COVID-19: RITORNO ALLA NORMALITA’

di Guido Silvestri

PREMESSA

Questo lungo post sul “ritorno alla normalità”, a cui aderiscono diversi amici e colleghi, è il messaggio di COMMIATO per le nostre PILLOLE DI OTTIMISMO. Una rubrica che ha avuto molto successo, e che è giusto finisca insieme a questa prima fase di COVID-19. Tuttavia, viste le moltissime richieste di “continuare”, sto pensando a come non perdere il contatto che si è sviluppato con tante persone che hanno dato fiducia all’OTTIMISMO che viene dalla CONOSCENZA. Per questo aspetto le vostre idee e suggerimenti alla mia email di lavoro (gsilves@emory.edu).

INTRODUZIONE

Questo pezzo finale, di cui ho soppesato a lungo le parole, una per una, penso si rivelerà un “sasso nello stagno”, per il quale temo che non mi verranno risparmiati gli attacchi, presumo anche personali. Sono riflessioni mature che si basano non solo sulla mia analisi “competente” della pandemia (perché nessuno può accusarmi di non capire niente di virus 🙂 ), ma anche sulla mia esperienza personale — di medico, di scienziato, e di padre. E sono giunto alla conclusione, ponderata, che ho l’obbligo morale di condividere queste riflessioni con chi mi segue.Un’altra doverosa premessa è che questo post rappresenta delle mie opinioni e non dei fatti – opinioni, quindi, sulle quali si può e si deve discutere. Però ci tengo a sottolineare che non sono opinioni “qualunque”, ma vengono da un osservatorio privilegiato: come virologo (che è la disciplina per cui sono noto), ma anche come medico che ha guidato un dipartimento di un grande policlinico universitario durante la tempesta di COVID-19, e come uno studioso attento dei dati epidemiologici e che ha avuto accesso diretto a molti “big” mondiali del settore.

1. L’ALLEGORIA DELLA BARCA TRA DUE SCOGLI. L’Italia oggi è come una barca che naviga tra due scogli – da un lato il virus e la malattia da esso causata, dall’altra le conseguenze del lockdown, che non solo si fanno sentire a livello economico, ma hanno gravi implicazioni a livello sociale, psicologico ed anche sanitario. La “riapertura” (o meglio, l’allentamento progressivo del lockdown) rappresenta una sterzata necessaria per evitare lo scoglio della crisi economica – ma non si può ignorare che questa sterzata fatalmente ci avvicini allo scoglio del virus. Come ho detto molte volte, ritengo che in questa fase dobbiamo usare quattro principi chiave: MONITORAGGIO (ci dice la distanza dallo scoglio “virale”), FLESSIBILITA’ (per cambiare rapidamente direzione, se necessario), COORDINAZIONE (per manovrare in sinergia tra regioni e tra nazioni), e PREPARAZIONE (a livello sanitario e sociale). Notate che non nomino cose del tipo “uso universale delle mascherine”, “distanziamento sociale”, e tantomeno invoco la distruzione permanente del nostro stile di vita (il cosiddetto “nuovo normale”, definizione che sinceramente mi fa orrore). Infatti in questo articolo sosterrò la tesi secondo cui, in questa fase della pandemia, è assolutamente necessario dare una brusca sterzata lontano dallo scoglio dei disastri economici, sociali, psicologici e sanitari causati dal lockdown, anche a costo di avvicinarsi allo “scoglio virus”. Ma state con me, leggete questo post fino in fondo, e adesso partiamo dal principio, cioè dall’arrivo di COVID-19 e dalla scelta del “lockdown”.

2. ANALISI DI UNA CHIUSURA L’arrivo di COVID-19 è stato uno shock a livello non solo sanitario ma anche sociale e culturale. Ci sono poche cose nel mondo che terrorizzano più di un virus nuovo che si trasmette facilmente da una persona all’altra, che causa una malattia sconosciuta, spesso mortale, per la quale non c’è né una cura né un vaccino. L’arrivo del ciclone di COVID-19 ha creato paura e sgomento non solo tra la popolazione ma anche tra gli esperti (medici, infermieri, epidemiologi, biologi, etc). La crescita esponenziale del numero dei nuovi contagi, dei ricoveri ospedalieri ed in terapia intensiva, e poi del numero dei morti, che avveniva in un contesto di sostanziale impotenza e impreparazione dei sanitari, ha creato un devastante fattore di amplificazione del danno: il sovraccarico ospedaliero. Ricordo che proprio il sovraccarico ospedaliero – sperimentato in forme simili a Wuhan a gennaio, in Nord Italia a marzo, e poi a New York tra fine marzo e inizio aprile – è stato aggravato dalla frequente infezione degli operatori sanitari, ed ha causato livelli ancora non ben chiari di mortalità secondaria, cioè non dovuta direttamente da COVID-19 (esempio classico: il paziente con infarto che non riceve adeguato trattamento nell’ospedale intasato).In quel contesto così drammatico ed in situazioni come quella italiana, il “lockdown” era l’unica cosa che si potesse e si dovesse fare. Ma due mesi dopo, con una messe di nuovi dati a disposizione – a livello virologico, immunologico, medico ed epidemiologico – abbiamo il dovere di chiederci se la situazione attuale richieda ancora un tipo di intervento così potenzialmente distruttivo della nostra società. Soprattutto, dobbiamo chiederci se le nostre scelte attuali in termini di “lockdown” siano condizionate più del necessario dalla traumatica esperienza del marzo scorso. Perché adesso (fine maggio 2020) sappiamo molto, anzi moltissimo di più. Per esempio: sappiamo molto meglio come gestire questi malati; conosciamo tanti aspetti della trasmissione e della storia naturale dell’infezione; abbiamo terapie antivirali ed anti-infiammatorie di una certa efficacia, per non parlare del plasma convalescente e del plasma exchange; stiamo sviluppando vaccini molto promettenti; e molti ipotizzano anche che l’infezione si stia attenuando dal punto di vista della patogenicità. Più di ogni altra cosa, si deve sottolineare come, nel caso di una eventuale seconda ondata di COVID-19, non ci troveremmo più in una situazione di simile ignoranza ed impotenza di fronte al virus ed alla malattia, ed infatti saremmo molto più preparati a gestire la situazione, in un modo tale che un ritorno del virus sarebbe associato con tutta probabilità a livelli minori di morbidità e mortalità. Questo senza nemmeno contare il fatto che la prima “ondata” di COVID-19 ha contribuito a creare un certo livello di immunità tra la popolazione. Di fronte a questo cambiamento di scenario ci si deve chiedere: fino a che punto gli interventi draconiani delle scorse settimane sarebbero necessari di fronte ad un nuovo incremento dei casi?Ed è anche doveroso chiedersi: quanto ha veramente “funzionato” la chiusura? La risposta a questa domanda, che ci piaccia o no, è che non lo sappiamo. Noi non sappiamo cosa sarebbe successo se avessimo fatto un “lockdown” meno serrato – come in Svezia, oppure in Florida, oppure ancora nella mia Georgia, dove vivo e lavoro, e dove abbiamo avuto, con un “lockdown” all’acqua di rose, meno di un decimo della mortalità pro-capite lombarda. Come non sapremo cosa sarebbe successo se avessimo allentato il lockdown prima del 4 maggio, o se lo avessimo allentato del tutto. Infatti, si tratta del classico esperimento senza controllo, e quindi si possono solo fare modelli e previsioni, che alla fine lasciano il tempo che trovano. Quello che però mi stupisce osservare, in questo frangente, è come a fronte di tanti modelli sui danni del virus (ed in particolare i tanto celebrati modelli del “worst case scenario” di cui certi epidemiologi sono ligi e zelanti sostenitori) si vedono circolare ben pochi modelli sui danni potenziali del lockdown. Soprattutto, sembra che i “worst case scenario” spariscano dal discorso quanto si parla sugli effetti negativi che il prolungato lockdown (e con esso il prolungato snaturamento della nostra vita sociale ed affettiva) avranno sulla nostra salute psicologica, e su quella dei nostri figli e nipoti. Qual è il “worst case scenario” in termini di suicidi di persone che hanno perso il lavoro e con questo ogni speranza di mantenere la famiglia? E di violenze domestiche causate dal prolungato isolamento? E di depressione o altre malattie psichiatriche causate dai fallimenti e dalle bancarotte? E di disturbi cognitivi e della sfera affettiva e relazionale nei bambini e ragazzi a cui viene sottratta la scuola per mesi e mesi? In realtà questi studi esistono, ed i risultati sono molto preoccupanti… ma sono quasi sempre ignorati dai media e dai decisori politici.A mio avviso questo è un esempio di distorsione cognitiva legata alla presenza di una “narrazione dominante” su COVID-19 centrata sui danni del virus (e non su quelli del lockdown). Ma facciamo un passo alla volta.

3. LO SCOGLIO DEL VIRUS Come abbiamo scritto sopra, l’arrivo di COVID-19 ha causato un grande shock dal punto di vista sanitario, e non c’ è dubbio che l’infezione abbia già causato a livello globale oltre 318,000 morti nei primi 4.5 mesi del 2020. Se questa cifra è indubbiamente alta, è comunque importante metterla nella prospettiva del fatto che, nello stesso periodo, AIDS, tubercolosi e malaria hanno creato molti più morti (e moltissimi più anni di vita persi). E’ anche importante notare come la distribuzione dei morti da COVID-19 sia stata estremamente irregolare con poche zone ad alta mortalità (Wuhan; Lombardia, nord Emilia-Romagna e Piemonte orientale; metro New York, Detroit e Boston ; Madrid e Barcelone; Ile de France; Guayaquil) e moltissime zone a bassa mortalità, anche negli stessi paesi (Italia meridionale; Florida e sud degli USA; Andalusia; sud-ovest Francia; Quito). I motivi alla base di queste differenze non sono affatto chiari, e collegarli unicamente all’effetto della chiusura è assolutamente arbitrario. Per quale motivo, per esempio, a oltre due mesi dalla “chiusura” ci sono ancora molti più nuovi casi in Lombardia che nell’intera Italia Meridionale? Perché la Svezia, spesso additata come pietra dello scandalo, ha tuttora una mortalità per 100.000 abitanti inferiore a quella del tanto elogiato Veneto (36.15 vs 37.14)? Perché uno stato come la Florida, che praticamente non ha mai “chiuso”, sta andando verso la fine della pandemia con una mortalità per 100.000 abitanti che è poco più di un decimo di New York, dove si è praticato un lockdown rigidissimo?Al di là di queste inconsistenze, è importante ricordare come l’evidenza attualmente disponibile indichi che: (i) tra l’80% e il 90% dei contagi accertati avviene tra degenti molto anziani nelle case di riposo e negli ospedali, medici e infermieri e i loro familiari – analogamente, la mortalità da COVID-19 ha coinvolto in gran parte persone molto anziane con età media 79 anni (mediana 80), già ricoverate in strutture sanitarie od ospedaliere e che per l’80% avevano tre o più patologie gravi preesistenti [1-2]; (ii) le infezioni in forma severa sembrano collegate a valori elevati di inoculo virale in ambienti chiusi, dove sono presenti persone malate e dove il contatto con i sani non è episodico, ma ripetuto più volte per una durata di almeno 14 minuti [3]. Come segnalato al punto #2 qui sopra, la mortalità da COVID-19 in questa prima ondata ha risentito in modo drammatico della nostra “ignoranza” della malattia e del fenomeno del sovraccarico ospedaliero. A questo punto le vere domande da farsi sono: qual è stata finora la letalità effettiva di COVID-19 e quale sarebbe se dovessimo vivere una seconda ondata stagionale nell’inverno 2020-2021? In realtà la risposta all prima domanda non la sappiamo, perché tuttora non conosciamo il numero esatto di persone infettate da SARS-CoV-2. Molte stime della letalità sono tra 1% e 3%, ma rimangono stime. Quello che invece è lecito presumere è che la letalità di una eventuale “seconda ondata” di COVID-19 sarà sostanzialmente più bassa in seguito a: (i) maggiore capacità di tracciare ed isolare i contatti; (ii) aumentate possibilità di trattare i malati in modo più precoce ed efficace; (iii) migliore preparazione a livello ospedaliero (e conseguente assenza di “sovraccarico”); (iv) presenza di un certo livello di immunità nella popolazione. Di quanto sarà più bassa? Difficile dire, ma se verrà confermato che il solo uso del Remdesivir reduce la mortalità di circa il 30% [4], non è difficile immaginare un taglio secco della mortalità del 60-70% anche senza tener conto dell’introduzione di nuove terapie, tra cui quella molto promettente del “plasma convalescente”. Continuando in questo calcolo da “back of the envelope” (che in realtà non è molto diverso da quelli che fanno gli epidemiologi), si potrebbe supporre che se anche riaprissimo tutto come nel febbraio 2020 e decidessimo di richiudere solo nel bel mezzo del ritorno della pandemia (di nuovo, come è stato fatto nel marzo scorso), il numero dei morti di questa “seconda ondata” sarebbe intorno a 10.000-15.000. Un numero alto, certamente, ma non altissimo, calcolando che in Italia muoiono circa 700.000 persone all’anno – e questo per me è un “worst case scenario”, perché ho molta fiducia nella nostra possibilità di sviluppare nuove e più efficaci terapie.

4. LO SCOGLIO DELLA CHIUSURA Come detto sopra, mentre dei rischi di SARS-CoV-2 e COVID-19 si parla in modo incessante e con una straordinaria attenzione agli scenari peggiori, si parla piuttosto poco dei danni della chiusura. A me qui preme sottolineare non soltanto i danni economici, che pure sono ingentissimi, ma quelli a livello strettamente socio-sanitario. Perché solo un atteggiamento miope ed irresponsabile può ignorare il fatto che un paese che si impoverisce, possibilmente fino ad arrivare sull’orlo della bancarotta, avrebbe enormi difficoltà a provvedere un servizio sanitario di qualità. Ed infatti già adesso tra i danni “collaterali” di COVID-19 c’è la peggior gestione sanitaria di molte altre malattie [5]. Ancora più sottili, ma possibilmente più devastanti, sono i danni legati alle difficoltà psicologiche causate dall’isolamento di per sé, dalla crisi finanziaria, e dal peggioramento del servizio sanitario. Tra queste mi preoccupano particolarmente quelle causate a bambini e adolescenti, la cui vita sociale è stata completamente sconvolta esponendo la fragilità emotiva e cognitiva tipica dell’età dello sviluppo [6]. Per non parlare dei limiti dell’educazione scolastica a distanza per i bambini delle famiglie senza computer o senza internet, che non può non introdurre un ulteriore, devastante elemento di discriminazione verso i meno abbienti. Detto tutto questo, il danno più pervasivo e devastante non solo di una prolungata chiusura ma anche di una riapertura perennemente a metà, in un mondo fatto di mascherine, guanti, muri di plexiglas, distanziamento sociale esasperato, senza più potersi stringere la mano o abbracciarsi, senza capire se una persona sta sorridendo o è imbronciata, senza poter condividere un piatto di pasta o una partita di calcio o una sala da ballo, mentre ai bambini viene negato perfino il piacere di giocare insieme, è quello di snaturare in un modo profondamente assurdo e spaventoso la nostra vera essenza di animali sociali. Come ha scritto un lettore di questa pagina tempo fa, facendomi alquanto riflettere, sarebbe questa la vera vittoria di un virus che altrimenti è destinato a perdere la guerra contro la scienza. In questo la metafora di John Iohannidis sarebbe assolutamente appropriata: faremmo come un elefante che infastidito da una mosca scappa via e cade in un precipizio [7].

5. L’ALLEGORIA DEI DUE SCOGLI – DOVE SIAMO ADESSO? Tornando alla nostra allegoria dei due scogli, la domanda che, a mio avviso, bisogna porsi è la seguente: a che distanza siamo dai due scogli, quello del virus e quello della catastrofe sociale? Come probabilmente avrete intuito leggendo i punti precedenti, la mia opinione (informata, anzi, informatissima) è che siamo ormai abbastanza lontani dalla scoglio del virus, mentre ci siamo pericolosamente avvicinati a quello della catastrofe sociale. Per come la vedo io, sul versante del virus ci siamo incartati in una narrativa di “worst-case scenarios” epidemiologici spesso con seri problemi metodologici se non addirittura basati su calcoli sbagliati [8, 9]. Una narrativa che ci porta alla ricerca disperata del tanto agognato quanto inarrivabile “rischio zero” nei confronti del virus mentre ignoriamo rischi molto più gravi ed immediati nel versante della chiusura. Strumentale a questa narrativa è il cosiddetto catastrofismo mediatico (“dacci oggi il NOSTRO PANICO QUOTIDIANO”, ricordate?), quasi sempre basato su notizie esagerate e/o male interpretate, se non palesemente false. In base a queste notizie il virus è assunto ad uno status di male quasi metafisico, diabolico, in cui si paventa ogni possibilità terribile, tipo quello che non esiste immunità, che i giovani in realtà muoiono a frotte, che il virus si trasmetta anche nell’aria, all’aperto, ovunque, e che non avremo mai un vaccino perché il virus muta sempre, e naturalmente diventa sempre più cattivo. Allo stesso modo vengono ignorate o combattute ovvietà virologiche come la stagionalità dei Coronavirus, la loro suscettibiltà alle alte temperature ambientale, la sostanziale stabilità genetica di SARS-CoV-2 e l’evidenza di robusta immunità protettiva (ora dimostrata in modo formale nelle scimmie). Si arriva fino al punto di tacciare di “pseudo-scienza” chi osa sostenere una possibile attenuazione del virus, come appare ormai piuttosto evidente dal punto di vista clinico, solo perché non ci sarebbe abbastanza “evidenza scientifica”. Salvo poi che questo ardente desiderio di evidenza scientifica evapora istantaneamente quando si tratta di dipingere scenari terrificanti per l’Africa, il Sud-Est Asiatico, o l’America Latina – tutti scenari che tranne poche e limitate eccezioni non si sono mai verificati. Ed infatti al di sotto del 35esimo parallelo Nord, dove vive oltre il 65% della popolazione mondiale, si sono registrati meno del 15% dei morti da COVID-19. Per non parlare dei paragoni fatti sempre in modo tale da assecondare la narrativa catastrofista – pensiamo d nuovo alla Svezia (10.5 milioni di abitanti, minimo “lockdown”, e 3.679 morti di COVID), che si paragona sempre in negativo a Finlandia e Norvegia, dimenticando che la mortalità pro-capite degli svedesi senza lockdown rimane molto più bassa di quella italiana nonostante i nostri due mesi e passa di chiusura rigidissima [10]. [Nota a margine. A questo catastrofismo a mio avviso fallace ma almeno scientificamente “presentabile” fa da pendant – come classico straw-man – la narrazione cialtrona-negazionista dei vari nanopataccari e del loro entourage demenzial-complottista per cui il virus non esiste ma è stato creato in laboratorio e si cura con l’oscillococcinum. Infatti a sostenere l’importanza di allontanarsi dallo “scoglio chiusura” bisogna non solo essere pronti ad una legittima discussione con quelli per cui siamo sempre e comunque troppo vicini allo “scoglio virus”, ma anche guardarsi alle spalle dal rischio di essere assimilati a certa spazzatura.] Ma perché siamo arrivati a questo punto? Perché ha vinto così clamorosamente la paura dello “scoglio virus” su quella dello “scoglio chiusura”? A mio avviso ci sono tre spiegazioni, o meglio, tre colpevoli. Il primo colpevole è la “politicizzazione” della questione COVID-19, che è stata usata in modo grottescamente strumentale per sostenere un gruppo di potere contro un altro. Credo che su questo punto non ci sia bisogno di elaborare molti pensieri – basti il fatto che, un po’ ovunque, chi sta al governo è costantemente sotto attacco per come sta gestendo la pandemia — e siccome la cosa su cui è più facile attaccare è il numero dei morti per COVID-19 (perché i numeri di cui al punto #4 sono più lenti e difficili da calcolare), si è scatenata, con rare eccezioni, la corsa a chi chiude di più e per più tempo. Il secondo colpevole è l’atteggiamento dei media che – pur con lodevoli eccezioni, come il mio amato Alberto Matano di RAI-UNO – hanno scelto l’atteggiamento “catastrofista” per il motivo più vecchio del mondo. Quello per cui si fanno più lettori ( e più soldi) raccontando di un uomo che ammazza il figlio piuttosto che di mille padri che i loro figli li educano con amore. O, se preferite, per dirla con le parole di un’amica giornalista, la paura vende molto più della tranquillità. Il terzo colpevole – e qui arriveranno “slings and arrows”, non dubitate – è un certo “fenotipo” di epidemiologo/a modellista che è stato portato alla ribalta da questa pandemia e che, non so se per deformazione professionale o per desiderio di visibilità o cos’altro, ha deciso di rappresentare il corso futuro di questa epidemia in un modo profondamente pessimistico (i famosi “worst case scenarios” di cui ho già parlato sopra, e che in passato sono stati quasi sempre smentiti dai fatti, come i famosi 50.000 morti di “mucca pazza” previsti da Neil Ferguson, che invece nella vita reale furono 177 [11]). In realtà quello che mi sorprende negativamente da questo tipo di approccio epidemiologico è il fatto che si ignorino completamente (o quasi) le caratteristiche virologiche di SARS-CoV-2, i progressi nella terapia di COVID-19, la più efficiente prevenzione dei contagi, l’impatto della migliorata preparazione ospedaliera, e via discorrendo. Per non parlare di commenti sulla impossibilità di avere un vaccino per COVID-19 basati su maldestri paragoni con HIV ed influenza –che equivale a sostenere che un bisonte può arrampicarsi sugli alberi perché in fondo è un mammifero tanto quanto uno scoiattolo. Roba da far rizzare i capelli a chiunque capisca un briciolo di virologia molecolare – ma se un ragionamento del genere viene dal CIDRP o dal Imperial College tutti giù a genuflettersi. Aggiungo solo un ultimo commento sulla narrazione catastrofista di certi scienziati. Quando si vedrà, penso piuttosto presto, che il gioco non vale la candela, allora qualche politico italiano si alzerà e dirà: “E’ tutta colpa degli scienziati, noi abbiamo solo seguito i loro consigli”. Beh, io voglio avere la coscienza a posto di averlo detto forte e chiaro, da scienziato e da medico, che su questo approccio pessimista ad oltranza, del “worst case scenario” che non tiene conto di troppe variabili, non sono affatto d’accordo.Ma la parte a mio avviso più illogica ed intellettualmente insostenibile in questa narrativa catastrofista è l’inseguimento del cosiddetto “rischio zero”, che è una chimera alla quale – in ogni altro aspetto della nostra vita – rinunciamo senza alcun dubbio ed ancor meno problemi. Un esempio? Il fatto che, come società, accettiamo tranquillamente che ogni anno in Italia muoiano ~3.500 persone di incidenti stradali ed infatti nessuno per questo si sogna di richiedere lo stop immediato di tutte le automobili. Mettiamo semafori, cinture di sicurezza, patenti… ma accettiamo un certo rischio e andiamo avanti. Un ragionamento simile si potrebbe fare per i morti da incidenti domestici e sul lavoro. Invece nel caso di COVID-19 la narrazione catastrofista ha creato la falsa convinzione che niente sia accettabile all’infuori di questo mitico “rischio zero”. Su questo lascio la parola al mio caro amico Luciano Butti, che è una delle persone più intellettualmente lucide che io abbia mai conosciuto, il quale affronta lo spinoso concetto del “rischio zero” per le scuole: “Occorre poi la consapevolezza che il rischio zero non esiste. Non esiste per medici, infermieri, autisti dei bus, cassieri, addetti alla raccolta rifiuti, molti liberi professionisti, dipendenti pubblici e privati a contatto con il pubblico, lavoratori di aziende strategiche che non hanno mai chiuso (persone non tutte giovani). Bene, anche la scuola è un’azienda strategica e il rischio zero non esiste nemmeno per insegnanti, personale, bambini e genitori. Questo rischio tuttavia per i bambini è assolutamente trascurabile, mentre per tutti può essere molto ridotto investendo sulla scuola in questi mesi. Abbiamo bisogno, anche per sostenere l’economia, di una scuola e di una sanità migliori e che non si fermino. Non di una società iperassistita, paurosa e sempre servilmente in attesa di favori da parte del potere.”

6. COSA POSSIAMO FARE PER EVITARE LO “SCOGLIO VIRUS” SENZA DISTRUGGERE IL NOSTRO MODO DI VIVERE? Questa è, alla fine di questo lungo e spero non troppo noioso monologo, la domanda da cento milioni di euro. Allora, tornando ancora alla nostra allegoria della barca, provo a suggerire una modesta proposta, sotto forma di ricetta in tre punti molto semplici, da attuarsi mentre scegliamo di tornare a navigare più vicino allo “scoglio virus” – in altre parole, mentre torniamo a fare la nostra vita normale (e quando dico normale, intendo normale per davvero, proprio come nel maggio 2019):

A. NAVIGHIAMO USANDO UN RADAR MOLTO MIGLIORE. Qui si torna, molto semplicemente, al concetto di MONITORAGGIO E SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA, di cui ho parlato molte volte in passato, e che è quello che fanno gli epidemiologi veri, a partire dal grande Pier Luigi Lopalco. Si tratta in altre parole di usare in modo copioso i tests virologici e sierologici per determinare sia il ritorno potenziale del virus che lo stato di immunità nella popolazione. Il tutto attraverso campionamenti capillari e ripetuti nel tempo sulla popolazione, analisi dei dati, e se necessario rapido intervento di identificazione ed isolamento dei contatti (cosa che, come insegna l’ottimo Crisanti, può fare una differenza enorme nel ridurre il numero dei casi e dei morti), fino al possibile instaurare di zone rosse limitate sia nello spazio che nel tempo. E’ chiaro che si tratta di creare una infrastruttura costosa, ma le sofferenze sia economiche che morali che si potrebbero evitare sono enormemente più alte.

B. NAVIGARE AVENDO RAFFORZATO LA NAVE In altre parole, si tratta di fare in modo che ci si faccia molto meno male se si torna a sbattere contro lo “scoglio virus”. Qui si torna, ovviamente, a parlare di PREPARAZIONE, a livello di strutture ospedaliere, di gestione delle RSA, della presenza di personale (medici ed infermieri, in primis) preparato a questo tipo di emergenza infettivologica, con un numero adeguato di dispositivi di protezione individuale, scorte di disinfettanti, ventilatori, letti di terapia intensive, e via discorrendo. Si tratta di creare una struttura strategica di riserva che consenta – se necessario ed in tempi rapidissimi – di attivare fino a 10.000 posti letto di terapia intensiva in isolamento (due volte e mezzo il picco di ricoveri in terapia intensive per COVID-19 nel marzo scorso), con immediata disponibilità di personale, apparecchiature, etc. Si tratta, dal punto di vista dei medicinali, di mettersi in condizione di poter usare rapidamente decine di migliaia di dosi di farmaci come Remdesivir, Tocilizumab, Baricitinib e possibilmente altri ancora, insieme a decine di migliaia di sacche di plasma di pazienti guariti e convalescent (che si possono tranquillamente congelare per uso fino a 36 mesi). Anche qui si tratta di fare un investimento costoso, ma come detto sopra, il gioco varrebbe sicuramente la candela, per COVID-19 ma anche per altre pandemie che potranno arrivare in mondo sempre più globalizzato.

C. AMMORBIDIRE LO SCOGLIO Questo è molto semplicemente il compito della SCIENZA. Sviluppare un vaccino, trovare terapie più efficaci, escogitare mezzi sempre più adatti a tracciare ed isolare le persone infettate (ma solo queste, non un intero paese). E’ questo in fondo il vero messaggio della mia serie di articoli sull’OTTIMISMO BASATO SULLA CONOSCENZA. Il punto centrale di quanto ho cercato di comunicare con i miei post, a volte troppo lunghi, altre volte troppo irruenti, spesso troppo noiosi, ma sempre improntati a questo tema: solo la scienza potrà eliminare per sempre questo brutto scoglio dalla nostra vita, ed è per questo che dobbiamo investire nella scienza e proteggerla dai suoi tanti nemici.

7. CONCLUSIONE Concludo ribadendo che noi tutti, come persone e come società, abbiamo non solo il bisogno ma anche il preciso DOVERE DI TORNARE A FARE UNA VITA ASSOLUTAMENTE NORMALE, mantenendo ovviamente quelle buone abitudini di igiene personale che, grazie al virus, abbiamo finalmente imparato. Lo dobbiamo a noi stessi, ma soprattutto ai nostri figli e nipoti, a cui non possiamo chiedere indefinitamente di fare enormi sacrifici solo per calmare le nostre ansie o per alleviare le paure di leader politici timidi ed incompetenti, consigliati da esperti che non sono in grado di elaborare una strategia generale sul come affrontare la pandemia. Soprattutto, dobbiamo fare questa scelta di CORAGGIOSA, CONSAPEVOLE E “PREPARATA” NORMALITA’ basandoci sulla nostra arma migliore: l’ottimismo sereno e razionale che deriva dalla nostra straordinaria capacità di generare ed applicare conoscenza.

GRAZIE A TUTTI!

PS: chi si ritrova in queste parole faccia circolare questo post e lo firmi con nome, cognome e qualifica come COMMENTO a questo link.

References:[1] Bianco, M.L., Il punto sul Covid-19, per progettare bene il domani. Sbilanciamoci, 19 aprile 2020. [2] ISS. Epidemia Covid-19. Aggiornamento nazionale. 7 maggio 2020.[3] Yonghong Xiao, Mili Estee Torok, Taking the Right Measures to Control Covid-19. The Lancet, Vol 20, Maggio 2020.[4] https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-clinical-trial-shows-remdesivir-accelerates-recovery-advanced-covid-19[5] https://www.medicaleconomics.com/news/covid-19-fallout-how-will-other-needed-care-be-provided-during-pandemic[6] Lee J Mental health effects of school closures during COVID-19. Lancet 2020[7] https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/[8] https://www.scienzainrete.it/articolo/fase-2-e-alcune-questioni-sul-report-governativo/maria-luisa-bianco/2020-05-14?fbclid=IwAR1q8UTmowx1D6Wl6rCWoqo8oN8krlnNpcv4O8g8vXI6fJRJ038nlKr6rQY[9] https://www.linkiesta.it/2020/04/documento-comitato-tecnico-scientifico-errore-calcolo/[10] https://www.ft.com/content/a2b4c18c-a5e8-4edc-8047-ade4a82a548d [11] http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=85096&fr=n

Mega pillola del lunedì

di Guido Silvestri

bollettino del 11 maggio 2020

1. LA RITIRATA CONTINUA

Oggi la ritirata è un po’ più lenta del solito, ma continua. Siamo dunque al VENTOTTESIMO giorno consecutivo in cui cala il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 in Italia – da 1034 a 1027, quindi di “sole” 7 unità, ma intanto cala e vediamo come andrà domani. Ed è importante che scenda anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 13.834 a 13,618, quindi di 216 unità). Mentre il numero dei morti (164) è il più basso da oltre due mesi a questa parte – e questa è certamente una gran bella notizia.

2. PILLOLONA DEL LUNEDI’ – I TEST SIEROLOGI

Visto che ne avevamo parlato in altre occasioni, vi segnalo il paper della Emory University (con otto autori del mio dipartimento) in cui si descrive il “nostro” test sierologico per COVID-19. I punti salienti dello studio sono la fortissima correlazione tra la presenza di anticorpi ed il quadro clinico, e soprattutto il fatto che – quando si usa un buon antigene, che è il punto chiave —  il titolo ELISA corrisponde al titolo neutralizzante. Questa frase la riscrivo più piano nel caso fosse sfuggito il concetto: IL LIVELLO DI ANTICORPI MISURATO NEL SIERO CON IL METODO “ELISA” CORRELA STRETTAMENTE CON LA CAPACITA’ DEL SIERO DI NEUTRALIZZARE IL VIRUS*.

Spero che abbiate capito la portata di questa affermazione, che è davvero notevole. In realtà non c’era nulla che facesse presagire diversamente, in quanto i coronavirus non sono noti per evadere la risposta anticorpale dell’ospite, come invece fanno HIV ed altri virus. Ma un conto è presagire ed un conto è dimostrare. Teniamo anche presente che la neutralizzazione da parte del siero non significa necessariamente protezione dalla reinfezione… ma le due cose sono molto, molto vicine. Un po’ come vedere un signore seduto davanti a una bella carbonara fumante: non possiamo affermare con certezza che tra poco gli spaghetti finiranno nel suo stomaco, ma è certamente molto probabile…

Il paper é stato postato ieri da Jens e Mehul su MedRxiv (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.03.20084442v1.full.pdf+html), ed è anche in revisione per la pubblicazione vera e propria (dita incrociate). Quindi ognuno può leggerlo e discuterne. Due punti importante da ricordare: il primo è che i soggetti studiati avevano malattia conclamata da SARS-CoV-2, ed è possibile che i livelli anticorpale siano più bassi (e meno capaci di neutralizzare) in soggetti che hanno avuto infezione lieve o asintomatica. Il secondo caveat è che ovviamente non sappiamo ancora per quanto tempo questi anticorpi rimarranno in circolazione – vi supplico, non chiedetemi perché non lo sappiamo. Nonostante queste limitazioni, il test a mio avviso è un vero game changer, ora in molti lo stanno utilizzando negli USA e nel mondo, staremo a vedere.

*L’amico Alberto Mantovani mi dice che un gruppo italiano ha dati non pubblicati che mettono in evidenza esattamente la stessa correlazione tra anticorpi “leganti” e “neutralizzazione” di SARS-CoV-2 – bene così, anzi, benissimo, perché niente fa più piacere nella ricerca scientifica delle conferme indipendenti dei propri risultati!

3. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO: NON AVREMO MAI IL VACCINO

Il premio di oggi va a Il Giornale (quello fondato da Montanelli, ma che di Montanelli oggi non ha ahimé più nulla), che dà grande risalto alle dichiarazioni di un certo “professor” Bacco [“Il Covid è come l’Hiv: non avremo mai il vaccino”]. Continuando a leggere scopro che “…Pasquale Mario Bacco, con un team di medici, a febbraio aveva scoperto che il virus circolava già da ottobre scorso”. Beh, questa sarebbe una notizia davvero interessante, ed allora ho pensato che fosse importante “approfondire”. Così ho scoperto che questa ricerca rivoluzionaria è stata condotta da un “collega” la cui affiliazione accademica è introvabile e le cui pubblicazioni su PubMed sono uguali a ZERO. In compenso questi studi, di cui nelle riviste scientifiche non c’è traccia, sono ripresi da una sfilza di siti-web dedicati a no-vaxx, scie chimiche e rettiliani che piuttosto passo la serata con un mustelide dall’alito pesante.

Ma la cosa più carina di questo scoop epocale è che, strada facendo, passa dal panico intrippante al nano-negazionismo coatto. Un po’ come se Nosferatu, nel bel mezzo di una scena sanguinosissima, si mettesse a fare il ballo del Qua Qua. Cito dall’articolo: “Questo virus non è capace di uccidere. È un virus banale, semplice. Un soggetto siero-positivo non si ammala di Covid, perchè ha l’HIV che è un virus molto più grande che utilizza gli stessi recettori del Coronavirus, quindi anche nella competizione il Covid non riesce ad andare sugli stessi recettori. Ovunque ci sia una risposta immunitaria adeguata viene annientato”. Insomma, il virus per cui non ci sarà mai un vaccino viene annientato dal sistema immune. Logica ferrea. Immagino che Gerolamo, vescovo di Caffa, l’avrebbe definito un argomento “che taglia come una spada”. Vabbé dai, abbiamo perso abbastanza tempo con questa amena “notizia”.

[NB: Il genoma di HIV è meno di un terzo di quello di SARS-CoV-2 e naturalmente i recettori che usa (CD4, CCR5 e CXCR4) non hanno nulla a che fare col recettore di SARS-CoV-2 (ACE2).]  

4. TERAPIA CON PLASMA NELLE MARCHE

Diversi amici mi hanno segnalato come il comitato etico che deve approvare gli studi clinici nella Regione Marche avrebbe “negato” l’autorizzazione al protocollo di uso del plasma convalescente per i malati di COVID-19. La notizia, riportata da diversi giornali, ha suscitato un certo comprensibile allarme. Brevemente ho investigato con l’aiuto di alcuni colleghi ed ho scoperto, come peraltro immaginavo, che NON si tratta di rifiuto, ma di richiesta di ulteriori chiarimenti, il che rappresenta prassi normale per un comitato etico. Per coloro che conoscono le procedure dell’editoria scientifica, non è una “rejection”, ma un “revise and resubmit”. Detto questo, auspico che i colleghi del comitato etico (in cui siedono alcuni vecchi amici) possano RAPIDAMENTE approvare il protocollo non appena ricevuti i necessari chiarimenti, specialmente considerando che simili studi sono stati approvati e vengono condotti in numerosi centri un po’ in tutto il mondo.

5. INFEZIONI NELLA CARNE

In diversi, tra cui gli amici Pier Luigi Lopalco ed Elena Fattori, si stanno interessando al caso curioso dei focolai di infezione da COVID-19 nei lavoratori dei macelli. La faccenda è interessante dal punto di vista virologico ed epidemiologico in quanto – eccezion fatta per i luoghi di cura – i contatti in ambiente lavorativo non sono stati di solito associati con la trasmissione del virus. Tra le ipotesi per spiegare il fenomeno si citano la vicinanza fisica tra gli operatori, le basse temperature (la cosiddetta “catena del freddo”) ed anche il fatto, finora considerato alla stregua di una curiosità, che i bovini potrebbero essere suscettibili ad infettarsi con il virus di COVID-19. A tale proposito ricordo che altre malattie da Coronavirus sono di interesse veterinario, come le classiche gastroenteriti acute dei maiali causate da TGEV, PEDV, e PDCoV, e la enterite e polmonite causata da bovine coronavirus, BCV, che però si lega al recettore per la N-Acetylneuraminic acid (per gli amici: NANA). Speriamo che nei prossimi giorni o settimane si possano chiarire le cause di questo strano ed interessante fenomeno.

6. VERSO LA FINE…

Con la fine almeno della prima fase di questa pandemia si avvicina anche la fine del “barattolo” di queste pillole mattutine di ottimismo, che ho cercato di dispensare all’insegna della fiducia nella scienza. Giovedì pomeriggio sarò di nuovo da Alberto Matano, il mio conduttore televisivo preferito, per la Vita in Diretta, ore 18 su RAI UNO, e spero davvero che sia l’ultima di queste “apparizioni”, anche perché ciò significherebbe che la mia presenza non è più necessaria (e questo sarebbe un segno buono per tutti). E non nego che non vedo l’ora di tornare nell’aureo grigiore del mio laboratorio e dei nostri esperimenti, che stanno dando risultati molto affascinanti. Ma prima di chiudere la rubrica parleremo ancora di vaccini per COVID-19, di ipotesi sul perché SARS-CoV-2 ha ucciso così tante persone, su quello che penso dobbiamo imparare da questa “bastonata”, e – dulcis in fundo — vi dirò come la penso sul tanto agognato “ritorno alla normalità”

Con questo auguro a tutti una BUONA SETTIMANA, sempre all’insegna dell’ottimismo, del buonumore e della razionalità.

Intervista al nostro socio Andrea Grignolio

di Carlo Patrignani

La situazione è migliorata ma, anche se il caldo può darci una mano, come per la Sars del 2001-02 che sparì, attenuando la carica infettiva e patogenicità di Sars-Cov-2, virus simili ma diversi, entrambi della famiglia dei Coronavirus, la guardia non va abbassata: le misure in vigore per la fase due per la ripresa, parziale, dell’attività produttiva vanno nella giusta direzione del contenimento dei contagi con il potenziamento della medicina del territorio, fermo restando il distanziamento individuale, l’igiene personale e le mascherine, ma pure tamponi e test anticorpali che serviranno a isolare gli asintomatici, vettori inconsapevoli della malattia. E’ l’opinione del docente di Storia della Medicina all’Università Vita-Salute del San Raffaele e ricercatore del Itb-Cnr, Andrea Grignolio, per il quale “le nuove restrizioni, pur se poco piacevoli come per le relazioni amicali, hanno una finalità sensata a livello comunicativo: non ingenerare il ‘liberi tutti’ molto rischioso perché il coronavirus non fa differenza tra affetti stabili e non: ridurre i contatti ai soli parenti e relazioni strette è una indicazione epidemiologica generale, se presa alla lettera diventa poco comprensibile. L’importante è prepararsi bene al prossimo autunno-inverno con tutti gli strumenti necessari per arrivare in tempo e intervenire subito sui possibili focolai che possono riaccendersi”.

Quanti e quali sono gli strumenti necessari?
Primo, “il potenziamento della medicina del territorio che è non solo preziosa sentinella e di intervento immediato, ma ha funzioni di prevenzione: lo sa bene l’epidemiologia, come del resto la storia della medicina, poiché le epidemie e pandemie si affrontano soprattutto sul territorio e meno negli ospedali. Il concetto di contagio, di malattia infettiva, sconsiglia centri di aggregazione, tranne in casi di strutture specializzate, perché possono facilmente diventare di diffusione”.
Secondo, “il fondamentale tracciamento, il cosiddetto contact tracing – va bene l’app Immuni su base volontaria, con tutela della privacy, scadenza temporale e distruzione finale dei dati – degli asintomatici e dei paucisintomatici con tamponi e test sierologici, così da porli tempestivamente in quarantena e avvisare e controllare le persone che con costoro hanno avuto contatti ravvicinati”.
Terzo strumento le cure: “per i pazienti Covid oggi ci sono tre diverse terapie multifase a seconda del livello della malattia: antivirali per limitare la replicazione del virus nella prima fase, e gli antinfiammatori per la due seconde fasi, quella della iper risposta immune causata dal sistema immunitario e quella per le complicanze causate a polmoni, cuore, reni e cervello”.
Per Sars-Cov-2, insomma, “si potrebbe immaginare anche un modello simile a quello per l’Hiv per il quale non si è arrivati al vaccino: la terapia multifarmaco, come fu la triplice per l’Hiv, che – precisa Grignolio – ha dato e tuttora dà una aspettativa di vita quasi uguale a una persona non infetta”.

E il vaccino quando potrà essere disponibile?
“Per ovvi motivi: non nocività, efficacia e soprattutto produzione su larga scala internazionale – osserva – non sarà disponibile direi prima di un anno ma, nel frattempo, oggi abbiamo a disposizione, ed è un enorme passo in avanti, diverse terapie multifase, efficaci per ogni fase della malattia, compreso l’impiego di una vecchia pratica della sieroterapia: l’immissione del plasma con anticorpi dei guariti ai malati, che offre a un miglioramento delle condizioni del paziente, ma non immunità”.
Ma su questa pratica Grignolio non manca di sollevare tre problemi da risolvere, “è una procedura costosa, sebbene si dica spesso il contrario, perché difficile da ​standardizzare e con effetti potenzialmente nocivi dovuti al rischio di trasmissione di malattie infettive e alterare la coagulazione nei riceventi; è limitante nei tempi e nella produzione perché con due pazienti guariti si ottengono gli anticorpi per un paziente, cosa molto disfunzionale durante una pandemia che richiede subito e per molti tanti anticorpi; e soprattutto offre una immunità passiva e non attiva come il vaccino, ovvero gli anticorpi provenienti dai guariti cessano dopo il trattamento e non vengono autonomamente prodotti dal paziente, che quindi non sviluppa l’immunità attiva e l’immunità per futuri incontri con il virus, la agognata immunità di gregge o di comunità”.

La medicina e più in generale la ricerca scientifica, molto probabilmente vincerà la sfida arrivata da un virus sconosciuto?
“Penso di sì, come avvenuto in passato con tante altre malattie infettive che non sono né una punizione divina né una vendetta della natura, ma sono malattie connesse e causate dai cambiamenti del rapporto tra l’essere umano, l’ambiente e gli animali. A questo va aggiunto che le epidemie fioriscono in contesti ad alta densità di popolazione e altamente connesse da porti e aeroporti. Il passato ce lo insegna chiaramente sia con la via della seta sia con il commercio marittimo, da cui proviene la famosa quarantena veneziana del 1300. Ecco perché è improprio accusare le polveri sottili e l’inquinamento: vi sono molte zone del globo dove non c’è inquinamento e Covid si diffonde con grande efficacia, e questo è valido per tante epidemie del recente passato o del passato remoto, dove il mondo era privo di inquinamento e le epidemie erano molto più diffuse e feroci. Per vincere la sfida dei prossimi mesi e delle prossime epidemie abbiamo assoluto bisogno di un solido e forte sistema sanitario nazionale, ben attrezzato a livello del territorio e di una nuova collaborazione con le strutture sanitarie private, che stanno facendo la loro parte con le proprie strutture. Pubblico e privato non sono affatto in collisione: l’uno non esclude l’altro, nell’interesse comune della tutela della salute pubblica”.

Ultima domanda, che ne pensa dello scontro tra Usa e Cina sulla genesi e manipolazione del virus in laboratorio, quello di Wuhan?
“Mi pare che la questione sia una contrapposizione politica più che scientifica: la scienza parla chiaro e con dati e i dati sono spesso scomodi al decisore politico, perché non sono opinabili o manipolabili per fini elettorali. I dati che abbiamo oggi ci dicono che la genetica, come dimostrato da un articolo sulla rivista Nature, indica una provenienza animale, ovvero pipistrello e pangolino, del virus e non artificiale in laboratorio. Inoltre, che il luogo d’origine non sia Wuhan, dove è presente il laboratorio incriminato, ma Guandong, la stessa regione dove scoppiò la Sars, e infine che i primi casi siano retrodatabili tra settembre e dicembre. Ma le scienze cognitive con il concetto di ‘ragionamento motivato’ ci spiegano bene che a questi dati della scienza le orecchie dei complottisti rimarranno non solo sorde ma, per così dire, immuni anche in futuro”.

il vaccino si chiama PICO-VACC

di Guido Silvestri

bollettino del 7 maggio 2020

Ore 2.00 del mattino ad Atlanta ed io sono appena rientrato a casa dal laboratorio. Abbiamo dati interessantissimi e devo dire che l’excitement di lavorare su una malattia nuova dai tanti aspetti sconosciuti è semplicemente incredibile. Sarebbe ora di andare a letto, ma sparo rapidamente le nostre pillole perché so che in molti le aspettano per iniziare al meglio la giornata

1. LA RITIRATA CONTINUA Continua la grande ritirata di SARS-CoV-2 dall’Italia. Anche oggi è calato, per il VENTIQUATTRESIMO giorno consecutivo, il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 – da 1427 a 1333, quindi ben 94 unità, ed ora siamo a meno di un terzo del picco registrato a metà marzo con 4.068 ricoveri. Cala di molto anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 16.270 a 15.769, quindi di 501 unità). Quindi avanti così, un giorno alla volta, con prudenza, sempre ricordando la similitudine della nave tra i due scogli, ma anche con tanto ottimismo, perché il “mostriciattolo” sembra davvero andare verso l’uscita…

2. ELOGIO AL SUD ITALIA Oggi ho provato, in una pausa, a calcolare le mortalità da COVID-19 regione per regione (per 100.000 abitanti):Lombardia 146.1VdA 111.2Emilia Romagna 84.9Liguria 80.2Piemonte 74.6TN/BZ 67.6Marche 62.9Veneto 32.0Abruzzi 26.2FVG 25.5Toscana 24.3Puglie 10.9Lazio 9.1Umbria 7.9Molise 7.3Sardegna 7.2Campania 6.5Sicilia 5.0Calabria 4.6Basilicata 4.5Voglio soffermarmi per un momento sui livelli molto bassi di mortalità osservati nelle regioni del Sud, dove il tanto temuto tsunami di COVID-19 non è mai arrivato. Come sapete ci sono diverse ipotesi sul perché l’Italia del Sud sia andata così bene, tra cui quella che sia merito esclusivo del lock-down (in realtà su questo ho i miei dubbi, visto che la gran parte dei decessi, nel Nord Italia, sono comunque avvenuti dopo il 10 marzo) e quella dell’effetto benefico del clima più mite. Qui però vorrei solo fare un elogio, anzi, due elogi. Il primo ai tanti medici ed infermieri che sono stati bravissimi nel fare tesoro delle esperienze dei loro colleghi al Nord – sono in contatto con colleghi di Catanzaro, Napoli, Pescara, Cagliari, Bari, Catania, Lecce, Avellino, Messina etc., e sono rimasto molto colpito dalla loro competenza e professionalità. Il secondo elogio è per tutti gli abitanti del Sud, che in questo difficile frangente si sono comportati con grande disciplina e responsabilità. L’Italia meridionale in tante situazioni ha fatto e continua a fare fatica, ma nel caso di COVID-19 può davvero andare a testa alta.

3. MASSIMO CLEMENTI SUL CORRIERE DELLA SERA Ieri bellissima, e rarissima, intervista del grande Massimo Clementi, virologo tanto bravo quanto silenzioso (l’altro giorno mi ha scritto: “nella vita mi sono spesso pentito di aver parlato, quasi mai di aver taciuto”), che per una volta ha fatto una eccezione. Ecco due brevi estratti:SARS-CoV-2 è diventato meno aggressivo?“L’espressione clinica dell’infezione adesso è più mite. Nella fase drammatica, al San Raffaele arrivavano 80 persone al giorno, la maggior parte necessitava di ricovero in terapia intensiva. Le cose sono nettamente cambiate, le terapie intensive si stanno man mano liberando, l’infezione non sfocia più nella fase gravissima, la cosiddetta “tempesta citochinica”. Per ora è solo un’osservazione empirica, l’epidemia c’è ancora ma dal punto di vista clinico si sta svuotando.”L’arrivo del caldo può influenzare l’aggressività del virus? “Per ora è una supposizione, ma è molto probabile che sia così. Nell’uomo circolano quattro coronavirus “ingentiliti”, di cui due molto simili a Sars-CoV-2. Tutti provocano infezioni modeste, tranne nei bambini molto piccoli, da 0 a 2 anni, in cui possono portare allo sviluppo di bronchiolite. E tutti circolano solo in inverno, per sparire invece nei mesi caldi.”

4. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO (CON RISATA INCORPORATA) Da tempo volevo fare un post sulle previsioni a mio avviso un po’ catastrofiche degli epidemiologi dell’Imperial College di Londra (seconde solo a quelle di Mike “menagramo” Osterholm). Premettendo che scrivo in modo volutamente leggero e semi-serio, ma alle volte mi piacerebbe che questi maestri del “worst case scenario” ogni tanto incorporassero, nei loro modelli, la possibilità – peraltro tangibilissima! – che le cose vadano meglio per fattori “benefici” come la scoperta di un nuovo antivirale o vaccino, l’attenuazione spontanea del virus, e così via (come, per esempio, fa sempre Lipsitch). Detto questo, ieri è uscita su tutti i giornali la notizia che Neil Ferguson, guru epidemiologo dell’Imperial College, consigliere speciale di Boris Johnson, e grandissimo sostenitore dell’importanza del “social distancing”, è stato beccato ad incontrarsi clandestinamente con l’amante (pure sposata, con un altro). Il tutto, si presume, senza guanti e mascherina. Ferguson ha subito dato le dimissioni dal team di esperti della Regina (in Inghilterra usa così) ed io, perdonatemi, non posso fare a meno di pensare al fatto che il famoso “worst-case scenario”, per il buon Neil, stavolta sia stato peggiore della sua più fosca previsione…

5. LA BUONA NOTIZIA DEL GIORNO Stavolta è sui vaccini, e mi riferisco al paper uscito ieri su Science (Gao Q. et al., Rapid development of an inactivated vaccine candidate for SARS-CoV-2”, Science, May 6th, 2020). In breve: il vaccino si chiama PICO-VACC (purified inactivated coronavirus vaccine), e non lo ha inventato Pico de Paperis ma il team della Sinovac Biotech di Beijing (China). I risultati sono davvero promettenti: efficace induzione di anticorpi neutralizzanti nel topo, nel ratto, e nel macaco; nessuna induzione di anticorpi “cattivi” (cioe quelli responsabili del cosidetto ADE, antibody-dependent enhancement), e protezione nei macachi dall’inoculo sperimentale con SARS-CoV-2. Ora si passa alla fase clinica sulle persone, ma questa è certamente una partenza che fa ben sperare.

IL PLASMA CONVALESCENTE

di Guido Silvestri

Bollettino del 5 maggio 2020

1. LA RITIRATA CONTINUA

Continua la ritirata di SARS-CoV-2 dall’Italia. Anche oggi è calato, per il VENTIDUESIMO giorno consecutivo, il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 in Italia (da 1501 a 1479 unità), così come il numero dei ricoveri ospedalieri (da 17.242 a 16.823, quindi di ben 419 unità). Negli ultimi tre giorni il calo dei ricoveri in terapia intensiva ha rallentato, vedremo nei prossimi giorni se è un fenomeno duraturo, magari legato alla ridotta mortalità, oppure se è stato solo un artefatto del ponte del Primo Maggio. Da notare che, per la prima volta da un mese e mezzo, il numero dei decessi per COVID-19 in Italia è sotto i 200 per due giorni consecutivi.

2. IL PLASMA CONVALESCENTE

Innanzitutto ribadisco i miei complimenti ai colleghi degli ospedali San Matteo di Pavia e Carlo Poma di Mantova – ed in particolare a Giuseppe De Donno e Massimo Franchini, primari rispettivamente della Pneumologia e del Servizio Trasfusionale a Mantova – che hanno fatto da pionieri, in Italia, dell’uso di plasma di soggetti convalescenti come terapia dei casi severi di COVID-19. Al momento hanno trattato 82 pazienti con buoni risultati e minima tossicità, quindi in accordo con le esperienze dei medici cinesi e quelle degli studi, peraltro molto più grandi, condotti qui in America.

Senza voler smorzare l’entusiasmo e l’orgoglio di questi bravissimi colleghi (e quelli dei loro sostenitori nei social), è bene ricordare che:

  • L’uso di plasma o siero convalescente per trattare malattie infettive è stato introdotto nella pratica medica da oltre un secolo.
  • Nel Department of Pathology alla Emory lo abbiamo usato con successo nel 2015 in pazienti con Ebola (Kraft C et al., Clin Infect Dis. 2015; 61:496-502).
  • Nel caso di COVID-19 il plasma convalescente è stato usato in vari studi effettuati durante la prima fase della pandemia in Cina (Chen et al. Lancet Inf Dis 2020; Shen et al., JAMA 2020; Duan et al., PNAS 2020) e sul tema due miei Vice-Direttori, John Roback e Jeannette Guarner, hanno scritto un editoriale pubblicato sul prestigioso JAMA il 27 marzo 2020.
  • In America il trattamento è approvato dalla FDA nel marzo 2020, e ad oggi sono stati praticati gratuitamente oltre 5,200 trattamenti con plasma donato da oltre 8.000 soggetti convalescenti (da cui consegue che chi insinua che la terapia con plasma convalescente sia “boicottata” dagli Amerikani è un emerito imbecille).
  • Come sempre in medicina è importante attendere il risultato di studi controllati prima di emettere giudizi definitivi in termini di efficacia di un trattamento terapeutico.
  • Tra i vantaggi del trattamento, oltre alla promettente efficacia, segnalo anche il costo basso e la grande sicurezza.
  • Aggiungo, da vecchio “romantico” della medicina – e da figlio di un primario di Centro Trasfusionale che considerava la donazione di sangue un grande gesto di solidarietà – che mi piace molto l’idea di una terapia resa possible dallo sforzo generoso di persone che, guarite da una malattia, vogliono fare qualcosa di utile per i propri simili meno fortunati di loro.
  • I limiti principali del trattamento sono la virtuale impossibilità di standardizzazione (vista la variabilità da donatore a donatore) e, durante la prima fase della pandemia, la scarsa disponibilità di donatori.
  • Per chi volesse più informazioni SERIE su questo tema consiglio di leggere questo position paper: Bloch EM et al., Deployment of convalescent plasma for the prevention and treatment of COVID-19. J Clin Invest 2020, con autori di Johns Hopkins, Mayo Clinic, Stanford, WUSTL, Columbia, NY Blood Center, Michigan State, Albert Einstein e Brown.

3. ANCORA SULLA RIAPERTURA

Ieri parlando alla RAI (La Vita in Diretta) ho fatto una metafora che per me rappresenta bene lo stato attuale delle cose, e che in molti mi hanno chiesto di riproporla anche qui.

Per come la vedo io, l’Italia in questo momento è come una barca che naviga tra due grandi scogli. Da un lato c’è lo scoglio del virus (e della malattia), che hanno fatto ormai quasi 30.000 morti, mentre dall’altro c’è lo scoglio del disastro economico dovuto al lockdown, che può creare problemi seri anche dal punto di vista socio-sanitario.

In questa metafora la cosiddetta “riapertura” o fase-2 rappresenta una sterzata necessaria per allontanare la barca dallo scoglio del disastro economico – ma non possiamo ignorare il fatto che questa sterzata fatalmente ci faccia avvicinare allo scoglio del virus e della malattia.

Per questo dobbiamo stare molto attenti, e farci guidare dai tre principi che continuo a ripetere come un disco rotto: MONITORAGGIO (che deve dirci quanto siamo distanti dai due scogli), FLESSIBILITA’ (che deve permetterci di cambiare rapidamente la direzione di marcia, se necessario) e COORDINAZIONE (che deve farci andare in armonia con le altre barche che stanno attraversando lo stesso stretto).

Mai come in questa metafora vale il detto “siamo tutti sulla stessa barca”, nel senso che ognuno di noi può e deve fare la sua parte per evitare di andare a sbattere (come abbiamo già fatto nel marzo scorso).

“Solo la scienza può vincere ma va aiutata” – La sperimentazione animale ai tempi del Coronavirus

Intervista al Presidente Pier Luigi Lopalco e al socio fondatore Giuliano Grignaschi su Quotidiano Nazionale – Il Giorno

«In Italia, se fai ricerca, devi passare attraverso quattro comitati, aspettare mesi e per giunta pagare una tassa, anche solo per sfiorare un topo in laboratorio». Le parole di Silvio Garattini, presidente del Mario Negri, nell’intervista pubblicata ieri su Quotidiano Nazionale – Il Giorno, hanno sollevato la questione degli ostacoli allo sviluppo di medicinali. Giuliano Grignaschi, biologo responsabile dell’Animal Care all’Università Statale di Milano, è segretario generale di Research4Life, piattaforma che riunisce associazioni di pazienti, centri clinici e istituzioni come Farmindustria, San Raffaele, Airc, Telethon, al fine di conciliare etica e salute.
Dottor Grignaschi, con l’emergenza Coronavirus vorremmo subito farmaci e vaccini. Perché la medicina in Italia si inceppa davanti a un topo?«Perché siamo il Paese che ha introdotto le maggiori difficoltà a promuovere la sperimentazione pre-clinica, tanto che Bruxelles ha messo in mora l’Italia per aver recepito dal 2014 una direttiva sull’impiego di animali a fini scientifici in termini troppo restrittivi, e non poteva».Sacrosanto il rispetto delle cavie, ma migliaia di persone muoiono di polmonite, milioni di sopravvissuti rischiano una fibrosi invalidante. Cosa succede nei laboratori?«Succede che i nostri cervelli vanno all’estero, trovano condizioni migliori e lì restano. La nostra legislazione tutela la protezione degli animali da esperimento, ma senza garantire uguali condizioni operative tra enti che lavorano alle nuove terapie».A cosa serve studiare il modello animale nella Covid-19?«Dobbiamo capire cosa provoca questo virus in un organismo vivente, piuttosto che studiarlo in colture cellulari separate, e soluzioni che portano alla cura. Per i vaccini dobbiamo verificare la sicurezza, le reazioni prima di arrivare all’uomo».La ricerca è paralizzata in Italia dai cavilli?«Il professore Garattini fa presente che il percorso per poter fare anche solo un’iniezione a un singolo animale, passa attraverso valutazioni interminabili. In qualunque momento, come si è visto per una ricerca che ha coinvolto le università di Parma e Torino, puoi essere fermato».Che cosa comportano paletti e obiezioni animalista?«Vede, i ricercatori presentano progetti di largo respiro. Gli altri Paesi non devono sottostare a vincoli e rischi. E questo si ripercuote anche nella nostra corsa al vaccino».

Il commento del Presidente Pierluigi Lopalco:”Diceva Gaber “libertà è partecipazione”. Quando parliamo di ricerca scientifica, però, il termine partecipazione si riferisce ad una ampia comunità di professionisti che per partecipare hanno bisogno non solo di creatività ed ipotesi scientifiche da testaret, ma anche di risorse tecnologiche e finanziarie. Il tema della Libertà di ricerca e quindi strettamente connesso al suo finanziamento. L’emergenza Covid-19 ha mostrato al mondo intero come solo lo sforzo scientifico internazionale possa fermare una minaccia di quelle proporzioni. Il SARS-Cov-2 ha mostrato al mondo intero la debolezza dei sistemi sanitari. Una debolezza, nei confronti di un’ondata pandemica eccezionale, che ha fatto presente ai politici quanto sia difficile prendere decisioni utili a proteggere la salute dei cittadini senza il supporto della scienza. Mai come ora il ragionamento scientifico e le decisioni basate sulla scienza hanno avuto un ruolo centrale nel dibattito politico e nel dominio della opinione pubblica. Quei ’professoroni’ che erano indicati come portatori di un sapere inutile e saccente, sono oggi più ascoltati di quanto non fosse ieri un importante commentatore sportivo. E questo in Italia è tutto dire. L’attenzione politica e mediatica ai temi della scienza legate alla pandemia di Covid-19 comportano il fatto che sia sulla rete che sui media mainstream temi come la progressione logistica di una curva epidemica o la risposta IgM a un’infezione virale siano temi discussi nei talk show serali.

Ma il tema di reale interesse per il progresso scientifico è: passata la bufera, una volta che un gruppo di esperti sia riuscito a levare qualche castagna dal fuoco al decisore politico, riuscirà la ricerca a liberarsi dei pesanti fardelli che ne hanno impedito fino a oggi il pieno sviluppo nel nostro Paese? E, a titolo di esempio, oltre all’annosa questione del finanziamento, ne cito un paio. Il primo, la difficoltà a svolgere ricerche sperimentali di elevata qualità e di respiro internazionale a causa di limiti che altri Paesi europei non hanno, a causa della azione di lobbing da parte di gruppi che in nome di principi etici o filosofici bloccano la sperimentazione su modelli animali o l’utilizzo di cellule staminali. Il secondo, il sistema ingessatissimo di reclutamento nelle università e nei centri di ricerca ancora basato sul principio del concorso pubblico. Allora proviamo a liberare la ricerca in Italia, perché la scienza è l’unica cosa di cui il virus abbia timore”.

IL PTS DIFFIDA LA PROF. GISMONDO

Abbiamo inviato oggi una diffida legale alla Professoressa Maria Rita Gismondo per le gravi affermazioni ed esternazioni pubbliche sul coronavirus, volte a minimizzare la gravità della situazione e non basate su evidenze scientifiche.

L’Italia sta vivendo la più grave crisi dal dopoguerra a causa dell’emergenza coronavirus, che ha ucciso quasi 5.000 persone e portato le nostre strutture sanitarie in difficoltà, soprattutto nel Nord Italia. In questo momento tragico la responsabilità dei ricercatori, dei clinici e degli scienziati dovrebbe essere quella di informare con chiarezza e serietà la popolazione, senza allarmare e senza diffondere ipotesi o notizie non suffragate dai dati scientifici.

Il nostro Presidente Pier Luigi Lopalco, scrive: “La missione del PTS è chiara: difendere il cittadino dalla diffusione di atteggiamenti anti-scientifici e difendere l’onorabilità e la credibilità della comunità scientifica. Chi oggi, in una situazione di emergenza, indossa un camice e gode anche di una ribalta pubblica, deve riporre nelle sue dichiarazioni una estrema cautela. Ipotesi personali e ricostruzioni fantasiose non devono inquinare e confondere il dibattito pubblico. Mai come ora è importante che questo dibattito avvenga nell’ambito delle regole della scienza.

Per questo, anche su sollecitazione dell’ambiente medico-scientifico italiano, abbiamo ritenuto necessario inviare alla Professoressa Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano una diffida, chiedendole di rettificare alcune sue affermazioni che possono indurre la popolazione a violare i precetti governativi, con nefaste ricadute in termini di salute pubblica, soprattutto perché provenienti da un medico con responsabilità istituzionali nella regione più colpita d’Italia.

Affermazioni quali:

  • “È una follia questa emergenza, si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale” (23.2.2020);
  • “non voglio sminuire il coronavirus ma la sua problematica rimane appena superiore all’influenza stagionale (1.3.2020).
  • “tra poco il 60-70% della popolazione è positivo ma non dobbiamo preoccuparci (13.3.2020).
  •  “l’epidemia potrebbe esser mutata, sta succedendo qualcosa di strano” (21.3.2020).

Rischiano di turbare l’ordine pubblico, come previsto dall’art. 656 del codice penale (Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico), se non supportate da evidenze scientifiche.

Il PTS chiede alla Professoressa Gismondo di rettificare immediatamente le Sue argomentazioni che potrebbero aver indotto ad una minimizzazione del problema coronavirus, nonostante le robuste evidenze della drammaticità della situazione e la invita ad astenersi dal diffondere notizie se non supportate da evidenze scientifiche. (qui il testo della diffida).

Se #iorestoacasa serve a qualcosa?

La risposta è SI.

Cerchiamo di spiegarvi il perché mostrandovi la storia di 2 città lombarde: Lodi e Bergamo.

Lodi, al primo emergere del focolaio, è stata subito messa sotto osservazione, isolati i comuni più colpiti e limitate anche le attività all’interno della provincia (24 febbraio). Da allora si osserva che i casi crescono in modo lineare.

Bergamo è invece stata “lasciata libera” fino al 9 marzo, quando è entrato in vigore il DPCM dell’8 marzo che ha trasformato l’intera Lombardia in zona rossa. In questa città si è assistito ad un aumento esponenziale dei casi, andamento che ha cominciato a modificarsi SOLO dopo 1 settimana dall’entrata in vigore delle norme restrittive.

Quindi? Quindi #restateacasa.
Perché? Perché funziona ed è la cosa migliore che possiate fare: per voi stessi, per i vostri cari, per il sistema sanitario, per la ricerca. Chiaro?

Alcune note

– Nel nostro primo post dedicato al coronavirus
https://www.facebook.com/biotecnologi.italiani/posts/2937477142940602
avevamo già cercato di spiegare quanto ci dice oggi questo grafico, prima che fosse troppo tardi. Andatevelo a rileggere 😉

– Qui trovate tutti i riferimenti normativi citati: http://www.governo.it/it/approfondimento/coronavirus/13968

– La lotta contro il SARS-CoV-2 prosegue ed è ben lungi dall’essere vinta, la vinceremo sulla distanza. Se ne stanno rendendo conto anche gli altri paesi europei che, seppur in ordine sparso, stanno giungendo alle medesime conclusioni, ed azioni, cui è giunto il nostro Paese. L’unione fa (e dà) la forza. Aiutateci a sensibilizzare anche le vostre reti di contatti all’estero.

Abbiamo preparato un’infografica in diverse lingue: usatela! La trovate qui: http://www.biotecnologi.org/blog/ se non la trovate nella lingua che vi serve, facciamola assieme, è importante!

– Nonostante il gran rumore di fondo, la terapia ancora non c’è (l’ultimo dei rumors in ordine di tempo è un messaggio whatsapp attribuito al Prof. Pascale del Galeazzi che ha già smentito con decisione https://www.facebook.com/istituto.ortopedico.galeazzi/)
L’invito è, come già detto, di non alimentare la diffusione non solo del virus, ma anche di notizie non verificate che possono creare false aspettative o allarmismo ingiustificato. La ricerca e la sperimentazione stanno procedendo a pieno regime non solo in Italia, in tutto il mondo, ma hanno bisogno di tempo. Più tempo riusciamo a guadagnare e più vite salviamo.
Come? #restaacasa. Semplice no?

grazie ad ANBI Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani e Maddalena Adorno per lo spunto del post.

Buone Notizie ….

… perché ne abbiamo decisamente bisogno. Allora ve ne do alcune, piccole e grandi, per tirarci su il morale almeno un po’.

di Guido Silvestri

1. Oggi è uscito online il nostro ultimo paper su Nature Medicine, rivista scientifica di grande prestigio. Il titolo del lavoro è “CTLA-4 and PD-1 dual blockade induces SIV reactivation without control of rebound after antiretroviral therapy interruption” ed il senior author è il mio ex-allievo, ora in cattedra anche lui alla Emory, il professor Mirko Paiardini da Urbania. E’ un altro studio che aumenta le nostre chance di arrivare presto ad un cura per l’AIDS – il che è importante visto che anche oggi, nel silenzio generale, HIV ha ucciso circa 2.000 persone nel mondo, soprattutto in Africa.

2. Il publisher cinese BEIJING FONGHONG BOOKS, della Phoenix Publishing and Media group, che è una delle dieci case editrici più grandi del mondo, ha ufficialmente acquistato i diritti del mio libro “IL VIRUS BUONO”, che verrà tradotto in cinese standard con pubblicazione entro 18 mesi. Sulla scorta di quanto fatto da Roberto Burioni con il suo libro “Virus: La Grande Sfida”, ho deciso di donare le royalties alla Associazione “CARLO URBANI”, che sostiene la ricerca scientifica biomedica in Italia in memoria del nostro grande collega e conterraneo, morto di SARS nel 2003 a soli 46 anni. 

3. Sul fronte COVID-19, il “MURO di ATLANTA” per ora sta reggendo, anche se è solo l’inizio dell’inizio. Siamo ancora fermi ad un morto, ed il numero dei casi aumenta senza avere per ora i connotati di uno “tsunami” (21 casi il 12 marzo, 42 casi il 13 marzo, 66 casi il 14 marzo, 99 casi il 15 marzo, e 121 casi il 16 marzo). Questo andamento relativamente lento ci da tempo – almeno così speriamo – di prepararci agli inevitabili grandi numeri che ci aspettano nei prossimi giorni. A questo proposito ringrazio i colleghi italiani che mi stanno dando informazioni utili a gestire questa grave situazione.

4. Sul fronte italiano, in cui la lotta rimane durissima, ieri ci sono stati meno morti e meno nuovi casi del giorno precedente, e questo è un piccolo, magari piccolissimo segnale di miglioramento. In questo senso i numeri di domani e dopodomani saranno importantissimi, e spero davvero vivamente che continuino ad andare in quella direzione. Ricordiamoci di ringraziare sempre i grandi professionisti della sanità italiana che stanno lavorando in modo straordinario per limitare i danni di questa pandemia.

5. Sul fronte CIALTRONI, è stato bello vedere come il collega Matteo Bassetti, ordinario di Malattie Infettive a Genova e socio del Patto Trasversale per la Scienza – PTS, abbia immediatamente diffidato Vittorio Sgarbi dall’usare il suo nome quando espone le sue bizzarre teorie sul Coronavirus. Ancora più bello è stato vedere quante persone abbiamo accolto con entusiasmo l’idea di “sfruttare” la pandemia di COVID-19 per far partire un GRANDE RINASCIMENTO SCIENTIFICO dell’Italia, che è il paese di Leonardo e Galileo, Fermi e Marconi, Galvani, Spallanzani, Golgi e mille altri.

6. Dirette Facebook: non siamo riusciti a risolvere il problema, ma stiamo lanciando un canale Youtube da cui dovremmo presto essere in grado di fare dirette. Stay tuned! (le dirette saranno disponibili anche sul nostro sito a seguente indirizzo https://www.pattoperlascienza.it/patto-in-diretta/ ndr.)

Un abbraccio a tutti, e ricordiamoci:

  • sempre CALMA e SANGUE FREDDO
  • sempre ISOLAMENTO e IGIENE PERSONALE
  • sempre PROTEZIONE DI ANZIANI e malati
  • sempre FIDUCIA nella MEDICINA e nella SCIENZA

IL NOSTRO SOCIO MATTEO BASSETTI HA DIFFIDATO SGARBI DAL NOMINARLO E DALL’ATTRIBUIRGLI TESI E ARGOMENTI MAI PRONUNCIATI

Il Prof. Matteo Bassetti, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università degli Studi di Genova, Direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino, nostro socio e coordinatore del gruppo Vaccini del PTS, ha diffidato oggi Vittorio Sgarbi dal nominarlo, attribuendogli tesi ed argomenti mai pronunciati e sui quali Sgarbi avrebbe fondato le sue esternazioni sul coronavirus.

Ieri il PTS aveva presentato un esposto penale contro Vittorio Sgarbi per le gravi affermazioni, fatte nel video del 9 marzo scorso pubblicato sul profilo Facebook (ora cancellato per violazioni delle policy del social) e sul suo canale YouTube, sulla diffusione del virus SARS-CoV-2 e della malattia Covid-19, in cui manifestava dubbi sulla pericolosità del virus, condivideva notizie false rispetto alla prevenzione e ridicolizzava le misure di contenimento adottate dal Governo, spingendo le persone ad uscire di casa e recarsi a Codogno.

A seguito della presentazione dell’esposto, Sgarbi ha affermato sui media che le sue esternazioni si sarebbero ispirate a posizioni assunte da virologi ed epidemiologi, tra i quali appunto anche il Prof. Matteo Bassetti e ha pesantemente attaccato il PTS affermando che “per questa strategia della tensione si inventano associazioni inesistenti e farlocche, che approfittano della paura e della intimidazione, come il sedicente ”Patto trasversale per la scienza”, che non ha niente a che fare con la scienza e che è espressione di una prepotenza che approfitta della paura dei cittadini e la propaga”.

Bassetti reputa queste esternazioni estremamente gravi non solo perché direttamente coinvolto come supposto ispiratore di affermazioni che non condivide e che mai ha proferito, ma anche perché contesta fermamente ogni commento sulla nostra Associazione, della quale condivide appieno l’azione, le finalità, riconoscendo le alte professionalità scientifiche e mediche di coloro che ne fanno parte, visto che ne è socio e coordinatore di gruppo.

Bassetti è impegnato in prima linea nella battaglia che il nostro Servizio Sanitario Nazionale sta conducendo per impedire la diffusione del virus e soprattutto per salvare le vite di coloro che si ammalano di Covid-19 e condivide pienamente i provvedimenti governativi volti a ridurre al minimo ogni contatto tra i cittadini nell’ottica di ridurre la diffusione del contagio.

Infine, Bassetti contesta ogni possibile minimizzazione dei rischi per la salute dei singoli e dell’intera collettività derivanti da tale pandemia evidenziando che la realtà clinica vissuta anche solo un mese fa si è oggi profondamente modificata ed è dovere di tutti tenerne conto.

Dice Matteo Bassetti: “La situazione epidemiologica attuale è profondamente diversa rispetto a poche settimane fa. Ciò che poteva essere vero allora, non lo è oggi. Ho sempre sostenuto che questa è una infezione con una bassa letalità complessiva (vedremo il numero dei contagi alla fine molto simile alla influenza pandemica (H1N1 2009), ma con una maggiore contagiosità. E’ quindi evidente che sono benvenute tutte le misure preventive, atte al contenimento e alla mitigazione degli effetti.  Io e le persone con cui lavoro siamo in trincea ogni giorno per cercare di salvare delle vite perché oggi il dovere di ognuno di noi, per quello che può e sa, è dare il massimo per salvare le vite e invitare le persone a rimanere a casa il più possibile o ad adeguata distanza dagli altri”

Alla luce di tutto ciò Bassetti ha dunque inviato a Sgarbi, per mezzo del suo avvocato Corrado Canafoglia, una diffida a voler rettificare pubblicamente e sui media entro un giorno ogni Suo riferimento a Bassetti stesso, attribuendo al medesimo tesi e argomenti dallo stesso mai pronunciati e sui quali Sgarbi avrebbe fondato le Sue citate esternazioni, precisando che semmai trattasi di un errore interpretativo delle posizioni dello stesso Bassetti. In assenza di tale rettifica il Prof. Bassetti si riserva di agire giudizialmente a tutela della propria onorabilità professionale.