sui dati – le iniziative miranti a contrastare ogni forma di negazionismo e di pseudoscienza, anche relativamente alla pandemia;
– avviando un monitoraggio epidemiologico su solide basi statistiche, per poter sapere quanto siano efficaci le variazioni delle misure di contenimento decise a livello nazionale, regionale, provinciale o locale.
Tutta la comunità nazionale – governo, regioni, insegnanti, personale scolastico, genitori, studenti – deve fare di più e meglio per la scuola. Evitiamo, tutti insieme, che l’Italia la sola nazione ad usare la chiusura delle scuole come principale strumento per ridurre il contagio: ciò non avviene in alcun altro paese europeo! In tutte le regioni governo e enti locali devono lavorare insieme, con l’obiettivo che la scuola in presenza, con tutte le cautele necessarie (mascherine incluse), sia garantita, soprattutto per i più piccoli.
Il Governo e il Ministero della Salute devono fare di più e meglio! Devono informare i cittadini – adesso e in dettaglio – su quanto si sta facendo per acquisire la disponibilità e organizzare la distribuzione non solo dei futuri vaccini, ma anche delle terapie innovative già approvate per uso di emergenza in altri paesi (per es., alcuni anticorpi monoclonali, di comprovata efficacia per ridurre in modo importante il carico ospedaliero di pazienti che possono quindi essere curati a casa propria). E’ quanto serve oggi (non domani) ed a tal fine occorre utilizzare subito, se necessario, tutte le risorse rese disponibili anche dall’Europa.
inviata in data 21 ottobre 2020 e in attesa di una Sua cortese risposta
Alla C.A.
On. Gaetano Manfredi
Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica
Oggetto: la situazione del finanziamento alla ricerca scientifica in Italia. Il ruolo del Patto Trasversale per la Scienza (PTS)
On. Ministro, Ill.mo Prof. Manfredi,
Le scrivo in qualità di Presidente dell’Associazione “Patto Trasversale per la Scienza (PTS)” (https://www.pattoperlascienza.it/), oltre che, personalmente, da professore universitario e ricercatore, per comunicarLe la nostra posizione sul delicato quanto strategico tema in oggetto.
L’Associazione PTS, che ho l’onore di presiedere, nata a giugno 2019 e sostenuta da oltre 500 soci, ha come propria mission di essere un soggetto super partes capace d’interlocuzione coi decisori politici (a tutti i livelli) e, contemporaneamente, di rappresentare un punto di riferimento con solide basi scientifiche per la società civile. Nonostante la sua breve vita è già stata protagonista di diverse “battaglie” a favore della scienza e del progresso rispetto alla pseudoscienza nelle sue diverse manifestazioni (dai “no vax”, alla cosidetta “medicina omeopatica”, ai negazionisti della rilevanza del virus pandemico causa della COVID-19).
Tra le battaglie più importanti in cui il PTS ha preso una posizione netta vi è quella sulla libertà di sperimentazione animale, nel rispetto delle regole bioetiche internazionali, che vede l’Italia relegata grottescamente al di fuori dal contesto scientifico internazionale nonostante il livello assoluto dei propri ricercatori. Nello specifico, mi riferisco al Gruppo Operativo sulla sperimentazione animale del PTS, guidato dal Prof. Roberto Caminiti (che aveva già preso posizione a giugno sul caso Lightup: https://www.pattoperlascienza.it/2020/06/08/scienza-e-giustizia-in-italia-il-caso-light-up/) oltre ad un ricercatore di punta quale il Prof. Marco Tamietto, membro del Direttivo del PTS. Le chiedo quindi di considerarci parte attiva per riportare la ricerca italiana all’interno degli standard internazionali che merita.
Nell’attesa di poterLa incontrare, di persona o a distanza, per approfondire questi temi, La ringrazio per l’attenzione e La saluto cordialmente augurandomi che il PTS possa esserLe d’aiuto nella promozione della scienza e della ricerca italiana.
Cordialmente,
Prof. Guido Poli,
Presidente
Patto Trasversale per la Scienza
Comunicazione del PTS sulla sperimentazione animale (ordine cronologico)
Il PTS approva e sottoscrive l’appello di Giuseppe Ippolito e altri 15 scienziati europei, pubblicato recentemente su Nature, per la realizzazione di un network europeo che faccia da raccordo alle agenzie nazionali deputate alla sanità pubblica nell’ottica della “preparedness” ad attuali e futuri pericoli pandemici. Lo “Europe-wide National Reference Centre for Infectious Diseases” avrebbe tra le responsabilità la sorveglianza epidemiologica e la capacità di reazione in tempi rapidi, la cooperazione tra enti pubblici nazionali e internazionali, la formazione e l’informazione relative a protocolli clinici e la formazione di personale qualificato per l’implementazione di test diagnostici su larga scala, l’incremento della capacità dei laboratori finalizzati all’identificazione di nuovi patogeni e il coordinamento delle attività di ricerca correlate.
Il Centro dovrebbe operare coordinandosi con altri enti europei quali la EU-BARDA “Biomedical Advanced Research and Developent Authority” e lo ECDC “European Centre for Disease Prevention and Control”.
La ripresa delle attività scolastiche in presenza è coincisa con una ripresa generale e preoccupante dell’epidemia. La domanda centrale è se le scuole siano “vittime” dell’epidemia in corso o ne siano attivi moltiplicatori. La sfasatura temporale dell’apertura delle scuole in diverse aree ha consentito a Enrico Bucci e Antonella Viola di analizzare i dati che inequivocabilmente, almeno nei limiti del primo mese di osservazione, scagionano le scuole come moltiplicatori d’infezione.
Enrico Bucci ed Antonella Viola, membri del direttivo del PTS hanno condotto una analisi sulla base dei dati disponibili per ricostruire l’andamento delle infezioni nelle scuole, al fine di rispondere al seguente quesito: possono le scuole essere considerate un luogo particolarmente rischio, sulla base dei dati disponibili?
Risultati in breve.
Dalla riapertura delle scuole, è iniziato il monitoraggio dei casi di positività a SARS-CoV-2 sia tra gli studenti che fra il personale scolastico.
I dati di analisi dell’incidenza nel tempo, cioè la dinamica di propagazione del virus nelle scuole, non è finora stata studiata in dettaglio, soprattutto a causa della grave mancanza dei dati necessari, i quali sono stati certamente raccolti ma non messi a disposizione né, per quanto se ne sa, utilizzati.[1]
L’analisi presentata qui di seguito tenta di ricostruire l’andamento delle infezioni nelle scuole, al fine di rispondere al seguente quesito: possono le scuole essere considerate un luogo particolarmente rischio, sulla base dei dati disponibili?
Per rispondere, si sono utilizzati due approcci indipendenti: uno direttamente basato sui dati disponibili per le scuole, ed uno volto a cercare effetti della riapertura sulle curve epidemiche regionali, confrontando regioni che hanno aperto prima con regioni che hanno aperto dopo,
Nonostante le limitazioni, principalmente dovute alla difficoltà nel reperire i dati necessari e alla correlata difficoltà nel controllare per eventuali bias di campionamento, le conclusioni ottenute sono complessivamente le seguenti.
I dati considerati non supportano un ruolo delle scuole come “moltiplicatore” di infezioni
I dati considerati mostrano che le scuole non sono più protette del resto della comunità
Il tasso di infezione scolastica appare seguire quello della comunità circostante
La probabilità di infezione in una scuola non è significativamente diversa da quella della società nel suo complesso
Come detto, i nostri dati suggeriscono che non al momento non esistano motivi per evocare la chiusura delle scuole più di quanto non ve ne siano per un lockdown dell’intera società, poiché non sembra ascrivibile alla scuola l’aumento dei contagi. Al contrario, la scuola è fondamentale per la formazione, la socialità, lo sviluppo e il benessere dei bambini e dei ragazzi e la sua chiusura causerebbe danni gravissimi alle future generazioni e al Paese, ivi compresi danni di salute, come riportato in letteratura scientifica.
Al fine di proteggere la scuola dal diffondersi del contagio, è però urgente intervenire sulle regole e sulle procedure per la tracciatura ed il contenimento di eventuali focolai scolastici.
Innanzitutto, ricordiamo che al momento in Italia vi è un’inaccettabile disparità di indicazioni da regione a regione; questa deve essere abbandonata, in favore di una procedura unica.
In secondo luogo, la diagnostica in ambio scolastico deve essere anche essa uniformata e potenziata, attraverso l’introduzione di test rapidi antigenici e la procedura di pooling, in modo da evitare di affaticare ulteriormente il sistema diagnostico nazionale, già sotto stress per la ripresa epidemica in atto.
Fatte queste premesse, ricordiamo di seguito alcuni tra i punti che consideriamo più importanti.
Studio numero 1: l’andamento del contagio nelle scuole di alcune aree geografiche selezionate.
Grazie all’analisi delle fonti giornalistiche che riportano le dichiarazioni delle corrispondenti autorità sanitarie, è stato possibile reperire alcuni dati per quel che riguarda il numero di positivi nel tempo riscontrati nelle scuole della provincia di Milano, di quella di Bergamo e dell’intera regione Lazio.
I dati crudi cumulati, normalizzati per 100.000 unità di popolazione scolastica (intendendo la somma degli studenti, del personale docente e di quello tecnico-amministrativo) sono rappresentati di seguito.
Come è possibile notare dalla figura, per tutti e tre i gruppi di scuole considerati si osserva una crescita esponenziale del numero di casi cumulati nel tempo (e, corrispondentemente, dell’incremento di casi registrati).
Per sapere se le scuole costituiscono ambiente di particolare contagio, è necessario confrontare la crescita nel tempo del numero di casi positivi nelle scuole a quella registrata nella corrispondente area geografica. Tuttavia, si pone preliminarmente il problema di valutare se il campionamento all’interno delle scuole sia quantitativamente paragonabile a quello che avviene all’esterno delle scuole; un eventuale sottocampionamento porterebbe infatti a risultati artificiosamente più bassi nelle scuole rispetto a quelli sulla popolazione.
Per quel che riguarda Bergamo, si dispone fortunatamente dei tamponi effettuati nelle scuole in diversi intervalli di tempo a partire dal 14 settembre. In mancanza dei dati per l’intera provincia di Bergamo, la percentuale di soggetti testati fra i membri della popolazione scolastica di quella provincia può essere paragonata alla percentuale di testati fra gli abitanti dell’intera Lombardia.
Il risultato è riportato di seguito.
Come si può notare, almeno per le scuole di Bergamo non sembra che si sia sottocampionata la popolazione scolastica rispetto alla popolazione della regione in nessuno dei periodi considerati; inoltre, si osserva come la percentuale di test effettuati nelle scuole aumenti e diminuisca in corrispondenza degli aumenti e delle diminuzioni dei test a livello regionale, con una correlazione che è buona escluso il periodo iniziale, in cui si effettuavano meno test nelle scuole per ovvi motivi di avviamento. Questo tipo di semplice analisi, se esteso opportunamente a tutti i dati sulle scuole in possesso di ATS e regioni, potrebbe rassicurare almeno circa l’assenza del più grossolano fra i bias di campionamento; nell’ipotesi che ciò che avviene in Lombardia e a Bergamo non sia troppo diverso da quanto avviene in altre regioni d’Italia, passiamo quindi all’analisi che più ci interessa, ovvero alla comparazione delle percentuali di infezioni della popolazione scolastica rispetto alla popolazione di riferimento.
Come si può notare dai grafici, in cui si riporta il numero medio giornaliero di casi per 100.000 nelle scuole e nell’area di riferimento per i periodi indicati, le scuole (linee blue) non presentano mai un andamento peggiore rispetto alla popolazione complessiva.
La piccola discrepanza (non significativa) per Bergamo è spiegabile con il noto ritardo nell’esecuzione dei campioni nella popolazione rispetto all’immediatezza con cui ciò è stato fatto nelle scuole[2].
L’apparente deviazione (in meglio) delle scuole milanesi rispetto alla popolazione globale è invece spiegabile con gli effetti di saturazione del sistema di diagnosi e tracciamento dell’ultimo periodo, che hanno spostato sempre più i tamponi verso l’indagine clinica, abbandonando quella epidemiologica[3].
Infine, la corrispondenza fra infetti nelle scuole e sul totale osservata nel Lazio rinforza l’idea che, in sostanza, le scuole rappresentino solo una particolare finestra di osservazione all’interno di una popolazione più grande.
RISULTATO DELL’ANALISI:
Nei tre campioni esaminati (Provincia di Milano, Provincia di Bergamo, Regione Lazio) la circolazione del virus nelle scuole non appare superiore a quanto avviene nel complesso nella comunità di riferimento.
LIMITI DELL’ANALISI:
I dati sui tamponi effettuati nelle scuole, indispensabili per escludere sovra- o sottocampionamento, sono stati reperiti solo per la Provincia di Bergamo.[4] Sebbene per il Lazio un bias di campionamento appaia improbabile (perché è difficile immaginare un sottocampionamento o un sovracampionamento effettuato in maniera tale da dare esatta sovrapposizione fra le curve dentro e fuori le scuole), è invece possibile che un bias di sottocampionamento affligga i dati provenienti dalle scuole di Milano nell’ultima settimana.
Studio numero 2: l’effetto delle riaperture delle scuole sulle curve epidemiche.
Un secondo tipo di approccio possibile per valutare l’eventuale effetto delle scuole come “moltiplicatore” dei casi di infezione consiste nel ricercare tale effetto direttamente sulle curve epidemiche: se tale effetto esistesse ed avesse un peso significativo, esso dovrebbe manifestarsi come deviazione delle curve epidemiche dall’andamento manifestato precedentemente alla riapertura scolastica.
Al fine di meglio caratterizzare questa possibilità, è possibile confrontare l’andamento epidemico delle regioni che hanno aperto le scuole il 14 Settembre con quelle in cui la riapertura è stata rinviata al 24 settembre.
Essendo comunque in un periodo di ripresa epidemica in tutte le regioni italiane, Il test che si effettua è dunque volto ad identificare delle differenze significative fra l’aumento dei casi osservati per le regioni che hanno riaperto prima e quelle che hanno riaperto dopo.
Di seguito, si osserva la media dei casi giornalieri per le regioni che hanno riaperto il 14 settembre (linea rossa) e quelle che hanno riaperti il 24 settembre (linea nera). Per ciascun giorno, è riportata la deviazione standard intorno alla media dei casi giornalieri per 100.000 abitanti.
Anche se ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare che le regioni che hanno riaperto prima (linea rossa) abbiano una curva che cresce più rapidamente delle altre, questa impressione non è corretta: infatti, la dispersione di quelle regioni intorno alla media aumenta notevolmente (barre di errore), il che si riflette nella assenza di significatività statistica per la deviazione osservata (t test multipli su ogni giorno non rilevano nessuna differenza significativa per nessuna giornata nell’arco di tempo indicato).
Per favorire la comprensione di quanto sta accadendo, basta dire che la media in rosso nasconde regioni in cui l’epidemia cresce più significativamente ed altre in cui la crescita è indistinguibile dalle regioni rappresentate con la media in nero (regioni ad apertura più tardiva); lo stesso vale, a parti invertite, per la linea nera.
Di seguito, si mostra qualche esempio per mostrare come, in sostanza, la crescita più o meno veloce della curva epidemica è indipendente dalla data di riapertura delle scuole.
La Campania che ha riaperto il 24 settembre, per esempio, cresce altrettanto velocemente delle regioni più veloci tra quelle che hanno riaperto il 14, come la Lombardia; viceversa il Veneto, che ha aperto il 14 settembre, non cresce più velocemente dell’Abruzzo, che ha riaperto il 24 settembre.
Peraltro, va aggiunto che se vi fosse un effetto della riapertura delle scuole misurabile, esso dovrebbe manifestarsi a tempi diversi nelle corrispondenti regioni; al contrario, come si può vedere, le curve epidemiche per tutte le regioni considerate iniziano a crescere in maniera grosso modo simultanea.
RISULTATO DELL’ANALISI:
La differenza di progressione epidemica nelle regioni italiane non è spiegata dalla data di riapertura delle scuole. Viceversa, nelle prime 5 settimane dalla riapertura della scuola per la maggior parte delle regioni italiane, la data di riapertura delle scuole non distingue fra le regioni in cui la curva epidemica ha maggiormente accelerato e le altre.
LIMITI DELL’ANALISI:
Effetti esponenziali potrebbero manifestarsi su periodi più lunghi, ed essere invisibili nella finestra di tempo considerata. Inoltre, la rumorosità dei dati disponibili potrebbe mascherare anche di effetti di una certa entità.
[1] Le fonti dei dati utilizzati e le analisi descritte in questo documento saranno messe a disposizione di chi ne farà richiesta al presidente del Patto per Trasversale per la Scienza prof. Guido Poli.
[4] Ancora una volta, si sottolinea come, in linea con quanto richiesto dal presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei prof. Giorgio Parisi, a nome dell’intera comunità scientifica, i dati esistono (perché sono poi aggregati e discussi come tali), e devono essere messi a disposizione se si vuole cercare di ottenere analisi che abbiano un qualche significato.
La storia del progetto europeo sospeso dal Consiglio di Stato
Con l’ordinanza del Consiglio di stato del 9 ottobre scorso, che sospende il progetto di ricerca “LightUp” si chiude, per il momento almeno, una vicenda che ha scosso, e non poco, la comunità scientifica. In breve, il progetto LightUp, sottomesso nel febbraio 2017, viene approvato e finanziato dallo European research council (Erc) all’inizio 2018. La ricerca parte nell’ottobre dello stesso anno, con l’obiettivo di studiare come recuperare le funzioni visive compromesse in pazienti che hanno subito danni cerebrali dovuti a ictus o traumi. Per avere un’idea, questi pazienti sono circa 100 mila l’anno in Italia e la cecità di cui sono affetti non dev’essere confusa con quella dovuta a lesioni della retina.
di Corrado Sinigaglia – continua a leggere cliccando qui
NON RIPETIAMO LE VICENDE STAMINA E DI BELLA, CHIEDIAMO UNA PRESA DI POSIZIONE CHIARA AI MINISTRI SPERANZA E MANFREDI
Abbiamo appreso con sconcerto la decisione del Consiglio di Stato di sospendere nuovamente il progetto di ricerca Lightup.
Con l’Ordinanza di ieri, firmata dal Presidente della Terza Sezione Franco Frattini meno di 48h fa, l’Italia della scienza rivive lo sconcerto avuto nel leggere le decisioni giudiziarie che hanno accompagnato e alimentato le tristemente note vicende “Stamina” e “Di Bella”, che, si sperava – almeno in tempi di pandemia -, di aver consegnato al passato. Oggi la giustizia amministrativa, pur negandolo a parole, ha finito col sostituirsi alle responsabilità e conoscenze tecnico-scientifiche che la legge assegna agli organismi di valutazione competenti.
Lo European Research Council (ERC), l’organismo Europeo più prestigioso nella valutazione e promozione della ricerca, ha giudicato il progetto LIGHTUP scientificamente eccellente e eticamente conforme alla direttiva europea. Un processo di valutazione durato oltre 1 anno che ha coinvolto più di 20 esperti internazionali indipendenti. A livello nazionale, Il Ministero della Salute, come prescrive la legge, ha chiesto al Consiglio Superiore di Sanità (CSS), il suo massimo organismo tecnico-scientifico, di esprimersi sul progetto. Nella valutazione, espressa all’unanimità, si legge che “il ricorso ad un modello animale chirurgicamente indotto è ampiamente riconosciuto in letteratura e rappresenta la metodologia di studio più idonea per esplorare i meccanismi soggiacenti al fenomeno del “blindsight” in prospettiva di una ricerca traslazionale in clinica umana”, e ancora che “la sperimentazione viene condotta nel rispetto delle tre R e comporta un rapporto danno/beneficio da considerarsi favorevole “. Dopo la precedente ordinanza, in cui il Consiglio di Stato chiedeva ancora una volta di “fornire prova sull’impossibilità di trovare alternativa ad una sperimentazione invasiva sugli animali” il Ministero ha nuovamente interpellato il CSS in una composizione di membri interamente rinnovata rispetto a quella che aveva inizialmente valutato e approvato il progetto. In questa ulteriore valutazione il CSS, di nuovo all’unanimità, scriveva: “alla data odierna, non esistano metodi alternativi ad una sperimentazione invasiva sugli animali così come prevista nel progetto di ricerca”. Infine, il TAR del Lazio, nell’unica sentenza di merito sulla vicenda, chiariva che “le censure dedotte dalle parti ricorrenti [LAV] si rivelano generiche e prive di fondamento in fatto e in diritto”.
Mesi di valutazioni e ri-valutazioni di esperti, tecnici, veterinari, giuristi.
Questa vicenda, come abbiamo sempre sostenuto, non riguarda però il progetto LIGHTUP, che certamente continuerà come è stato pensato e approvato, senza ricorrere ad un animale in più ma neanche ad uno in meno di quanti sono scientificamente necessari. Quello che si deciderà a gennaio è se il progetto ERC vinto continuerà a svilupparsi in Italia, oppure in un altro paese europeo. Di fatto, è in gioco la capacità dell’Italia di promuovere e tutelare la ricerca di eccellenza, la credibilità e il prestigio delle istituzioni scientifiche chiamate a valutare e monitorare la ricerca, nel pieno rispetto delle norme etiche che la disciplinano.
Ci chiediamo cosa ne pensino in particolare il Ministro della Salute Roberto Speranza di una ordinanza in cui si disconosce il giudizio di merito espresso per ben due volte, in due composizioni diverse, dal CSS, organo del suo Ministero e il Ministro dell’Università, Prof. Gaetano Manfredi, di un “sistema Paese” che non riesce a tutelare il regolare e ordinato svolgimento di quei pochi progetti ERC vinti da ricercatori italiani intenzionati a sviluppare il progetto in Italia nell’interesse della conoscenza e della salute di tutti, ma che sono sottoposti a minacce, lettere con proiettili e infine ripagati con questo livello di ottuso ostruzionismo? Chiediamo con forza che su questi temi il Governo in particolare, e la classe politica in generale, prendano una posizione netta, proprio in un momento in cui la pandemia ha reso evidente, ma forse non per tutti, quanto la nostra vita e la nostra capacità di affrontare vecchie e nuove sfide dipenda dalla ricerca e dalla sua tutela.
Nell’ultimo anno, i progetti di giovani ricercatori finanziati dal prestigioso European Research Council sono stati 436, di cui ben 53 assegnati a studiosi italiani (secondi dopo i tedeschi). Tuttavia, solo 20 di questi progetti saranno condotti in Italia: infatti, la maggior parte dei nostri giovani ricercatori condurrà la ricerca all’estero, per poter trovare condizioni di lavoro, tutela dei diritti e serenità consoni all’importanza sociale del loro compito. In ambito biomedico preoccupa la vicenda relativa ad un progetto italiano vincitore di ERC, basato in due Atenei italiani, che esemplifica le ragioni della fuga dal nostro Paese dell’eccellenza della ricerca, anche di quella portata avanti da “cervelli” italiani. Il progetto Light-Up si propone di comprendere i problemi visivi che insorgono a seguito di piccole lesioni cerebrali ed a come porvi rimedio, e prevede tra l’altro una fase di sperimentazione su macachi. Ad oggi i ricercatori, oggetto da giugno 2019 di una continua e pericolosa campagna di disinformazione ad opera di associazioni animaliste, a partire dalla LAV, sono stati “premiati” dal sistema Paese con minacce di morte, ripetute ispezioni amministrative, infiniti ricorsi giudiziari culminati in uno stop cautelare da parte del Consiglio di Stato, puntualmente sconfessato dalla decisione di merito del Tar del Lazio.
E proprio sulla paradossale pronuncia della Terza Sezione del Consiglio di Stato, che intimava di sospendere in via cautelare le attività di ricerca del progetto, che è necessario soffermarsi. I supremi giudici amministrativi, con apodittiche considerazioni prive di fondamento scientifico, hanno sostenuto che quella ricerca andava sospesa, nonostante il progetto Light-up avesse superato il vaglio e ottenuto regolari autorizzazioni scientifiche ed etiche dallo European Research Council, dal Ministero della Salute (previa acquisizione del parere del Consiglio Superiore di Sanità, il massimo organo di consulenza tecnico-scientifica del Ministero) e dall’OPBA (Organismo Preposto al Benessere degli Animali) dell’Università di Parma, dove si dovranno svolgere le sperimentazioni. Ci si chiede ancora, con stupore, di quale “arcana” competenza scientifica si siano fatti portatori i giudici di Palazzo Spada.
La “resilienza” – la stessa a cui l’Europa ci richiama per fronteggiare la pandemia – dei ricercatori e la prova dei fatti, tuttavia, hanno portato ad un pronunciamento favorevole alla prosecuzione del progetto di ricerca da parte del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), il quale ha stabilito inequivocabilmente che “le censure dedotte dalle parti ricorrenti [LAV] si rivelano generiche e prive di fondamento in fatto e in diritto”. Ma non è bastato neppure questo ulteriore pronunciamento e giudizio di merito per porre fine ad una situazione che quegli elementari principi di merito e di diritto sembra decisa a sovvertire fino in fondo. Così, giovedì prossimo, assisteremo all’ennesima udienza del Consiglio di Stato per un ulteriore pronunciamento su quanto già enunciato dal TAR, a causa dell’ennesimo ricorso della LAV.
Oltre all’evidente danno per i ricercatori coinvolti nel progetto Light-Up, questa vicenda ha evidenti ripercussioni sulla credibilità e competitività del nostro sistema della ricerca. L’Italia si trova già nella gravosa situazione di dover affrontare una procedura d’infrazione per l’arbitrario recepimento della Direttiva Europea 63/2010, volta a stabilire misure relative alla protezione degli animali utilizzati a scopi sperimentali. Infatti, unici in Europa, abbiamo tradotto tale Direttiva nel nostro ordinamento aggiungendo ulteriori ed immotivate restrizioni, di anno in anno sottoposte a moratoria, per far sì che la ricerca in quegli ambiti potesse continuare (Decreto Legislativo n. 26/2014), sebbene con futuro assai incerto. Questi eventi pongono la ricerca biomedica italiana in una condizione non solo di inferiorità, ma anche di manifesta inaffidabilità nel contesto europeo, che potrebbe precludere l’accesso a fondi comunitari su temi vitali per la salute pubblica e, persino, all’utilizzo dei tanto attesi fondi per ricerca e sviluppo legati all’emergenza COVID-19 (Next Generation EU o Recovery Fund). Ciò renderebbe ancora più difficile la situazione della ricerca italiana (Università ed enti di ricerca, policlinici, IRCCS, imprese biotech) e dei tanti lavoratori e ricercatori del settore. Scoraggerà alcuni dal rientrare in Italia, ne spingerà altri ad abbandonare il nostro Paese. L’impronta irrazionale e ideologica che anima queste iniziative avrà come inevitabile risultato quello di precludere ed ostacolare anche la ricerca e la validazione di metodi “alternativi” (più corretto dire complementari) alla sperimentazione animale, essendo i due approcci inscindibili in ogni seria strategia metodologica.
Uno stato di diritto non può far prevalere e lasciare spazio alla sola “narrazione animalista”, una voce ideologica, antiscientifica e spesso violenta. Se lo stravolgimento dei giudizi di merito enunciati da organismi autorevoli e competenti in ambito scientifico venisse di nuovo perpetrato, assisteremmo all’ulteriore logoramento dei principi di libertà di ricerca (art. 33 Costituzione) su cui si fonda l’Università pubblica: una condanna alla “marginalità sociale” e alla “irrilevanza politica”.
Confidiamo che il Consiglio di Stato nella sua prossima deliberazione voglia confermare il giudizio di merito già espresso dal TAR, anche a tutela della ricerca, del suo valore per la conoscenza, la protezione e la cura della salute pubblica, e nel rispetto di tutte le valutazioni tecnico-scientifiche ed etiche nazionali ed europee che si sono invariabilmente espresse in senso favorevole sia rispetto al progetto Light-Up, sia alla indispensabilità della sperimentazione animale.
Antonio Musarò, Università Sapienza Roma
Elisabetta Cerbai, Università di Firenze
Micaela Morelli, Università di Cagliari
Michele Simonato, Università di Ferrara e Università San Raffaele, Milano
Marco Onorati, Università di Pisa
Alexandra Battaglia-Mayer, Università Sapienza Roma
Paolo Calabresi, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, Presidente della Società italiana di Neuroscienze
Fiorenzo Conti, Università Politecnica delle Marche, Presidente della Società italiana di Fisiologia
Giuliano Grignaschi, Segretario generale di Research4Life
Roberto Caminiti, Coordinatore del Gruppo operativo sulla Sperimentazione animale del Patto Trasversale per la Scienza
per il raddoppio dei fondi alla ricerca per i prossimi sei anni
Il Patto Trasversale per la Scienza appoggia e sostiene il #pianoAmaldi che propone di aggiungere 1,5 miliardi al bilancio della ricerca pubblica – di base e applicata – nel 2021 e continuare fino a raggiungere l’1,1% del Pil nel 2026. Perché, come si legge nel testo della petizione rivolta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte su change.org, “la ricerca, di base e applicata, è sorgente di nuove conoscenze e di futuro benessere per tutti.
Il “Recovery Fund” costituisce una occasione imperdibile per il rilancio del nostro paese e per il nostro futuro. Che la ricerca costituisca il motore di questo rilancio non è soltanto un auspicio del PTS, ma un’opinione condivisa dalle più importanti istituzioni culturali e politiche sovranazionali.
Inoltre, come sostiene il Prof Amaldi, investire sulla ricerca significa portare a compimento l’investimento sulla scuola (per drenare tra dieci anni le fughe dei cervelli), e significa investire sulle donne che già oggi rappresentano quasi il 50% degli addetti alla ricerca.
Come annunciato dal ministro Manfredi si sta varando il Piano Nazionale della Ricerca (PNR) 2021-2027 per il quale è già programmato uno stanziamento cospicuo. La possibilità di aggiungere al PNR altri finanziamenti in arrivo dall’Europa ci permetterebbe di colmare il gap esistente con altri paesi europei e far fare al nostro paese “il salto di qualità” richiesto dal Professor Amaldi e da tutta la comunità scientifica.
“Sarà poi ancora più importante” –sostiene Piergiuseppe De Berardinis (responsabile del gruppo fondi e politiche della ricerca del PTS) – “fare in modo che gli investimenti seguano un percorso virtuoso di attuazione, attraverso un trasparente sistema di accesso ai bandi di finanziamento e di valutazione e monitoraggio dei progetti e dei risultati”.
Il PTS pertanto condivide l’appello a sostenere la proposta del Professor Amaldi attraverso la petizione presente su change.org, che ha già ricevuto oltre 10 mila firme, inoltre il PTS invita tutti i suoi soci e chiunque creda nella ricerca come fonte di nuove conoscenze e dello sviluppo della società a sottoscrivere la stessa petizione.
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIUSEPPE CONTE
L’Italia investe ogni anno soltanto lo 0.5% del Prodotto interno lordo (Pil) in ricerca pubblica, ossia circa 9 miliardi di euro, di cui 6 miliardi per la ricerca di base e 3 miliardi per quella applicata. Al confronto la Francia investe lo 0.75% (circa 17 miliardi di euro) e la Germania 30 miliardi, ossia quasi l’1% del Pil. I paesi del Nord Europa investono frazioni del Pil ancora maggiori.
Il #PianoAmaldi propone di aggiungere 1,5 miliardi al bilancio della ricerca pubblica – di base e applicata – già nel 2021 e continuare fino a raggiungere l’1,1% del Pil nel 2026, “agganciando” così l’investimento della Germania.
Centinaia di studi hanno dimostrato che la ricerca di base – non volta ad applicazioni particolari ma condotta per desiderio di pura conoscenza – è all’origine dell’innovazione tecnologica di lungo periodo e di nuovi mestieri, oggi impensabili, e produce non soltanto nuove conoscenze ma anche benefici economici.
Finanziare la ricerca pubblica applicata ha lo scopo di compensare, almeno nel breve termine, la scarsa propensione all’investimento in ricerca e sviluppo delle imprese italiane, per lo più piccole.
La ricerca pubblica (che riguarda non soltanto le scienze naturali ma anche le scienze sociali, le discipline umanistiche e l’arte) offre una delle migliori possibilità di investimento dei fondi del New Generation EU ed è in grado di qualificare tutte le altre richieste fatte all’Europa perché ha effetti proprio sul futuro delle nuove generazioni in un settore nel quale, con relativamente pochi fondi, l’Italia – che ha pochi ma validi ricercatori – può molto migliorare portandosi in 6-7 anni al livello della Germania. Investire nella ricerca pubblica è, inoltre, un investimento sulle donne perché il 47% dei ricercatori pubblici sono donne, mentre in Germania e Francia sono il 35%.
Con questa lettera aperta proponiamo che i fondi aggiuntivi siano ripartiti, con criteri meritocratici, su quattro aree d’investimento:
· Risorse Umane: aumento del valore e del numero di borse di dottorato e aumento del numero di ricercatori, anche per invertire la «fuga dei cervelli»;
· Progetti: lancio di nuovi grandi progetti e di progetti diffusi di rilevanza scientifica e sociale;
· Infrastrutture: potenziamento dei laboratori e delle infrastrutture di ricerca esistenti;
· Trasferimento tecnologico: miglioramento delle condizioni in cui avviene il trasferimento di conoscenze e di tecnologie dalle università e dagli enti pubblici alle imprese, in particolare a quelle medie e piccole.
In parallelo all’aumento dei finanziamenti sono necessarie riforme di sistema, attese da tempo, volte a eliminare la burocrazia e incentivare l’originalità e l’indipendenza di pensiero delle nuove generazioni.
Le basi e i dettagli della proposta sono presentati alle pagine 105-112 di
LA RICERCA SCIENTIFICA PUBBLICA È DI TUTTI I CITTADINI
La ricerca, di base e applicata, è sorgente di nuove conoscenze e di futuro benessere per tutti.
A luglio 2020 i leader dell’UE hanno concordato un pacchetto articolato che combina il quadro finanziario pluriennale (1074 miliardi per il 2021-27) con uno sforzo straordinario per la ripresa di 750 miliardi, detto Next Generation EU. Per quanto riguarda l’Italia, il piano prevede poco più di 208 miliardi, dei quali 81 miliardi sono sussidi a fondo perduto mentre 127 miliardi sono prestiti. I prestiti vanno ovviamente restituiti, anche se a tassi molto bassi e a condizioni agevolate; è quindi essenziale che questi prestiti siano utilizzati per generare nuova ricchezza negli anni a venire.
La pandemia di Covid-19 ha dimostrato che i Paesi che investono molto in ricerca (come Germania e Corea del Sud) sono più resilienti. Nel post-pandemia è necessario che l’Italia utilizzi i fondi europei per andare nella stessa direzione. Inoltre, è ormai sotto gli occhi di tutti come le attività economiche tradizionali (ad esempio il turismo, e il commercio) si siano dimostrate molto fragili mentre, al contrario, la pandemia ha aumentato il valore di tutti i settori high-tech. Un dato per tutti, la capitalizzazione delle Big Five (Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, e Google) ha ormai superato i 4000 miliardi di dollari, una cifra maggiore del Pil della Germania.
Oltre a produrre nuova conoscenza e nuove tecnologie che vanno poi a beneficio di tutti – basti pensare al Web e alla sua utilizzazione durante la pandemia – la ricerca (di base e applicata) arricchisce la vita dei cittadini ed è sorgente del loro futuro benessere. Per esempio, l’economia del Web in Italia fattura quasi 100 miliardi di euro l’anno. Inoltre, considerando l’Europa, la produzione economica delle industrie che utilizzano le conoscenze della fisica ammonta a 1450 miliardi l’anno, cioè al 12% dell’output totale (dati 2019); questa è una cifra molto superiore a quella dovuta a settori ritenuti già molto redditizi, come commercio (4.5%), costruzioni (5.3%) e servizi finanziari (5.3%).
Vi sono realtà accademiche in Europa che, oltre ad essere delle vere e proprie fabbriche di cervelli, hanno un impatto economico enorme come il Politecnico di Zurigo (ETH) e l’Imperial College di Londra, che presentano fattori di ritorno economico del loro finanziamento pubblico annuale pari a 5 o più. L’ETH per esempio è uno dei 20 maggiori produttori di brevetti in Svizzera e ha uno spin-off di circa 50 industrie/anno che si accaparrano una frazione significativa dei «venture capitals» della Confederazione. Queste istituzioni non sono delle fortunate eccezioni ma il frutto di un sistema che connette il settore pubblico (scuola, università ed enti di ricerca pubblici) con quello privato. La mancanza di questa cinghia di trasmissione in Italia è dimostrata dal numero di brevetti depositati presso gli Uffici dei brevetti sia europeo sia americano. La Germania deposita circa il quintuplo dei brevetti italiani in EU e dieci volte più brevetti dell’Italia in USA. L’Italia, insieme alla Spagna è il fanalino di coda in termini di brevetti depositati sia in EU che in USA.
L’innovazione industriale dovuta al trasferimento tecnologico, che ha origine nella ricerca di base e applicata, è sempre più evidente nei campi farmaceutico e delle scienze della vita, su cui l’attenzione pubblica si è particolarmente concentrata negli ultimi tempi a causa della pandemia ma che già da decenni sta ottenendo successi sempre più importanti. Per esempio, la scoperta nel 1987 nel DNA di alcuni batteri di brevi sequenze ripetute (dette CRISPR) ha portato, in combinazione con la scoperta della proteina Cas9, alla capacità tecnica di editing di specifiche sequenze di geni nelle cellule. La tecnica CRISPR/Cas9 è una scoperta proveniente dalla ricerca di base ma è correntemente impiegata come correttore genomico per far avanzare la ricerca applicata nella cura dell’AIDS e dei tumori, nel miglioramento dei rendimenti in agricoltura e dei biocarburanti e nella lotta alle zanzare che causano la malaria.
Solo tre anni fa moriva il piccolo Charlie Gard a causa di una rara alterazione genetica del DNA dei mitocondri. Quest’anno l’identificazione di un enzima in grado di operare sul DNA mitocondriale sta aprendo la via alla cura di queste malattie genetiche devastanti. La nuova tecnica è il risultato della ricerca di base, a dimostrazione del fatto che anch’essa può produrre rapidamente risultati e applicazioni ed è decisiva per la qualità della vita di ognuno anche nel breve termine.
È necessario cogliere l’occasione favorevole e agire subito.
Il dopo-pandemia offre un’occasione unica e irripetibile per finanziare a livello europeo la ricerca pubblica, di base ed applicata, liberandola dall’eccessiva burocrazia che le impedisce di svilupparsi appieno.
Il piano per la ricerca propone un investimento essenziale per dare un futuro al sistema Paese. Non bisogna commettere l’errore di considerare la spesa in ricerca come qualcosa di lontano dalla vita di tutti i giorni: i bambini che, con le molte difficoltà dovute alla pandemia, stanno tornando a scuola avranno una vita più piena e un tenore di vita migliore di quello odierno solo se, tra una ventina d’anni, svolgeranno lavori altamente qualificati e produttivi in grado – tra l’altro – di sostenere l’onere crescente dei contributi che renderanno possibile il pagamento delle pensioni dei loro genitori, ossia degli adulti di oggi.
L’attuazione del piano per la ricerca deve iniziare già nel 2021 e con un grande investimento aggiuntivo, rispetto al 2020, perché il sistema della ricerca pubblica è da tempo in grande sofferenza.
Una ricerca pubblica forte produrrà nuove conoscenze, contribuendo a mantenere l’Italia all’altezza della sua storia, e sarà in grado di trainare il sistema industriale e imprenditoriale affinché possano avvenire, in modo sistemico, quei trasferimenti di conoscenze e di tecnologie che finalmente renderanno le imprese italiane innovative e competitive sul mercato globale.
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