BASTA AL DOPPIO TAMPONE, SEGUIAMO L’OMS

Alla vigilia della riunione del CTS, che avverrà oggi, facciamo come PTS un appello al governo e al CTS affinché rivedano la politica del doppio tampone adottando i criteri dell’OMS.
In Italia, un paziente ‘COVID-19’ viene considerato contagioso finché per due volte il tampone dia esito negativo. Con conseguenze spesso paradossali per la durata della quarantena.
Da tempo OMS ha abbandonato questo criterio, in base ad una crescente e ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità, che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10 giorni.

Al contrario, la positività del tampone può restare tale per molte settimane. Adottare, sulla scia di quasi tutti gli altri Paesi, il criterio OMS avrebbe rilevanti e immediati vantaggi non solo per le persone coinvolte, ma anche per la sanità pubblica.
Infatti, il timore di venire isolati senza un termine temporalmente definito costituisce un pericoloso incentivo al nascondimento dei propri sintomi per chi si ammala, oltre che all’utilizzo dell’app di tracciamento.
Per questo il PTS fa proprio e rilancia l’appello al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute, al Presidente del Comitato Tecnico Scientifico e ai Presidenti delle Camere, creato da Guido Silvestri e dal team della rubrica Pillole di Ottimismo

TESTO INTEGRALE DELL’APPELLO


Ill.mo Presidente del Consiglio dei Ministri
Ill.mo Ministro della Salute
Ill.mo Coordinatore del Comitato Tecnico-Scientifico
Ill.ma Presidente del Senato della Repubblica
Ill.mo Presidente della Camera dei Deputati

Egregi Signori,
come sapete, nel nostro Paese un paziente affetto da COVID-19 viene considerato ufficialmente malato e contagioso, finché per due volte consecutive l’analisi del tampone nasofaringeo non dia esito negativo.

Questo criterio, inizialmente adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è stato poi cambiato progressivamente in molti Paesi e, infine, dall’OMS stessa, in base ad una crescente e ormai consolidata evidenza scientifica: il periodo di contagiosità che inizia circa 48 ore prima della comparsa di sintomi, ha il suo picco nei primi giorni, per poi calare rapidamente e sostanzialmente annullarsi entro 10 giorni.

La positività del tampone può invece restare tale per molte settimane, fino a oltre 4 mesi dalla malattia, identificando, di fatto, solo tracce di materiale genetico del virus, non attivo e incapace di trasmettere l’infezione.

Vi chiediamo quindi di sostituire il criterio del doppio tampone negativo con quello indicato nelle nuove direttive OMS, riducendo a 10 giorni il periodo di malattia per COVID-19 (più 3 giorni senza sintomi, nel caso ve ne fossero) e abbandonando l’uso del tampone di controllo. 

Ve lo chiediamo per tre ragioni, ciascuna delle quali ci sembra da sola sufficiente a giustificare la nostra richiesta.

  • La prima ragione riguarda la vita delle persone coinvolte: mantenere in isolamento forzato un paziente che con ogni probabilità non è più contagioso non è di alcuna significativa utilità, né per il paziente né per la collettività. 
  • La seconda ragione riguarda l’economia e la ripresa del nostro Paese: la nostra collettività ha bisogno del contributo di queste persone, ora lasciate per lungo tempo in uno stato di ingiustificata immobilità.
  • La terza ragione – che ci pare persino più importante delle altre – riguarda la salute pubblica: il timore di venire isolati senza un termine temporalmente definito costituisce un pericoloso disincentivo alla segnalazione dei propri sintomi per chi si ammala e all’utilizzo dell’app di tracciamento, che invece necessita urgentemente di molte nuove adesioni.

Concludiamo con un’osservazione. In senso contrario alla nostra richiesta, si sostiene frequentemente che le nuove direttive OMS sarebbero pensate per i Paesi con risorse limitate e che dunque non possono garantire un secondo tampone in tutti i casi in cui ciò è necessario, a causa dell’insufficienza di strumenti e personale medico. La descritta obiezione a nostro avviso non regge.
In primo luogo, gran parte dei Paesi europei hanno da tempo adottato le nuove linee guida OMS. In secondo luogo, le motivazioni di salute pubblica sopra indicate giustificherebbero persino l’assunzione di un modestissimo rischio, se esso fosse veramente associato alle nuove linee guida.
Infine, grande è la richiesta, da parte delle regioni, di maggiori risorse per aumentare i tamponi: la scelta che Vi chiediamo potrebbe offrire un aiuto importante in questa direzione.
Nella certezza che considererete con attenzione la nostra richiesta, Vi salutiamo cordialmente e Vi ringraziamo per il Vostro lavoro.

Ad oggi la sperimentazione animale non è sostituibile con metodi alternativi

La relazione sulla sperimentazione animale nel campo della ricerca sulle sostanze d’abuso trasmessa dal ministero della Salute alle Camere nel luglio
scorso conferma, a valle di approfonditi studi, quanto la comunità scientifica italiana afferma da tempo: allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, la sperimentazione su modelli animali “in vivo” non è ad oggi sostituibile.
Come Presidente dell’Associazione Patto Trasversale per la Scienza,
ringraziamo il ministro Roberto Speranza e il dicastero da lui guidato per aver voluto mettere un punto chiaro su un argomento spesso oggetto di illazioni e battaglie puramente ideologiche, ma infondate dal punto di vista scientifico. È importante, soprattutto in un periodo così complesso dal punto di vista sanitario, che le istituzioni abbiano tenuto conto delle istanze provenienti da molti eccellenti ricercatori di tutto il Paese, spesso vincitori di prestigiosi bandi europei e internazionali. I divieti e le restrizioni alla libertà di ricerca che l’Italia ha scelto di imporre ai nostri ricercatori, più gravosi rispetto alla direttiva europea sulla sperimentazione animale, oltre a svantaggiare gli scienziati italiani impedendo loro di competere ad armi pari con i colleghi europei in vari ambiti del sapere scientifico, sono attualmente oggetto di procedura d’infrazione a Bruxelles.
Oggi il Parlamento, sulla scorta di quanto concluso dal Ministero della Salute nella sua relazione, ha l’occasione di rimuovere questi divieti e di riportare la ricerca biomedica italiana sulle sostanze d’abuso allo stesso livello del resto d’Europa, approvando l’emendamento al dl Semplificazioni presentato dalla senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo.

Guido Poli – Presidente PTS

Il Prof. Guido Poli è il nuovo Presidente del Patto Trasversale per la Scienza

Il Prof. Guido Poli è il nuovo Presidente della nostra associazione. E’ stato designato all’unanimità dal Direttivo per portare a conclusione il primo mandato triennale, a seguito delle dimissioni del Prof. Pier Luigi Lopalco per incompatibilità, vista la sua candidatura alle elezioni amministrative in Puglia.

Guido Poli è uno dei soci fondatori del PTS, immuno-virologo, professore ordinario di Patologia Generale presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Dal 2017 è Presidente del Corso di Laurea in Ricerca Biotecnologica in Medicina dello stesso Ateneo.

Studia sin dall’inizio degli anni ’80 l’immunopatogenesi dell’infezione da HIV/AIDS. Ha iniziato la sua carriera scientifica nel Laboratorio d’Immunologia Umana diretto da Alberto Mantovani presso l’Istituto per le Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano nel 1984, per poi trasferirsi nel 1986 presso il Laboratory of Immunoregulation guidato da Anthony S. Fauci, Direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), National Institutes of Health (NIH), Bethesda, MD, USA. Tornato infine in Italia nel 1994 ha fondato con Elisa Vicenzi l’Unità d’Immunopatogenesi dell’AIDS presso l’IRCCS San Raffaele di Milano, rinominata recentemente “Viral Pathogenesis and Biosafety”.

Un grandissimo in bocca al lupo da tutto il PTS!

Qui potete leggere la lettera integrale ai soci, scritta in occasione dell’insediamento.

Cari Soci,

                è un grande onore per me succedere a Pier Luigi Lopalco nella Presidenza del nostro Patto Trasversale per la Scienza (PTS) e colgo l’occasione per rinnovargli i migliori auguri per la sua nuova avventura civile e politica. Ringrazio anche Andrea Cossarizza che, in qualità di Presidente ad interim, ha gestito i pochi, ma intensi giorni della transizione fino all’elezione della nuova Presidenza.

            Alcuni di voi mi conoscono da tempo come ricercatore dell’area “HIV/AIDS” e/o per la mia battaglia civile da diversi anni per rilanciare un Programma Nazionale di ricerca su questa patologia (evidentemente da aggiornare per includere SARS-CoV-2/COVID-19 e altre malattie virali emergenti) e, più in generale, per rilanciare il tema del finanziamento pubblico alla ricerca scientifica, temi che hanno trovato nel PTS la loro collocazione naturale. Per questo motivo sono stato tra i Soci Fondatori del PTS riconoscendomi appieno nei suoi valori fondanti, riassunti ottimamente nell’incipit dell’Articolo 5 dello Statuto: Lo scopo dell’associazione è la promozione e la diffusione della scienza e del metodo scientifico sperimentale in Italia al fine di superare ogni ostacolo e/o azione che generi disinformazione su temi scientifici…”.

            Avremo tempo e modo di conoscerci meglio con il comune obiettivo di rendere il PTS un punto di riferimento sempre più visibile, credibile e super partes per la società civile, ma anche per chi si trovi nella posizione di legiferare e governare, come descritto nella mission originale della nostra Associazione: Rivolgiamo un appello a tutte le forze politiche italiane, affinché sottoscrivano il seguente Patto Trasversale per la Scienza e s’impegnino formalmente a rispettarlo, nel riconoscimento che il progresso della Scienza è un valore universale dell’umanità, che non può essere negato o distorto per fini politici o elettorali.

Concludo augurandovi una buona estate non dimenticandoci delle poche regole fondamentali che ci hanno garantito nelle ultime settimane un ritorno ad una vita quasi normale nel rispetto della nostra sicurezza e di quella di chi ci sta vicino.

                                                                                                                                  Cordialmente,

Prof. Guido Poli

Presidente PTS

           

“Contagiati non vuol dire malati”? La lezione del virus dell’AIDS

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Cosa possiamo imparare dalla conoscenza accumulata sull’infezione da HIV che possa essere utile per affrontare meglio la sfida di SARS-CoV-2? E che lezione possiamo trarre da un virus che alcuni consideravano un fattore d’innesco (ma non la causa) della malattia – una posizione assimilabile all’espressione usata in questi giorni, “contagiati non vuol dire malati”?

di Guido Poli e Guido Silvestri

Erroneamente si parla spesso di “intelligenza del virus” o “strategia del virus” per descriverne le caratteristiche peculiari di trasmissione, patogenesi ed evoluzione in seguito all’accumulo di mutazioni che, tra altre proprietà, ne favoriscono la sfuggita al controllo del sistema immunitario o di farmaci antivirali. In realtà, i virus non sono dotati di “intelligenza”, ma sono il frutto di una selezione biologica che ne definisce le proprietà peculiari.

Restringendo l’analisi ai virus pericolosi per l’essere umano, possiamo considerare, per esempio, il fatto che l’infezione da HIV (human immunodeficiency virus, causa dell’immunodeficienza acquisita o AIDS, mortale per oltre il 95% delle persone infettate se non curata con la terapia antiretrovirale di combinazione, cART, disponibile dalla metà degli anni ’90 in poi) sarebbe perfettamente prevenibile se tutte le persone sessualmente attive utilizzassero condom, se non ci fossero più scambi di siringhe tra persone che usano droghe di ricreazione per via parenterale e se il sangue o altri emoderivati fossero universalmente controllati come avviene in Italia oramai da decenni.

Eppure, abbiamo circa 40 milioni di persone infettate sul pianeta e, nonostante gli indiscutibili progressi della cART (che permette alle persone infettate di condurre una vita quasi comparabile per durata e qualità a quelle delle persone non infette dello stesso sesso ed età) l’infezione da HIV e anche l’AIDS che ne è la conseguenza estrema continuano a persistere in Italia (circa 130.00 persone infettate, 3.500 nuovi casi l’anno di cui il 50% con sintomi clinici e il 15% già con AIDS conclamata, oltre a un “sommerso” stimato nel 12% di persone che non sa di essere infettata) come nel resto del mondo.

Cosa possiamo imparare dalla conoscenza accumulata nell’infezione da HIV che possa essere utile per affrontare meglio la sfida di quest’ultimo virus pandemico, il SARS-CoV-2, causa della grave malattia respiratoria e sistemica nota come Covid-19? Nel primo decennio dell’infezione da HIV (che ha fatto il suo esordio con uno scarno bollettino dei Centers for Disease Control, CDC, di Atlanta, Georgia, USA, nell’estate del 1981 [1]), la comunità scientifica era divisa, anche animosamente, tra coloro che ritenevano che il virus (scoperto nel 1983) fosse non solo la causa dell’AIDS, ma anche la principale causa di malattia, e altri che ritenevano che fosse semplicemente un fattore d’innesco della patologia, ma che questa fosse causata da un’alterata risposta immunitaria che conduceva alla grave immunodeficienza alla base dell’AIDS con meccanismi sostanzialmente indipendenti dal virus.

Questa dicotomia aveva profonde implicazioni per lo sviluppo di una terapia adeguata, perché, se il virus non avesse avuto potenziale patogenetico, lo sviluppo di farmaci antiretrovirali avrebbe potuto non avere l’impatto sperato nel controllo della malattia e nella reversione dello stato d’immunodeficienza (giova ricordare che le persone in AIDS morivano per infezioni o tumori definiti “opportunistici”, perché colpivano solo coloro che avevano profonda immunodeficienza). Potremmo assimilare questa seconda posizione all’efficace espressione di questi giorni riferita all’infezione da SARS-CoV-2: “contagiati non vuol dire malati”.

La disputa accademica sul ruolo del virus HIV finì grazie a uno studio retrospettivo del 1996 di John Mellors, di Philadelphia. Mellors si era posto una domanda semplice, ovvero se, nel momento dell’arruolamento di uno studio prospettico (cioè di monitoraggio nel tempo dell’evoluzione clinica dell’infezione) fosse più informativo il numero assoluto di linfociti T CD4+ nel sangue periferico (indice complessivo dello stato più o meno avanzato dell’immunodeficienza) o lo fossero i livelli di HIV nel sangue (“viremia”) misurati come numero di copie di RNA virale/ml di plasma e indice di replicazione virale.

Il risultato dello studio fu inequivocabile: i livelli di viremia erano enormemente (statisticamente) più predittivi del numero di linfociti T CD4+ nel predire l’evoluzione nel tempo dell’infezione (Figura 1). Tanto più alta la viremia, tanto più rapida la progressione ad AIDS e morte e viceversa, mentre il numero di linfociti T CD4+ era predittivo di evoluzione di morte per AIDS solamente al di sotto la soglia delle 385 cellule/µl [2].

“It’s the virus, stupid!” fu la battuta che pose fine alla disputa accademica e che determinò il fatto che la definizione di “HIV disease” (“malattia da HIV”), già introdotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990 [3], si affermasse definitivamente a significare, appunto, che l’infezione per se, ancorché asintomatica per molti anni, era da considerarsi già malattia. Infatti, la cART (che dimostrò la sua efficacia iniziale nello stesso anno, 1996, di questo studio, per poi affinarsi sempre più fino ai giorni nostri) viene iniziata indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi clinici.

Curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier stratificate in quartili delle medie delle prime due determinazioni di viremia (copie di RNA/ml di plasma) (A) o del n. assoluto di linfociti T CD4+ per µl (B) (n=172) rispetto al momento della morte.

Che lezione possiamo trarre dalla storia dell’infezione da HIV per meglio fronteggiare la pandemia di questo nuovo virus che, in meno di un anno, ha già infettato più di 20 milioni di persone al mondo e causato la morte di circa 800.000 persone? Come agli albori dell’infezione da HIV non abbiamo ancora terapie sufficientemente efficaci per poter guardare con tranquillità alla possibilità che una persona s’infetti e progredisca clinicamente verso gli stadi più gravi; idem per quanto riguarda il vaccino, che tuttavia sembra molto più vicino e probabile per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 che non da HIV.

Giova inoltre ricordare che anche nell’infezione da HIV esistono persone “contagiate, ma non malate”: sono le persone definite “long-term nonprogressors” o “elite controllers” (che rappresentano meno del 2-3% delle persone infettate) che, grazie a caratteristiche solo in parte decifrate, convivono col virus HIV senza assumere farmaci e senza evolvere verso l’AIDS per molti anni (in qualche caso decenni). Ovviamente questo non significa che “il virus non causa l’AIDS”, come sostenevano i negazionisti (altro fenomeno simile a certe posizioni estreme rispetto alla Covid-19), ma semplicemente che, nonostante i quasi 40 anni in cui il virus HIV è esordito a livello globale, esistono ancora aspetti sconosciuti nel rapporto tra virus e ospite per comprendere quali fattori proteggono questi rari individui dalle conseguenze del virus HIV, così come non conosciamo per quali motivi la maggioranza dei bambini e dei giovani adulti non vanno incontro a progressione clinica dell’infezione da SARS-CoV-2.

Un aspetto finale (ma sicuramente se ne potrebbero individuare altri) della convivenza col virus HIV riguarda lo stigma e la discriminazione che hano accompagnato, e in parte continuano ad accompagnare, soprattutto nelle regioni più povere del mondo, le persone infettate con importanti conseguenze sia psicologiche che relazionali e occupazionali. In questo senso, “contagiato non vuol dire malato” potrebbe essere riletto in chiave sociale non per negare la potenziale infettività di chiunque sia portatore di virus per i propri contatti (ne sappiamo ancora troppo poco della risposta immunitaria e dell’efficacia protettiva degli anticorpi nella trasmissione interindividuale per concludere che chi sviluppa le IgG non trasmette più il virus), ma per affermare una cultura di condivisione delle misure di protezione individuale (mascherine), di igiene delle mani e di distanziamento sociale, soprattutto nei luoghi chiusi, come migliore garanzia di contenimento della diffusione del nuovo virus e di prevenzione delle possibili conseguenze cliniche dell’infezione.

Referenze
1. M. Gottlieb et al, Pneumocysitis pneumonia–Los Angeles. Morbidity and Mortality Weekly Report, 30: 250-252, 1981- PMID: 6265753
2. J.W. Mellors et al, Prognosis of HIV-1 infection predicted by the quantity of virus in plasma. Science, 272 (5265): 1167-1170, 1996. DOI: 10.1126/science.272.5265.116
3. WHO. Interim proposal for a WHO staging system for HIV infection and disease”. Wkly Epidemiol. Res. 65 (29): 221-224, 1990. PMID: 1974812

Patto Trasversale della Scienza: no all’uso della scienza e della pandemia a fini elettorali

In relazione alla ventilata presenza ad eventi di natura squisitamente elettorale aventi ad oggetto la pandemia di COVID-19, eventi che vedrebbero la partecipazione anche di alcuni importanti soci fondatori del Patto Trasversale per la Scienza, intendiamo ribadire quanto segue.

Il PTS ha esordito sulla scena italiana il 10 gennaio 2019 con un appello dirompente “a tutte le forze politiche italiane” sottolineando che “il progresso della Scienza è un valore universale dell’umanità, che non può essere negato o distorto per fini politici o elettorali.

Inoltre, i valori su cui si fonda il Patto come associazione sono legati al riconoscimento che il metodo scientifico sia ad oggi il miglior mezzo di indagine della realtà e di interpretazione dei fatti complessi che ci si presentano, soprattutto in quei casi in cui si tratta di eventi improvvisi, anche se non imprevisti, che mettano in serio pericolo sia la salute delle persone, sia il loro modo di vivere, sia la società e l’economia nel loro complesso.

In questo quadro, appare grave ed incomprensibile l’eventuale adesione da parte di importanti soci del PTS ad iniziative in chiave chiaramente politica ed elettorale che vedano come guida o contributori soggetti che sono stati oggetto di querela o di diffida da parte del PTS proprio per le pericolose posizioni antiscientifiche espresse durante l’epidemia di COVID-19, insieme ad altri che in moltissime occasioni hanno dimostrato la propria lontananza dal metodo scientifico.

Intendiamo quindi stigmatizzare sia l’iniziativa messa in essere da chi vuole strumentalizzare l’opposizione alla scienza in chiave elettorale, sia la partecipazione di chiunque abbia aderito al PTS o si ritenga membro della comunità scientifica ad iniziative di questo segno.

Chiediamo quindi a tutti gli affiliati del PTS di non prestarsi a situazioni dove una tesi preconcetta sulla salute o la gestione pubblica dell’emergenza epidemica sia funzionale ad una parte politica o schieramento. Il non accoglimento di questo invito comporterà la rivalutazione della compatibilità dell’affiliato al PTS in base alle regole statutarie.

PIER LUIGI LOPALCO SI DIMETTE DA PRESIDENTE DEL PTS

Il nostro Presidente ha rassegnato oggi le dimissioni per incompatibilità, a seguito della sua decisione di candidarsi alle elezioni amministrative in Puglia.

Scrive Lopalco nella sua lettera di dimissioni: “Fra poco sarò ufficialmente candidato nelle file di Emiliano aspirando al ruolo di Assessore alla Sanità in Puglia. E’ una sfida che non mi sono sentito di non accettare, per amore nei confronti della mia terra e per il principio cui sono stato sempre fedele in base al quale l’impegno civico deve essere vissuto sempre al massimo delle possibilità. D’altro canto, sulla base dei principi che animano la nostra associazione, credo sia opportuno che mi dimetta dalla carica di Presidente, pur garantendo tutto il mio supporto e sostegno per le attività correnti del PTS” e ancora, nella nota per i soci: “tutti voi sapete quanto sia stato onorato e felice quando, poco più di un anno fa, mi chiedeste di rappresentare il PTS in qualità di Presidente. La nascita del PTS è stata una avventura entusiasmante in cui tutti voi vi siete gettati con entusiasmo e generosità. Il mio compito di Presidente, infatti, è stato a conti fatti semplicissimo: ho dovuto fare davvero poco, potendo contare su una squadra del genere”

Il Prof. Andrea Cossarizza, attuale vice-presidente, prenderà le redini del PTS in attesa della nomina di un nuovo Presidente eletto: “Mi dispiace che Pier Luigi debba lasciarci e a lui va il mio più grande in bocca al lupo. Proseguirò nel solco tracciato nel momento della fondazione del PTS lo scorso giugno, per la tutela della salute dei cittadini, contro bufale mediche, pseudo scienza e ciarlatani. Attività oggi ancora più necessaria”

Grazie Pier Luigi da parte di tutto il Direttivo e dei soci fondatori

Covid-19: pubblicato oggi su Nature Communications uno studio italiano

Arriva da un team di ricercatori italiani una svolta importante nella cura del Covid-19.  Il gruppo di ricerca del prof. Cossarizza (Università di Modena e Reggio Emilia) pone l’attenzione sul pathway infiammatorio IL17-mediato – in un contesto di reclutamento e attivazione dei neutrofili – suggerendone l’inibizione come possibile strategia terapeutica contro l’infezione da SARS-CoV-2. Questo apre la strada e pone le basi scientifiche per l’utilizzo di nuovi farmaci biologici e ulteriori soluzioni terapeutiche.

Lo studio è stato pubblicato oggi su Nature Communications e spiega per la prima volta i dettagli dell’esaurimento funzionale dei linfociti presenti nel sangue periferico, descrivendo in modo esaustivo il comportamento delle molecole e delle cellule responsabili della tempesta citochinica presente nei pazienti COVID-19 con polmonite. Lo studio, la cui versione preliminare era uscita il 20 aprile nella piattaforma online del gruppo Nature e scaricata nelle prime 48 ore da oltre 4.000 ricercatori, era stato parzialmente presentato dal Prof. Andrea Cossarizza il 30 aprile al webinar della rivista Science cui hanno partecipato oltre 8.000 medici e scienziati.

Le riviste sopraccitate ci hanno chiesto – dice Andrea Cossarizza – di dare immediatamente notizia di quanto avevamo trovato. Lo abbiamo fatto, seppur controvoglia, perché pensiamo che si debba parlare solo dopo che un lavoro è stato giudicato e pubblicato. Eravamo però d’accordo nel rendere noti subito i nostri dati viste le possibili implicazioni terapeutiche. Nella versione finale dello studio, ora pubblicata, vengono riportati ulteriori dettagli sul ruolo delle citochine coinvolte nella patogenesi della malattia (ne sono state indagate 31), e ulteriori analisi delle cellule responsabili della loro produzione”.

Nelle fasi della malattia in cui predomina una iper-attivazione – spiega Cossarizza – le cellule del sistema immunitario si fanno la guerra tra loro, azionano altre cellule, i monociti e i granulociti neutrofili, e coinvolgono strutture come gli endoteli vascolari e gli epiteli polmonari. Nel paziente vengono a coesistere linfociti attivati oppure esauriti, appena prodotti dagli organi linfoidi oppure senescenti, e linfociti che producono molecole con effetti biologici opposti. È quindi una risposta caotica senza alcuna logica che esaurisce la risposta immunitaria. Un po’ come correre la finale olimpica dei 400 metri ostacoli, arrivare alla fine completamente stremati e sentirsi dire che si è sbagliato gara e bisogna iniziare subito la maratona. Inoltre, molti aspetti della risposta cellulare, come la capacità proliferativa e la funzionalità mitocondriale, mimano quanto accade nel processo di invecchiamento del sistema immunitario, definito “inflammaging”, che a Modena viene studiato da oltre 30 anni, nel quale una eccessiva infiammazione cronica sta alla base del malfunzionamento immunitario tipico delle persone molto anziane”.

I dati dei ricercatori modenesi mostrano che tra le molecole importanti nell’attivare e mantenere la deleteria iper-infiammazione immunitaria non c’è soltanto l’interleuchina-6 (IL-6), contro la quale viene impiegato con successo l’ormai noto farmaco biologico Tocilizumab (i cui notevoli effetti sulla riduzione della mortalità sono stati pubblicati la settimana scorsa su The Lancet Rheumatology dal gruppo della Professoressa Cristina Mussini e del Professor Giovanni Guaraldi), o le ben note molecole infiammatorie IL-1 e il fattore di necrosi tumorale (TNF) contro cui sono da anni disponibili diversi farmaci, ma molte altre molecole, la cui presenza nei pazienti COVID non era mai stata osservata prima. Alcune tra queste potrebbero costituire nuovi bersagli terapeutici, ad esempio le citochine proinfiammatorie IL-17, IL-8, le galettine e il GITR (proteina indotta dai glucocorticoidi e correlata alla famiglia del recettore del TNF).

Grazie al fatto che alcuni di questi dati sono stati resi pubblici prima della pubblicazione su Nature Communications, in diversi Paesi sono già in corso trials clinici con farmaci capaci di bloccare l’azione della IL-17, quali secukinumab e brodalumab, già clinicamente utilizzati per altre patologie quali la psoriasi o l’artrite psoriasica. Questi farmaci potrebbero avere una grande importanza perché la IL-17 è una molecola fondamentale per attivare i granulociti neutrofili e indirizzarli ai polmoni, dove causano gravi danni. Farmaci contro la IL-8, come Hu-Max-IL8, sono già in fase di sperimentazione per bloccare le capacità di questa molecola di attivare i processi infiammatori (localizzati anch’essi nei polmoni) che richiamano le cellule attivate dalla IL-17.

Lo studio modenese – si può affermare – ha gettato le basi scientifiche per l’utilizzo di nuovi farmaci biologici, e aperto la strada a ulteriori soluzioni terapeutiche. I ricercatori avanzano pertanto l’ipotesi che, come accade in altre malattie infettive o in molti tumori, si possa usare contro il SARS-CoV-2 un potente cocktail di molecole (ognuna utilizzata a basse dosi per evitare possibili effetti collaterali), capace di bloccare nello stesso momento la dannosa azione della consistente pletora di citochine.

“Devo innanzitutto ringraziare – conclude il Professor Andrea Cossarizza – i miei collaboratori del gruppo di Immunologia, che fin dall’inizio della pandemia hanno passato in laboratorio settimane, anzi mesi interi senza sosta, Pasqua compresa, per aiutarmi a chiarire le basi immunologiche di questa devastante malattia. Senza le ricercatrici Sara De Biasi e Lara Gibellini, con Caterina Bellinazzi, Rebecca Borella, Lucia Fidanza, Licia Gozzi, Domenico Lo Tartaro, Marco Mattioli, Annamaria Paolini, e senza l’aiuto degli innumerevoli ed appassionati colleghi clinici, non avremmo potuto raggiungere questo traguardo, che non è tanto la pubblicazione dei nostri sforzi, quanto l’approfondimento dell’immunopatogenesi di COVID-19, utile a tracciare nuove e sempre più efficaci strade terapeutiche. Ringrazio anche tutte le persone, associazioni, società e gruppi bancari che hanno contribuito e stanno contribuendo con le loro donazioni a finanziare le nostre ricerche. Ma la battaglia è appena iniziata. Noi abbiamo soltanto identificato dei nuovi possibili bersagli per frenare la malattia. La fine del SARS-CoV-2 avverrà solamente con il vaccino”.

Grignaschi da Conte per gli Stati Generali

GIULIANO GRIGNASCHI, socio fondatore PTS, membro del Gruppo di Lavoro sulla Sperimentazione Animale e direttore di Research4Life ha incontrato – in occasione degli Stati Generali – il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il Ministro della Ricerca Gaetano Manfredi ed il Capo di Gabinetto del Presidente, Alessandro Goracci.

Nel corso del colloquio ha evidenziato le preoccupazioni del mondo della ricerca biomedica italiana sia sulla situazione generale che sul merito dello scorretto recepimento della Direttiva Europea sulla protezione degli animali utilizzati nella ricerca.


“Ho sottolineato che – afferma Grignaschi – a causa di alcuni divieti presenti solo nella normativa italiana e privi di significato scientifico e reale impatto sul benessere degli animali, i ricercatori italiani sono frequentemente costretti ad effettuare all’estero le sperimentazioni necessarie allo sviluppo di terapie efficaci, come abbiamo potuto anche recentemente verificare nel caso del vaccino anti Covid-19 da parte dell’azienda italiana Takis”.

Al Presidente Conte ed alla rappresentanza del Governo è stato infine rappresentato come la comunità scientifica sia favorevole e costantemente impegnata nella ricerca volta anche allo sviluppo di metodi alternativi alla sperimentazione animale ma come, purtroppo, oggi questi non siano ancora sufficienti a garantire lo sviluppo e il controllo delle terapie di cui i pazienti hanno assoluto bisogno.

Proposta per coordinare e rendere trasparenti e strutturali i finanziamenti alla ricerca

gruppo di lavoro sulle politiche per la ricerca

In seguito alla recente istituzione dell’Agenzia Nazionale della Ricerca vorremo proporre un elenco di punti per promuovere la costituzione di una struttura virtuosa e trasparente.

1. Siamo favorevoli alla opportunità di unificare i finanziamenti non ordinari destinati alla ricerca in una Agenzia erogatrice. Tale agenzia emana bandi per progetti sulla base delle linee programmatiche della Ricerca Nazionale. Scopo primario della Agenzia è evitare l’attuale frammentazione di tanti bandi su tematiche simili, bandi spesso riservati a pochi soggetti proponenti.

2. A valle della governance stabilita nel DL 1/2020, l’Agenzia dovrebbe dotarsi di un consiglio scientifico i cui membri , sull’esempio di altre realtà internazionali (ad esempio del “National Science Board” USA), dovrebbero essere: 

– persone di eccellente qualificazione – nei campi delle scienze di base, della medicina, ingegneria, agricoltura, scienze sociali, gestione della ricerca etc – documentata da pubblicazioni, brevetti etc. ;

– selezionati esclusivamente sulla base delle loro accertate competenze;

– selezionati in modo da rappresentare i vari centri di ricerca su tutto il territorio nazionale, la parità di genere (con uno sbilanciamento non peggiore del 30%) e con almeno un componente di età inferiore ai 40 anni;

– per almeno un terzo membri stranieri che non abbiano rapporti di collaborazione scientifica con altri membri della commissione.

Inoltre, dovrebbe essere stabilito un limite temporale di partecipazione: ad esempio, un terzo dei componenti del consiglio dovrebbe essere rinnovato ogni biennio, e non riconfermato nei successivi 5 bienni, in modo che la durata massima dell’incarico non superi i 6 anni.

3. L’Agenzia dovrebbe codificare attraverso uno specifico regolamento la formazione di albi di esperti sulla base delle tematiche di ricerca,  allo scopo di valutare le proposte progettuali con un meccanismo  di revisione paritaria (peer review). L’iscrizione agli albi avverrà su richiesta degli interessati, sulla base di titoli scientifici stabiliti nel regolamento. Sempre in linea con modelli di altre agenzie internazionali per la Ricerca, per la composizione degli albi ogni settore disciplinare sarà composto da sotto-settori. La numerosità dei sotto-settori consentirà di rappresentare anche aree di ricerca che, seppure minoritarie, assumono un ruolo cruciale nel campo della ricerca di base e della diffusione del sapere. Da questi albi si attinge per la composizione di commissioni di valutazione dei progetti. L’iscrizione agli albi avrà un limite temporale e pertanto tali albi saranno periodicamente rinnovati.

4. L’Agenzia garantisce e verifica che i progetti siano valutati attraverso un attento sistema di valutazione (peer review).

5. L’Agenzia garantisce la promulgazione dei bandi annualmente e la  valutazione ed erogazione dei fondi entro l’anno di emissione del bando.

6. La partecipazione ai bandi deve essere garantita a ciascun Ricercatore/Docente, e non deve prevedere un contingentamento di Ente/Istituzione nel numero di progetti da poter presentare.

7. L’Agenzia garantisce visibilità e trasparenza allestendo un unico database liberamente consultabile per tutti i bandi progettuali e per avere informazioni  sulla tipologia dei bandi, i panel di valutazione e i risultati ottenuti dai progetti presentati.

8. L’Agenzia istituisce tipologie di progetti in grado di coprire le potenzialità e le competenze della platea dei ricercatori. In particolare, si dovranno prevedere bandi che privilegiano la promozione di idee innovative, progetti coinvolgenti più unità, progetti di sviluppo di carriera, etc.

9. I fondi per infrastrutture saranno organizzati attraverso appositi bandi con procedure specifiche e non decurteranno il budget per i progetti a disposizione dell’Agenzia. L’attività e il funzionamento delle infrastrutture alla ricerca saranno vigilate da appositi comitati che faranno anch’essi riferimento all’Agenzia.

10. I fondi dell’agenzia saranno aggiuntivi e non ingloberanno i  fondi di finanziamento ordinario dei vari enti di Ricerca e Università                                                                        

NOTE:

LEGGE 27 dicembre 2019, n. 160; Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. (GU n.304 del 30-12-2019 – Suppl. Ordinario n. 45 ) Art. 1 commi 240-252

Solidarietà a Roberto Burioni

Il PTS esprime tutta la sua solidarietà al suo socio fondatore e consigliere Roberto Burioni.

L’attacco de L’Espresso sulle consulenze è sconcertante, insensato e riporta informazioni non vere, come se peraltro un professionista non dovesse farsi pagare per le consulenze che fa e come se il quanto non debba esser determinato dalle sue capacità. Comprendiamo la sua decisione di lasciare gli schermi televisivi, decisione che già aveva annunciato prima di questo attacco, per concentrarsi sulle sue ricerche e i suoi studenti, ma ribadiamo tutta la nostra solidarietà a chi in questa pandemia è comparso in televisione per offrire spiegazioni ed informazioni in maniera pacata, senza urlare, senza proclami e soprattutto sempre alimentando con chiarezza e umiltà un dibattito sereno e finalizzato a far comprendere che la scienza è prima di tutto dubbio. Buona estate Roberto!

Noi ti aspettiamo presto e intanto continuiamo a seguirti su Medical Facts!

Riportiamo per esteso il comunicato di Roberto uscito poco fa:

Carissimi, alcune notizie che mi riguardano apparse sulla stampa non sono vere e devo smentirle. Prima di tutto io non sono socio della società Lifenet, alla quale ho fornito una consulenza scientifica.

Inoltre io – con l’eccezione di Medical Facts SRL, una startup che ho fondato un anno fa con tre amici e che ben conoscete – NON SONO SOCIO DI NESSUNA SOCIETA’, nonostante quello che viene regolarmente scritto accusandomi di inesistenti conflitti di interesse.In secondo luogo l’importo delle mie consulenze svolte per le aziende riguardo all’emergenza COVID-19 direttamente o tramite Lifenet non è – purtroppo – neanche lontanamente vicino alle cifre che vengono diffuse (un milione!). Visto che ci siamo, preciso anche che io non fornisco consulenza scientifica a nessuna società o entità che sia coinvolta nello sviluppo o nella commercializzazione di vaccini; e neanche a società o entità che siano coinvolte nello sviluppo o nella commercializzazione di cose utili per la diagnosi, terapia, prevenzione o vaccinazione per COVID-19.

Considero questo chiarimento come un ulteriore atto per ristabilire un poco di verità in un mare di menzogne, un atto verificabile in ogni modo, sede e luogo ma anche definitivo.

Da qui in poi, con grande rammarico perché considero una sconfitta ogni escalation, ogni notizia falsa sul mio lavoro o sulla mia persona avrà un seguito legale. Grazie per l’affetto con il quale mi seguite.

Roberto Burioni