La necessità del dubbio ed il dovere della trasparenza nella scienza

Roberto Caminiti

Professore di Fisiologia, Università di Roma SAPIENZA

Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”

In un mio articolo sul Sole24 Sanità del 31 marzo 2015, a proposito dell’importanza della trasparenza nella scienza contemporanea, scrivevo come “…la trasparenza deve ispirare il dubbio ed il pensiero critico che percorre le vene della vera scienza, ed essiccare quei terreni di cultura che nel nostro Paese hanno portato alla “cura Di Bella” per il cancro e a Stamina per le terapie delle malattie neurodegenerative. Un atteggiamento opaco dà spazio a spinte irrazionaliste, a falsi professori e moderni Dulcamara che con i loro elisir affollano le TV private e incredibilmente anche quelle pubbliche. E’ importante che gli scienziati non veicolino visioni furbamente sensazionalistiche dei loro risultati. Bisogna spiegare che non esistono centri nervosi che fanno di noi dei criminali o dei santi, ma piuttosto accendere il pensiero critico”. 

Poiché la ricerca è largamente pagata dalle tasse dei cittadini, i ricercatori hanno l’obbligo di uscire dai loro chiostri e comunicare all’opinione pubblica i risultati e l’importanza della ricerca biomedica in forma semplice, sottolineando come nel medio-lungo periodo questa produrrà un rafforzamento dei servizi sanitari nazionali e un significativo vantaggio economico e di salute pubblica nei vari paesi.

Oggi, sotto la morsa del coronavirus, siamo bombardati da notizie sull’andamento dell’infezione, sul numero dei guariti e deceduti, sull’immunità di gregge, su modelli epidemiologici, tamponi mancanti, etc. ed ognuno tende a sviluppare una propria “visione” in merito (la mascherina non serve, gli anticorpi proteggono, l’afa estiva farà evaporare il virus, quindi tutti al mare, etc.) dettata da necessità ed aspettative, piuttosto che da un’analisi razionale dei fatti. Mai, come oggi, le opinioni pubbliche di tutti i Paesi scoprono la scienza, sebbene solo come temporanea consigliera di un potere politico inerme che, specie in Italia, ha tradizionalmente riempito le assemblee rappresentative di un ceto privo di competenze professionali e scientifiche sufficienti per operare in modo incisivo sulla realtà e sulle sfide, a volte estreme, che essa impone. 

Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”, che bypassando fasi cruciali, quale la sperimentazione sugli animali, sarebbe disponibile entro l’autunno, un evento che i virologi più seri e responsabili ritengono altamente improbabile e perfino pericoloso.  La comunicazione con l’opinione pubblica e la politica deve essere essenziale, poiché in passato gli scienziati sono stati muti ed oggi il loro dire attuale è più che mai mediato dall’interazione con il mondo dell’informazione. Questa, in Italia (e non solo) ha tradizionalmente avuto scarsa cognizione dell’impatto sulle nostre vite del metodo scientifico di galileiana memoria, come dimostrato dalle deboli redazioni scientifiche dei mezzi di informazione radiotelevisivi e della carta stampata, dal numero limitatissimo di scuole di giornalismo scientifico, dallo scarso rilievo che scienza e ricerca hanno nell’educazione scolastica. Oggi più che mai la scienza, piuttosto che assecondare facili speranze, ha il dovere e l’occasione di ispirare il dubbio, non come forma di nichilismo, ma come veicolo di quel pensiero critico che è l’essenza del suo agire.

L’esercizio del dubbio ha attraversato per secoli il pensiero filosofico e scientifico, a partire dalle scuole arabe e persiane che rifiutavano l’eredità della saggezza greca, ispiratrici di quel movimento chiamato al-shukuk (dubbi), come scritto in un bell’articolo di Jim Al-Khalili sul Guardian 1. Il dubbio come forma sistematica del pensare attraversa Socrate, Sant’Agostino, Cartesio, Kant, e più recentemente Wittgenstein, Popper, Kuhn, ed il laboratorio di zetetica, intesa come arte del dubbio, di Broch. Il principio di falsificabilità di Popper, pur nella sua radicalità, rimane una pietra miliare della scienza contemporanea. La vera scienza ha un incedere lento, perché si basa su intuizioni, ipotesi, verifiche sperimentali, pause, nuovi inizi ed anche fallimenti, ed i suoi risultati devono essere sempre falsificabili, altrimenti è fede o superstizione.  L’esercizio del dubbio porta all’ammissione degli errori ed alla loro correzione e, attraverso ciò, svolge una funzione educativa, come premessa della diffusione di una visione critica della realtà.

Questo è oggi l’unico strumento che abbiamo anche per neutralizzare i veleni di creazionisti e teorici della cospirazione, quei moderni untori che hanno il loro terreno di cultura negli ambienti ultraconservatori cattolici USA, stretti amici di sovranisti e fascisti nostrani e sostenitori che il coronavirus è la maledizione divina in risposta all’abbandono della dottrina cristiana da parte dell’attuale Pontefice, da mandare al rogo come le streghe, i maghi e gli ebrei di Spagna ritenuti responsabili della pestilenza del 13002. Nel suo articolo sul Guardian, Al-Khalili nota opportunamente che, al contrario del metodo scientifico, i teorici della cospirazione accettano e diffondono solo quelle evidenze che confermano, piuttosto che confutare le loro credenze ed i  movimenti politici che ad essi si ispirano considerano il pensiero critico una forma di debolezza e di perversione da estirpare dalle nostre società.

Sebbene “popolare” come mai, la scienza oggi si confronta con una doppia sfida: arginare l’attuale pandemia e convincere l’opinione pubblica e la politica che il suo fare non è caratterizzato da certezze, ma disseminato di fertili dubbi.  Solo se questo atteggiamento culturale ispirerà anche la politica e la società tutta si potrà sconfiggere il coronavirus oggi o catastrofi prossime venture. Tra queste, temibilissime per le future generazioni sono quelle che deriveranno dagli effetti dei cambiamenti climatici, a tutt’oggi negati dai sovranisti di ogni genia, gli stessi che inizialmente hanno negato l’esistenza dell’attuale pandemia, esemplare il caso di Trump negli USA.  Gli autocrati sfrutteranno future emergenze, come l’attuale, per avocare a sé i pieni poteri (vedi Orban in Ungheria) e restringere gli spazi della democrazia3, che dovrà sempre più fondare le sue basi sulla condivisione e sulla vera forza, e non debolezza, del pensiero critico.

La scienza ha molto da dire a tal proposito, ed è bene che lo faccia sempre, non solo quando interrogata da ceti politici impreparati e frettolosi, che non vanno solo informati criticamente sul da farsi, ma messi di fronte alle responsabilità passate sulla drammaticità del momento (e dei mesi a venire), quali il depotenziamento e frazionamento del sistema sanitario nazionale, della medicina di territorio, ed i tagli sistematici alla ricerca. Gli scienziati, come intellettuali, devono esercitare un ruolo critico che, abbandonando ogni narcisismo, mai dovrà assomigliare a quello di acritico “consigliere del Principe”. Non deve sorprendere che l’attuale Governo, nel difficile equilibrio tra salute ed economia, tenti di operare delle scelte ispirate da un approccio scientifico che, come nel “dilemma del prigioniero”, trova un suo equilibrio tra interesse individuale e collettivo pagando un inevitabile costo4

1 https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/21/doubt-essential-science-politicians-coronavirus?CMP=Share_iOSApp_Other

2 Da non perdere a tal proposito l’intervista di Daniela Minerva ad Andriano Prosperi sullo speciale COVID 19 di LIVE del 30 aprile.

3 Ezio Mauro, La pandemia aiuta gli autocrati, la Repubblica, 27 aprile 20204   Vittorio Pelligra, Il Sole 24 Ore, 20 Marzo 2020 (https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-come-potrebbe-cambiare-regole-sociali-altruismo-e-opportunismo-ADr6A2E?refresh_ce=1)

MUCCA PAZZA e COVID19

Cristina Casalone, Dirigente Veterinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è socio e membro del Gruppo PTS sulla Sperimentazione animale. A lei si deve la scoperta di un nuovo ceppo di BSE nominato “BASE” (Bovine Amyloidotic Spongiform Encephalopaties) e lo sviluppo di un suino transgenico SOD-1 per lo studio della SLA. E’ inoltre responsabile di un progetto dell’agenzia Spaziale Europea sull’Alzheimer eseguito ad Agosto da Parmitano sulla Stazione Spaziale Internazionale.Insieme a Giovanni Di Guardo, Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Università di Teramo, hanno messo a confronto due epidemie di origine zoonotica: la COVID-19 e l’Encefalopatia spongiforme bovina – il “morbo della mucca pazza”, una malattia neurologica cronica causata da un prione (una proteina anomala) tipica dei bovini ma trasmissibile all’uomo attraverso carne contaminata.

L’articolo è stato pubblicato in veste di lettera all’Editore (e-letter) su Science – https://bit.ly/2Y5NRPRe da poco su Focus – https://bit.ly/35aZFBY

“L’allarme su una possibile correlazione tra morbo della mucca pazza e malattia di Creutzfeldt-Jakob (una forma grave di demenza con decorso molto rapido) in soggetti giovani arrivò in Gran Bretagna nel 1996. Oggi l’epidemia legata al consumo di carni infette è stata praticamente eradicata. Proprio in un momento come questo, in cui il mondo intero sta combattendo il virus SARS-CoV-2, responsabile della più grande emergenza sanitaria globale, è quanto mai importante fare memoria delle lezioni apprese nel corso di emergenze sanitarie passate. Una di queste è senz’altro rappresentata dall’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), popolarmente nota come “morbo della mucca pazza”. CoViD-19 e BSE infatti, pur nelle colossali differenze che caratterizzano le due malattie, la prima causata da un virus a tropismo respiratorio, l’altra di origine alimentare e causata da un prione, un agente “sui generis” di natura proteica, presentano tuttavia una serie di analogie gestionali estremamente interessanti.

AGIRE PER SALVARE VITE. La prima di esse riguarda il principio di precauzione, un “minimo comune denominatore” applicato alla gestione di qualsivoglia emergenza, non meramente sanitaria e dalle conseguenze imprevedibili in quanto se ne hanno conoscenze imprecise e frammentarie se non largamente deficitarie. Ove l’agente di malattia risultasse trasmissibile all’uomo, come nel caso di quello responsabile della BSE, oppure fosse dotato di una contagiosità quanto mai elevata a fronte della mancata disponibilità di farmaci e/o di vaccini specifici, come nel caso del coronavirus che provoca la CoViD-19, ecco che al principio di precauzione viene ad affiancarsi il concetto di worst case scenario. Tradotto in italiano, il peggiore scenario che si possa immaginare, sulla cui scia verranno predisposte e adottate tutta una serie di misure finalizzate a ridurre al minimo l’esposizione umana. Nella gestione sanitaria e nella conseguente massima mitigazione del rischio di trasmissione della BSE all’uomo tali misure hanno comportato l’esclusione, dal consumo alimentare, di numerose matrici biologiche a livello delle quali è stata documentata la presenza d’infettività. Analogamente, nel caso della drammatica “emergenza da coronavirus” sono state adottate una serie di misure draconiane che, a partire dalla città di Wuhan e dalla provincia cinese di Hubei (epicentro della pandemia da SARS-CoV-2), sono state successivamente applicate in maniera progressiva da vari Paesi, primo fra tutti l’Italia, il cui esempio è stato seguito a ruota da molti altri Paesi europei ed extra-europei.

UNA LACUNA DA COLMARE. Il principale gap relativo all’adozione del principio di precauzione è rappresentato dalla mancanza di conoscenze adeguate sul “nemico” che ci si trova a combattere, un agente patogeno di dimensioni submicroscopiche e come tale percepito come una minaccia ancor più incombente sulle nostre vite. La comunità scientifica non soltanto è chiamata a dare un nome e un cognome a questo nemico, ma anche ad individuare i tessuti e le cellule in grado di consentirne la replicazione, unitamente ai meccanismi e alle risposte attuate dall’organismo per limitarne la diffusione.Queste fondamentali quanto imprescindibili conoscenze potranno esser desunte dalle indagini “post mortem”, come hanno chiaramente documentato anche i numerosi studi finora condotti sulle specie naturalmente (bovino, gatto, uomo, etc.) o sperimentalmente infettate con l’agente della BSE. Non vi è dubbio alcuno, in proposito, che le attuali conoscenze sulla patogenesi dell’infezione da SARS-CoV-2, da ritenersi allo stato attuale oltremodo lacunose e frammentarie, potranno grandemente beneficiare dallo studio dei pazienti deceduti.Nonostante le numerose interviste concesse dai pur autorevoli colleghi e scienziati quotidianamente intervistati dai media (virologi, infettivologi, epidemiologi, esperti di sanità pubblica ed altre figure che si avvicendano nell’arena mediatica), nell’inquadramento nosologico e nosografico oltre che nella classificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 e della malattia da esso sostenuta, la CoViD-19, non si è visto fino a questo momento un solo patologo esprimere la propria opinione nel merito. È infatti grazie alla fondamentale opera svolta dai patologi che potremo ottenere una fotografia della dimensione post-mortem della malattia, con specifico riferimento alla sequenza evolutivo-patogenetica dell’infezione da SARS-CoV-2.E, come dimostrato per i ceppi responsabili di malattie prioniche “atipiche” con caratteristiche diverse dal ceppo originario, sia nell’uomo che negli animali, potrebbero esistere ceppi del virus SARS-CoV-2 dotati di differenti livelli di patogenicità nei confronti del nostro organismo. Ribadiamo, ancora una volta, la cruciale rilevanza delle indagini post-mortem per chiarire questi fondamentali aspetti attinenti alla biologia dell’agente virale e, nondimeno, alle sue dinamiche d’interazione con l’ospite.INDAGINI PIÙ CAPILLARI. Nel corso dell’epidemia di BSE l’introduzione dei cosiddetti “test rapidi” a scopo diagnostico ha permesso di esaminare tutti i bovini adulti che non presentavano sintomatologia clinica ed eliminarli dal consumo umano riducendo così l’esposizione della popolazione all’agente infettivo. L’attuazione di questa sorveglianza definita attiva, in quanto si cerca attivamente la malattia ha richiesto uno straordinario sforzo tecnico ed organizzativo da parte di tutti coloro che si occupavano del settore. Si trattò, infatti, di allestire nuovi laboratori che permettessero di esaminare dai 1500 ai 2500 campioni al giorno.Analogamente, nel caso di SARS-CoV-2, recenti indagini condotte sui macachi dimostrano come sia possibile rilevare precocemente la presenza del virus in animali infettati sperimentalmente e asintomatici. Pertanto, in base a quanto sopra descritto si può affermare che l’utilizzo dei test mediante effettuazione di tamponi sulla popolazione adulta permetterebbe di ridurre in maniera considerevole il numero dei contagi applicando conseguentemente le misure di isolamento sui casi risultati positivi.

REALTÀ INTERCONNESSE. Mai come in questo momento si rende evidente il concetto di “One Health”, che riconosce quanto la salute dell’uomo sia legata indissolubilmente alla salute degli animali e dell’ambiente. Ne deriva il legame, parimenti indissolubile, attraverso il quale medicina umana, medicina veterinaria e tutela dell’ambiente sono reciprocamente interconnesse, un concetto che i nostri antichi padri traducevano efficacemente con l’espressione “universal medicina”. Diviene pertanto cruciale la collaborazione interdisciplinare, nel cui ambito il ruolo degli esperti in grado di modellare l’evoluzione delle epidemie e l’impatto dei cambiamenti climatici sulle caratteristiche eco-epidemiologiche dei relativi agenti causali sta acquisendo un’importanza via via crescente.Tanto più alla luce di quanto recentemente sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo cui il 75% delle malattie infettive emergenti sarebbero sostenute da agenti di dimostrata o sospetta capacità zoonosica (vale a dire in grado di trasmettersi dagli animali all’uomo). A 35 anni di distanza dalla scoperta del primo caso di BSE in Inghilterra, oggi possiamo affermare che la malattia è stata definitivamente sconfitta grazie all’applicazione di misure che, nella loro drammaticità e nella parziale deprivazione di alcune libertà individuali dalle stesse prodotta, hanno grandemente penalizzato dal punto di vista economico alcuni settori più direttamente coinvolti.

Megapillola di ottimismo

di Guido Silvestri

Bollettino del 30 aprile 2020

Oggi ho cambiato il titolo perché abbiamo avuto quella che, a mio modesto avviso, è la notizia più bella da quando è scoppiata la pandemia da COVID-19. La troverete al punto #5 qui sotto, ma prima leggete gli altri punti, perché sono importanti anche loro.

  1. LA RITIRATA CONTINUA
    Come vedete nel grafico postato qui sotto i ricoveri in Terapia Intensiva per COVID-19 in Italia continuano a calare per il DICIASSETTESIMO giorno consecutivo. Adesso siamo arrivati a 1.795 (da un picco di 4.068 registrato il 4 aprile scorso, con un calo ieri di altre 68 unità). Continuano a calare anche i ricoveri ospedalieri totali, che ieri sono scesi di 513 unità (siamo a quota 19.210, mentre il picco di 29.010, quasi diecimila malati in più, risale ormai al 5 aprile scorso). Insomma, lentamente ma fermamente andiamo verso la fine.
  2. ANTICORPI SI’ ANTICORPI NO
    Oggi è apparso su Nature Medicine – una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo – un articolo in cui si mostra che 285 su 285 (100%) pazienti con COVID-19 sviluppano IgG contro SARS-CoV-2 entro 19 giorni dall’inizio dei sintomi clinici (Long QX et al., Nat Med, April 29th, 2020). Il test usato in questo studio è un double-antibody sandwich immunoassay con rilevazione in chemio-luminescenza prodotto dalla Bioscience Co. Il test usa come antigeni la nucleoproteina di SARS-CoV-2 ed un peptide della Spike. Lo studio è IMPORTANTE in quanto conferma che il nostro sistema immunitario monta una risposta anticorpale contro il virus – risposta che con tutta probabilità, basandosi sui precedenti di SARS-1 e MERS oltre che sui modelli animali di infezione da coronavirus, protegge dalla reinfezione o almeno dal ritorno della malattia. Come detto molte volte, ancora non possiamo sapere quanto dura questa risposta (vi prego, non mi chiedete “perché non lo possiamo sapere?”), ma i precedenti con virus simili suggeriscono che dovrebbe durare almeno 12-24 mesi.
  3. IL PIU’ GRANDE VIROLOGO DEL MONDO?
    In questi giorni ho cercato di non dire nulla sul dottor Giulio Tarro, anziano medico italiano purtroppo noto per strane dichiarazioni sia in tema di vaccini che di COVID-19, oltre che per essere presentato con titoli fantasiosi tipo “candidato al Premio Nobel” o “il più grande virologo al mondo”. Ho mantenuto il silenzio perché i miei genitori mi hanno insegnato a rispettare le persone anziane sempre e comunque. Però, vista la rilevanza mediatica che viene data a questo collega, con tanto di intervista da Vespa, Gilletti, Telese etc., mi sento in dovere di postare, nel primo commento qui sotto, la lettera della Società Italiana di Immunologia, Immunologia Clinica ed Allergologia (SIICA) a firma della Presidente, la collega ed amica Prof. Angela Santoni. Qui riporto solo la frase finale, importantissima: “Il caso Tarro è un’occasione per sottolineare ora come non mai, nell’emergenza COVID-19, quanto sia necessario che chi ha la responsabilità della comunicazione nei media verifichi l’affidabilità e correttezza della fonte, la correttezza delle affiliazioni e dei crediti scientifici, a salvaguardia del pubblico, dei pazienti, dei ricercatori e del personale sanitario in prima linea.”
  4. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO
    Ieri si è sparsa la voce secondo cui non appena la Germania aveva allentato le restrizioni imposte per contenere il contagio di COVID-19 era immediatamente balzato alle stelle il R0, erano aumentati i contagi in modo drammatico, forse anche i morti (e, a detta di qualcuno, era anche arrivata una invasione di cavallette). Un voce alimentata dalla ormai ben nota “macchina mediatica del panico”, a cui stavolta ha contribuito con un commento improvvido anche il Ministro della Salute Roberto Speranza (a cui, forse, qualcuno dei suoi illustri consiglieri dovrebbe spiegare il concetto di “intervallo di confidenza”). Sulla situazione si fa chiarezza in un ottimo articolo de Il Post (“Davvero in Germania è peggiorata la situazione dopo l’allentamento delle restrizioni? La risposta è no, a guardare i dati, nonostante quello che se ne è letto e detto qui da noi”) a questo link:
    https://www.ilpost.it/2020/04/29/germania-r0-contagi-aumento-restrizioni/?fbclid=IwAR2JnXjoNIe2A7kBZZWHwd40Z9R7J2vuX5a22lD0q6i94WXTMymI-Fy5lvY
    Complimenti davvero di cuore all’autore di questo articolo per aver ristabilito la realtà dei fatti.
  5. LA MEGAPILLOLA DI OTTIMISMO
    Ci siamo arrivati, dulcis in fundo, e grazie per aver letto il resto di questo post. La megapillola di ottimismo sta nel fatto che il farmaco antivirale Remdesivir funziona. In un comunicato stampa del NIH sono stati descritti i risultati preliminari dello studio clinico controllato “Adaptive COVID-19 Treatment Trial”, or ACTT, che ha coinvolto 1.090 pazienti, e rappresenta il primo studio randomizzato e di larga scala per questo trattamento. In questo studio l’uso di Remdesivir ha (i) ridotto in modo statisticamente significativo il tempo medio di guarigione (definita come dimissioni dall’ospedale e ritorno alle normali attività) da 15 giorni a 11 giorni; (ii) ridotto la mortalità da 11.6% a 8.0% (riduzione del 31%, p=0.059, ai limiti dell significatività statistica [NOTA]). Così ha commentato l’ormai leggendario Tony Fauci: “I dati dimostrano che il Remdesivir ha un chiaro e significativo effetto favorevole nell’accelerare la guarigione da COVID-19. Questo è molto importante”. Ha ragione, ed infatti a mio avviso questa è la migliore notizia da quando è scoppiata la pandemia di COVID-19. In altre parole, questo è il primo PUGNO SUL NASO che la grande fratellanza della scienza ha rifilato a questo virus. Se tutto va secondo i piani, Remdesivir dovrebbe essere ora approvato dalla FDA per uso ospedaliero negli USA, e spero che lo stesso possa avvenire presto anche in Italia.

[NOTA: Altri studi clinici controllati di larga scala che sono attualmente in corso chiariranno la significatività statistica del calo della mortalità da COVID-19 osservato nei 1.090 pazienti di ACTT. Al momento ricordo solo che, estrapolando questi dati alla situazione italiana, una riduzione del 31% della mortalità corrisponderebbe a 8.581 vite umane salvate.]

La ritirata continua

di Guido Silvestri

Bollettino del 29 aprile 2020

1. LA RITIRATA CONTINUA Come vedete nel grafico postato qui sotto — grafico che è ormai diventato una celebrità televisiva grazie al bravissimo Alberto Matano di “La Vita in Diretta” (RAI UNO) — i ricoveri in Terapia Intensiva per COVID-19 in Italia continuano a calare per il SEDICESIMO giorno consecutivo. Adesso siamo arrivati a 1.863 (da un picco di 4.068 registrato il 4 aprile scorso, con un calo ieri di altre 93 unità). Continuano a calare anche i ricoveri ospedalieri totali, che ieri sono scesi di 630 unità (siamo a 19.723, per la prima volta dal 23 marzo sotto la simbolica quota 20.000). Insomma, la ritirata di SARS-CoV-2 in Italia continua costante, e la mia proiezione personale è che si arrivi a ZERO ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 entro il 31 maggio.

2. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO Il panico quotidiano di oggi, 29 aprile 2020, è la notizia secondo cui sono state segnalate sindromi di Kawasaki — una malattia dei vasi sanguigni — in bambini con COVID-19. Non ho motivi di dubitare di queste segnalazioni, sicuramente interessanti e non sorprendenti considerando le note lesioni vascolari causate da SARS-CoV-2. Per mettere comunque le cose nella giusta prospettiva ricordo che finora, negli USA, ci sono state nell’anno 2020 un totale di 3.593 morti di bambini sotto 1 anno di età di cui quattro (0.11%) causate da COVID-19; un totale di 701 morti in bambini da 1 a 4 anni, di cui due (0.28%) causate da COVID-19, e 1.036 morti in bambini da 5 a 14 anni, di cui due(0.19%) causate da COVID-19. In totale, in America sono morti, nel 2020, 5.330 bambini sotto i 14 anni di cui OTTO (0.15%) per COVID-19 e 5.322 per altre cause (nell’ordine: incidenti stradali, incidenti domestici, neoplasie, omicidi, avvelenamenti, annegamento, malattie congenite, malattie cardiovascolari, infezioni, ed incidenti sul lavoro). Nessuno di questi otto bambini era senza patologie pregresse. La morte di ogni bambino sotto i 14 anni è una enorme tragedia, e questo vale sia per lo 0.15% di morti causate da COVID-19 che per il restante 99.85%.

3. ANCORA SULLE “REINFEZIONI” IN COREA Si continua a citare da più parti lo studio coreano secondo cui il 2% dei pazienti “guariti” da COVID-19 avevano di nuovo un tampone positivo per SARS-CoV-2. Il CDC della Corea, nella persona del suo direttore, Jeong Eun Kyeong, ha specificato che: (i) i soggetti “ripositivizzati” erano tutti o asintomatici o con sintomi lievi, nessuno in ospedale; (ii) il tempo medio di “ripositivizzazione” del tampone era di 13 giorni dalla fine dei sintomi; (iii) non si potevano escludere errori di laboratorio nel test negativo; (iv) nei 6 casi in cui si è cercato di coltivare il virus non si è riusciti (ricordo che la PCR amplifica anche particelle di virus “morto”); e (v) nessuno di questi “ripositivizzati” ha trasmesso il virus ad altre persone. Lo studio coreano dimostra, in sostanza, che in alcuni casi la “guarigione virologica” è più lenta di quella clinica, il che non rappresenta una grande sorpresa. Purtroppo lo studio si è trasformato, grazie alla “macchina del panico”, in una specie di dimostrazione che le persone possano ammalarsi più di una volta (e che quindi non c’è immunità contro COVID-19). Invece, per parlare di vera e propria “seconda malattia”, occorrerebbe soddisfare le seguenti condizioni: (i) paziente guarito in quanto ripetutamente negativo al tampone e con anticorpi IgG nel sangue contro SARS-CoV-2, che (ii) torna ad avere una sintomatologia tale da essere ricoverato in ospedale ed in cui (iii) si dimostra che è stato infettato da due varianti diverse del virus*. Dopo oltre tre milioni di casi di COVID-19 al mondo non c’e’ ancora, che io sappia, un solo paziente che soddisfi questa definizione di re-infezione.Con questo auguro una buona giornata a tutti, e per domani o al massimo dopodomani, se riesco a trovare le energie 🙂 vorrei postare il decalogo che sto preparando sui vaccini per COVID-19.*per il livello di variabilità di genetica di SARS-CoV-2 da utilizzare per questo tipo di finger-printing consiglio la lettura delle mappe filogenetiche dei 3.655 genomi completi di SARS-CoV-2 disponibili su https://nextstrain.org/ncov/global.

La fiera dell’allarmismo

di Guido Silvestri

Bollettino del 26 aprile 2020

Mi scrive un lettore: “Avvisate anche l’OMS di smetterla di fare allarmismo. Capisco che abbiano da farsi perdonare (e da far dimenticare) la loro precedente sottovalutazione del problema, ma così è troppo.” Il lettore si riferisce al comunicato di ieri dell’OMS (o WHO per noi), con la frase: “There is currently no evidence that people who have recovered from COVID-19 and have antibodies are protected from a second infection.” In italiano: non c’è al momento evidenza che le persone che sono guarite da COVID-19 ed hanno anticorpi sono protette da una seconda infezione. [Il resto del comunicato sono considerazioni generali di virologia ed immunologia che nessuno mette in dubbio] La frase in questione è stata subito ripresa da tutti i media italiani, in base al noto precetto evangelico: “Dacci oggi il nostro PANICO quotidiano”. Perché hai visto mai che le persone potessero invece concentrarsi sul fatto che i ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 sono in calo per il tredicesimo giorno consecutivo (da 2.173 a 2.102, mentre il picco è stato a quota 4.068). Oppure sul fatto che il numero dei nuovi contagi in Lombardia è il più basso dal 7 marzo. Non solo.

Da <<non c’è al momento evidenza che le persone che sono guarite da COVID-19 ed hanno anticorpi sono protette da una seconda infezione>>, la frase è diventata <<le persone che sono guarite da COVID-19 ed hanno anticorpi NON sono protette da una seconda infezione>>. Si noti che questa non e’ una semplificazione del concetto, ma un suo completo travisamento. La frase dell’OMS, ci tengo a precisarlo, è formalmente corretta. Come sarebbe corretto dire che non c’è evidenza che l’umanità non sarà sterminata l’anno prossimo da un nuovo virus portato da un meteorite. In realtà l’unico modo per dimostrare “evidenza” di protezione in persone guarite da COVID-19 e con anticorpi sarebbe quello di esporle intenzionalmente al virus e vedere che non si ammalano. Non credo proprio che sia una cosa fattibile. [Tra l’altro, in termini puramente logici, è impossibile provare la proposizione “le persone guarite da COVID-19 e portatrici di anticorpi non possono re-infettarsi”. Come è impossibile provare, per esempio, che i vaccini non causano l’autismo e che io non mangio salamandre vive. O che non esiste la famosa “teiera di Russell” — la trovate su Wikipedia, e scoprirete a chi sta l’onere della prova nel metodo scientifico]

In realtà quello che sappiamo è che nonostante 3 milioni di casi confermati (e sono certamente molti di più) al momento non esiste una sola descrizione di persona che è guarita, ha gli anticorpi IgG nel siero e si riammala (cioè ha una seconda infezione con un virus diverso, non il primo virus che si ri-positivizza come nei casi coreani). Lo stesso, peraltro, vale per SARS-1 e MERS. E dire che le occasioni di riammalarsi non mancherebbero, basta guardare la Lombardia. Questo, ovviamente, non vuol dire che non possa mai succedere – in medicina ed in amore non si deve mai dire mai. Ma si tratterebbe di casi rarissimi. [Aggiunge Roberto Burioni, su questa pagina e con la sua consueta chiarezza, sui soggetti con livelli bassi di anticorpi: “Sono molte le situazioni in cui un basso livello di anticorpi è comunque sufficiente per ostacolare il virus nelle delicate fasi di “establishment” di infezione e la pronta risposta dovuta alla comunque presente memoria immunologica risulta protettiva. Posto che ancora non sappiamo se ci si può reinfettare, fino ad ora TUTTE le infezioni virali respiratorie forniscono un certo grado di protezione. Questo virus ovviamente potrebbe essere il primo a non fornirla, ma sarebbe una notevole eccezione.”]

Insomma, la vera domanda da porsi è: ma alla OMS certi comunicati stampa chi li scrive? Non è che per caso glieli prepara un cugino svizzero di Rocco Casalino – quello che (ve lo ricordate?) teorizzava che ci fosse una strategia “comunicativa” per sostenere al contempo che i vaccini sono sicuri ed efficaci ma anche inutili e tossici. Seriamente, mi aspetterei di meglio da una organizzazione con storia, missione, competenze e personale di OMS. Mi aspetterei meglio di un comunicato alla “pariamoci il culo visti i precedenti”, senza alcuna discussione approfondita dei dati virologici ed immunologici che abbiamo attualmente a disposizione.

Di caos informativo ce n’è abbastanza, di questi tempi, anche senza il carico da undici di OMS.

IL “CASO TARRO” E LA VERIFICA DELLE FONTI

La Siica Immunologia è la Società Italiana di Immunologia Clinica e Allergologia che annovera tra i suoi iscritti alcuni dei migliori ricercatori italiani – http://www.siica.org/ La SIICA non si limita ad organizzare eventi per medici e scienziati ma, con grande merito, anche incontri per cittadini e studenti come l’Univax Day al quale molti nostri soci hanno partecipato in qualità di relatori.La SIICA ha preso, con il comunicato allegato, una posizione netta che condividiamo e che vi invitiamo a leggere qui https://bit.ly/3cOXl5Y “Fellini, oppresso dalla volgarità dei nostri tempi terminò “la voce della luna” con uno splendido “ ci vorrebbe un po’ di silenzio”. Sarebbe il commento più adatto al bailamme mediatico che accompagna il dramma epocale di COVID-19, bailamme che non si è privato della comparsa di Giulio Tarro, scienziato di modestissima caratura, autoproclamatosi candidato al premio Nobel per scoperte ignote alla comunità scientifica, falso esperto che ha ad esempio infilato nella trasmissione “Non è l’arena” una serie di opinioni personali fra sciacallaggio e becero ottimismo. Chi cita le sue opinioni o lo interpella avrebbe il dovere di controllare il suo curriculum scientifico o almeno Wikipedia, dai quali sarebbe venuto a conoscenza che buona parte di quanto abbia detto risulta essere falso in tempi normali, ma “notitiae criminis” nel dramma che il paese vive!Avrebbe appreso che Tarro, pur “allievo” dello scienziato Albert Bruce Sabin (che ha sviluppato uno dei vaccini contro il virus della poliomielite), e con cui ha condiviso quattro lavori scientifici all’inizio degli anni 70, ha pubblicato 68 lavori scientifici, molti dei quali su riviste italiane non “peerreviewed”, con un totale di 447 citazioni e un indice di Hirsch di 10. Questi indici bibliometrici sono appropriati per un ricercatore all’inizio del suo percorso scientifico, non certo per un senior autoproclamatosi candidato al Nobel. Ad esempio molti membri della nostra Società Scientifica hanno decine di migliaia di citazioni nella letteratura scientifica internazionale e indici H superiori a 50 o 100. Con semplici verifiche avrebbe anche appreso che Giulio Tarro, negli anni recenti, ha partecipato solo a quelle che nella letteratura scientifica internazionale sono definite “predatory conferences” e ha ricevuto “predatory prizes”, l’equivalente insomma delle “fake news” in rete. Avrebbe anche appreso che Tarro ha sostenuto cure senza fondamento scientifico. Per questa sua dubbia reputazione e scarsa rigorosità scientifica, già negli anni 80, Giulio Tarro è stato espulso dalla Società Italiana di Immunologia, allora Gruppo di Cooperazione in Immunologia. Il “caso Tarro” è un’occasione per sottolineare ora come non mai, nell’emergenza COVID-19, quanto sia necessario che chi ha la responsabilità della comunicazione nei media verifichi l’affidabilità e correttezza della fonte, la correttezza delle affiliazioni e dei crediti scientifici, a salvaguardia del pubblico, dei pazienti, dei ricercatori e del personale sanitario in prima linea.

Prof. ssa Angela Santoni

Presidente della SIICA a nome della Società

Roma, 23 Aprile 2020″

“CHI CONTESTA LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE SOSTIENE I TEST DIRETTAMENTE SULL’UOMO”

comunicato congiunto con Research4Life

“Una retorica vuota che rischia di causare altre morti, un cumulo di frasi anche offensive per chi sta lavorando per contribuire a liberare il mondo da Covid-19” afferma Giuliano Grignaschi, direttore di Research4Life, la piattaforma che riunisce il meglio della ricerca italiana, e socio fondatore del Patto traversale per la scienza. 

Sostenere, come fa la LAV in un comunicato, che è necessaria una ricerca “human- based” – sviluppata per l’uomo e sull’uomo – significa proporre di sperimentare direttamente sull’uomo, quindi senza aver testato prima i parametri di efficacia, sicurezza e tossicità come oggi solo la sperimentazione animale consente. 

Insomma, chi contesta la sperimentazione animale sostiene – di fatto – l’idea di fare test anche molto preliminari (e quindi pericolosi) direttamente sull’uomo. 

È importante sottolineare che questa sciagurata strategia non solo esporrebbe i primi volontari a rischi inaccettabili (chi farebbe il volontario?) ma rallenterebbe anche moltissimo le tempistiche e nel frattempo la pandemia continuerebbe ad uccidere migliaia di esseri umani. 

Parlare di test fallimentari sugli animali per Covid19 è da irresponsabili, perché in tutto il mondo la sperimentazione è la base ed il presupposto della ricerca biomedica. È proprio attraverso tentativi, errori, fallimenti e successi che si consolidano cure, si scoprono medicine e vaccini. Proprio come è stato nel caso del vaccino contro Ebola che – contrariamente a quanto afferma LAV – ha dimostrato eccome la sua straordinaria efficacia, fermando quella che in questo caso potremmo davvero definire una “strage silenziosa”, perché colpiva le popolazioni più povere e remote dell’Africa. 

“Da ultimo mi preme sottolineare – continua Grignaschi – che la scienza è altamente democratica e chi dice di disporre di nuovi metodi deve solo dimostrare che funzionano: con i fatti però, non con le chiacchiere. I ricercatori di tutto il mondo si impegnano e lavorano ogni giorno anche per trovare metodi alternativi, ma fino a quando non ci riusciremo la scelta sarà tra sperimentare su cavie umane o animali”.

RAI: AL VIA LA TASK FORCE CONTRO LE FAKE NEWS

Il Patto Trasversale per la Scienza si complimenta con l’Amministratore Delegato della Rai Salini per la decisione di istituire una task force aziendale contro le fake news sotto la guida del Direttore Antonio Di Bella coadiuvato dal responsabile per l’informazione Scientifica di Rainews24 Gerardo D’Amico.
È una decisione importante e storica per il Servizio Pubblico, che ha scelto due professionisti di altissimo valore che hanno già dimostrato in passato di aver impostato la propria esperienza di comunicatori esclusivamente sulle evidenze scientifiche, di aver dato voce solo a ricercatori di chiara fama e prestigio, di aver denunciato le falsità dei novax e delle cosiddette medicine alternative.
Auspichiamo che questa lodevole decisione non si fermi alla attuale emergenza sanitaria, in cui è quanto mai indispensabile fornire agli italiani informazioni chiare, affidabili, scientifiche: il Servizio Pubblico dovrà impostare la sua mission a questi canoni sempre, in tutte le sue espressioni, dai telegiornali ai programmi di intrattenimento quando si occupano di informazione che riguarda la salute, la scienza, il benessere.

Un particolare in bocca al lupo al nostro Socio Fondatore Gerardo D’Amico, punto di riferimento per la Comunità scientifica per il suo instancabile lavoro al servizio della comunicazione scientifica.

Gerardo D’Amico, Roberto Burioni, Pier Luigi Lopalco, Andrea Cossarizza e Guido Silvestri del Patto per la Scienza

Se #iorestoacasa serve a qualcosa?

La risposta è SI.

Cerchiamo di spiegarvi il perché mostrandovi la storia di 2 città lombarde: Lodi e Bergamo.

Lodi, al primo emergere del focolaio, è stata subito messa sotto osservazione, isolati i comuni più colpiti e limitate anche le attività all’interno della provincia (24 febbraio). Da allora si osserva che i casi crescono in modo lineare.

Bergamo è invece stata “lasciata libera” fino al 9 marzo, quando è entrato in vigore il DPCM dell’8 marzo che ha trasformato l’intera Lombardia in zona rossa. In questa città si è assistito ad un aumento esponenziale dei casi, andamento che ha cominciato a modificarsi SOLO dopo 1 settimana dall’entrata in vigore delle norme restrittive.

Quindi? Quindi #restateacasa.
Perché? Perché funziona ed è la cosa migliore che possiate fare: per voi stessi, per i vostri cari, per il sistema sanitario, per la ricerca. Chiaro?

Alcune note

– Nel nostro primo post dedicato al coronavirus
https://www.facebook.com/biotecnologi.italiani/posts/2937477142940602
avevamo già cercato di spiegare quanto ci dice oggi questo grafico, prima che fosse troppo tardi. Andatevelo a rileggere 😉

– Qui trovate tutti i riferimenti normativi citati: http://www.governo.it/it/approfondimento/coronavirus/13968

– La lotta contro il SARS-CoV-2 prosegue ed è ben lungi dall’essere vinta, la vinceremo sulla distanza. Se ne stanno rendendo conto anche gli altri paesi europei che, seppur in ordine sparso, stanno giungendo alle medesime conclusioni, ed azioni, cui è giunto il nostro Paese. L’unione fa (e dà) la forza. Aiutateci a sensibilizzare anche le vostre reti di contatti all’estero.

Abbiamo preparato un’infografica in diverse lingue: usatela! La trovate qui: http://www.biotecnologi.org/blog/ se non la trovate nella lingua che vi serve, facciamola assieme, è importante!

– Nonostante il gran rumore di fondo, la terapia ancora non c’è (l’ultimo dei rumors in ordine di tempo è un messaggio whatsapp attribuito al Prof. Pascale del Galeazzi che ha già smentito con decisione https://www.facebook.com/istituto.ortopedico.galeazzi/)
L’invito è, come già detto, di non alimentare la diffusione non solo del virus, ma anche di notizie non verificate che possono creare false aspettative o allarmismo ingiustificato. La ricerca e la sperimentazione stanno procedendo a pieno regime non solo in Italia, in tutto il mondo, ma hanno bisogno di tempo. Più tempo riusciamo a guadagnare e più vite salviamo.
Come? #restaacasa. Semplice no?

grazie ad ANBI Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani e Maddalena Adorno per lo spunto del post.