La scienza in politica

Il Patto Trasversale per la Scienza in un contesto globale

A partire dal Seicento, la scienza è stata il motore creativo da cui sono emersi in Europa, e poi nel mondo occidentale, il benessere e le condizioni igienico-sanitarie, ovvero il miglioramento economico e lo sviluppo politico-sociale. Una funzione che la scienza potrebbe continuare a svolgere, se non venisse strumentalizzata per fini politici, piegandone i principi di libertà e oggettività alle altalenanti esigenze del consenso politico, e quindi delle opinioni. Nonostante le significative differenze dei diversi Paesi occidentali, la scienza è ritenuta dai cittadini uno strumento attendibile e a cui ricorrere quando la società intende realizzare un progetto o una visione sociale capace di migliorare le condizioni di vita. L’alleanza tra scienza, politica e cittadinanza non sempre però si realizza, e quando uno di questi termini vede i propri interessi collidere con quelli della scienza si manifestano sentimenti antiscientifici, spesso orientati a screditare gli argomenti sconvenienti della scienza. Le strategie principali per screditare l’affidabilità dei fatti scientifici ricorrono a idee pseudoscientifiche, ovvero credenze e pratiche, talvolta ispirate a sentimenti antimoderni, naturisti o passatisti, che appaiono scientifiche sebbene siano prive del metodo e delle prove di efficacia, di trasparenza, di oggettività e prevedibilità tipiche delle spiegazioni scientifiche. Le pseudoteorie antiscientiste usano diverse strategie per imporsi al grande pubblico, tra queste le più comuni sono: il ricorso a una supposta divisione di opinione tra gli scienziati su una determinata teoria scientifica che si vuole screditare, e l’uso di teorie cospirative, spesso legate a complotti o interessi economici, che renderebbero valide spiegazioni scientifiche che in realtà non lo sarebbero. Uno dei problemi chiave del rapporto che la politica e la società hanno con la scienza è la cattiva comprensione del contributo che questa ha dato al benessere e al progresso umano.

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La percezione generale è che la scienza sia responsabile degli avanzamenti tecnologici di base come l’elettricità o il motore, i farmaci salvavita o i cellulari, o come teorie come quella del Big bang, della evoluzione naturale o della gravitazione universale. In realtà, il contributo più rilevante della scienza è il metodo e non le conquiste conoscitive, cioè i risultati o prodotti della ricerca, dai quali derivano generalmente le innovazioni destinate a migliorare la qualità della vita umana o a risolvere problemi pratici. È infatti il metodo scientifico che ci ha permesso, per la prima volta nella storia dell’umanità, di distinguere oggettivamente i fatti dalle opinioni, ovvero di controllare i fatti e quindi confermare o confutare le ipotesi pensate per spiegare o descrivere fenomeni naturali. Tale strumento è anche utile per lo sviluppo del pensiero critico dei cittadini. Nel passato, nei Paesi dove si è sviluppata la democrazia, gli scienziati e le prime società scientifiche hanno avuto un ruolo significativo nel portare in campo politico molte idee operative dell’allora neonata scienza come la trasparenza ispirata dal confronto pubblico con gli esperti, l’assenza di gerarchie, la collaborazione tra competenze per lo sviluppo di imprese comuni, e la critica costruttiva non basata su ideologie e appartenenze ma fondata sul controllo dei dati e sulle evidenze fondate sulle prove ripetibili. Ma anche nel presente scienza e democrazia mostrano un effetto positivo reciproco sullo sviluppo delle capacità cognitive. Ciò è dimostrato, ad esempio, dall’effetto Flynn che consiste nell’aumento del valore del quoziente intellettivo medio nel corso degli anni di quelle popolazioni che crescono in contesti dove l’ambiente socioculturale è stimolante, improntato alla libertà e si evolve nel tempo, come nelle democrazie avanzate (Corbellini et al., 2018). È per questo che in anni recenti importanti riviste scientifiche hanno deciso di dedicare ampi approfondimenti alle diverse forme di consulenza e supporto che gli scienziati possono offrire agli attori politici. La rivista britannica Nature, tra la più autorevoli al mondo, ha deciso a partire dal 2016 di raccogliere gli articoli più rilevanti sul tema dedicandogli un’intera sezione1 (Science Advice to Governments), di poco precedente è una raccolta sullo stesso tema di Scientific American2 . In questo ed altri contributi risulta evidente che le società occidentali sono diventate ‘società della conoscenza’, e che una parte sempre più considerevole delle loro economie si regge sui più avanzati saperi della ricerca tecno-scientifica. Mai come oggi “l’arte del governo” e “l’arte della tecnica” debbono dialogare, senza infingimenti e senza paure reciproche. Le democrazie che rinunciano ad aprire questo tavolo di discussione con la scienza sono destinate al declino, e non solo perché rinunciano agli introiti (economici e di immagine), perdendo terreno rispetto al sapere e agli introiti di quei Paesi che hanno invece accettato la sfida all’innovazione, ma anche perché possono venir depauperate da pseudo-innovazioni propugnate da gruppi di interesse capaci di manipolare (dietro apparenti interessi nazionali o filantropici) biechi interessi personali, come fu nel caso delle spinte verso la deregolamentazione dei farmaci che sono emersi durante l’affaire del cosiddetto ‘metodo Stamina’. Inoltre, come diversi autori hanno rilevato, negli ultimi anni si sono aggiunti anche interessi sovranazionali a minacciare scienza e democrazia con l’uso di fake news e disinformazione per alimentare sui social network scelte divisive e polarizzanti (Levitan, 2017; Nichols, 2017; Bennett et al., 2018). Infine, a ben vedere, a questi fattori negativi esterni vanno aggiunti quelli interni, ovvero le difficoltà insite nel tecnicismo connaturato alla scienza, nonché nell’alto, e quotidianamente aggiornato, livello di specializzazione del sapere tecno-scientifico: difficoltà che lasciano spesso nell’incertezza cittadini e decisori politici di fronte a scelte strategiche che riguardano l’intera società. È in questi casi che il sistema va ‘in crash’ e che la mancanza nel governo di alte ‘competenze scientifiche’ si manifesta con particolare drammaticità. Che si tratti di approvvigionamento energetico (nucleare, fossili o energie rinnovabili non convenzionali come l’eoliche o solari) o di terapie mediche (validate scientificamente vs. ‘terapie’ alternative senza prova d’efficacia come furono il ‘siero Bonifacio’, la ‘terapia Di Bella’, o il ‘metodo Stamina’), valutare la differenza tra scienza e pseudo-scienza, tra fatti e opinioni, diventa un arduo e talvolta, specie se sotto pressione mediatica, ingestibile problema politico, giuridico e sociale.

In Italia il tema è particolarmente urgente, visto che il Paese sconta non solo un cronico sottofinanziamento della ricerca, ma rispetto agli altri Paesi europei ha una popolazione che è agli ultimi posti riguardo alla comprensione del metodo scientifico, e alla fiducia nella capacità della scienza di migliorare la qualità della vita, della salute e lo sviluppo. Inoltre, nel nostro paese la bassa alfabetizzazione scientifica si somma – o ne è una conseguenza – a un alto livello di analfabetismo funzionale di ritorno, ovvero all’incapacità di un individuo di usare in modo efficiente le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni di vita quotidiana. Le nuove generazioni non danno segnali incoraggianti: i recenti dati Ocse-Pisa 2018 sui livelli di competenza dei quindicenni di 79 paesi in lettura, matematica e scienze indicano che gli studenti italiani sono inferiori alla media Ocse in scienze e nelle competenze che riguardano la lettura, e quindi negli strumenti che permettono lo sviluppo del pensiero critico. Tali lacune culturali ne implicano una terza, segnalata dal documento di sintesi dei dati Eurispes del 2013, il quale punta il dito sulla ridotta capacità di critica della società italiana, e la sua ‘disabitudine’ al dubbio analitico e alla pacata discussione civile, che genera in maniera inevitabile una cittadinanza polarizzata tra ‘creduloni’ e ‘dogmatici’ (Special Eurobarometer 419, Public Perceptions of Science, Research and Innovation, Report, ottobre 2014; Eurispes. 25° Rapporto Italia 2013; PISA 2018: Insights and Interpretations; Grignolio, 2018). La mancanza di questi strumenti del pensiero o di ‘concetti per capire criticamente e apprezzare la modernità’, secondo la definizione del noto psicologo dell’intelligenza James Flynn che al tema della riforma della scuola con strumenti cognitivi ha dedicato un libro significativo (Flynn, 2014), mette a rischio la democrazia. La cittadinanza e la politica diventano cioè più soggette a oscillare dal nichilismo radicale dei cospirazionisti, che dubitano di cure efficaci come i vaccini, alle false certezze degli imbonitori di turno, che gridano alla ‘cura miracolosa’ come recentemente dimostrato dal caso Stamina, dove una finta «terapia a base di staminali» veniva venduta o usata per trattare le più diverse malattie neurodegenerative, o dai pazienti oncologici deceduti a seguito dell’abbandono delle cure di comprovata efficacia per seguire il metodo Hamer (D’Amato, 2017). In Italia, solo per citare gli ultimi cinque anni: sono state distrutte coltivazioni di mais Ogm; sono state impedite ricerche su Ogm in campo aperto (l’Italia è l’unica trai grandi Paesi EU ad avere questo divieto) per il miglioramento genetico delle varietà tipiche nostrane; le risorse pubbliche destinate alla ricerca hanno dato chiari segni (resi noti grazie a interrogazioni parlamentari ed emendamenti nel dicembre 2019) di sbandamento tra procedure non competitive e assegnazioni arbitrarie e discriminatorie; sono stati distrutti gli stabulari dove si svolgevano importanti e rigorose – anche sotto il profilo etico — ricerche su animali per terapie umane (e veterinarie); sono state raccolte la maggior parte del milione di firme della petizione europea Stop Vivisection; le coperture vaccinali, specie quella per il morbillo, sono state tra le più basse d’Europa, prima della reintroduzione dell’obbligo vaccinale nel 2017; è stata riconosciuta la detraibilità fiscale ai prodotti omeopatici; i cittadini sono stati indotti a credere con estese campagne mediatiche che i prodotti biologici della grande distribuzione siano migliori per uomo e ambiente di quelli della agricoltura tradizionale o integrata; il Parlamento italiano a lungo non ha saputo distinguere tra ciarlataneria e medicina, assegnando (per poi correggersi) tre milioni di euro a una frode ai danni dei malati nota come ‘caso Stamina’ (Cattaneo e Grignolio, 2018). In molti di questi casi, servizi televisivi, interventi dei parlamentari, sentenze della magistratura e alcune (poche, ma molto abili nel comunicare) associazioni di malati e parenti hanno sostenuto ‘fenomeni sociali’ che l’intera comunità scientifica nazionale e internazionale ha di volta in volta ritenuto prive di alcuna base di oggettività. Gli scienziati sono spesso costretti a prendere posizioni di netta distanza dalla pseudo-scienza e i cittadini possono talvolta erroneamente percepire queste contrapposizioni come una frattura in seno alla comunità scientifica o come ‘due diverse opinioni’ ugualmente valide — secondo il principio del false balance, notoriamente inapplicabile in campo scientifico, a differenza, ad esempio, di quello politico3 —, anziché come la differenza tra fatti sperimentalmente confermati da esperti e opinioni di gruppi ideologicamente accecati o di venditori di fumo mediaticamente abili (ed economicamente interessati). Sono attriti che hanno costi democratici ed economici drammaticamente alti e che necessitano una risposta che non può più attendere. Per ovviare a queste incomprensioni tra scienza, cittadinanza e decisori politici, sono state avanzate quattro tipi di soluzioni in ambito internazionale. La prima è quella che vede le procedure dello stesso metodo scientifico come un’ottima profilassi da estende- re in campo politico. È ad esso che si riferisce la letteratura denominata ‘politica basata sulle prove d’efficacia (evidence-based policy-making), applicabile dal fisco alle pensioni sino alle strategie per lo sviluppo agricolo e le politiche ambientali, costruita su evidenze e dati rigorosamente controllati, trasparenti pianificazioni dotate di scopi chiari e misurabili, e su continui controlli con conseguenti incentivi o sospensioni (Cairney, 2016; Majcen, 2016). Tale approccio ha iniziato a guadagnare notorietà con il governo Blair nel Regno Unito ed è poi stato applicato in Australia, negli USA e a livello internazionale sia con una coalizione globale che ne promuove e monitora l’efficacia, sia con il progetto ROMA per i Paesi in via di sviluppo per il coinvolgimento dei cittadini nell’implementazione di politiche agricole e sanitarie allo scopo di ridurre le disuguaglianze5 . Una seconda soluzione è offerta dalle scienze cognitive che usano l’analisi della condivisione di valori tribali sottesi al rischio di innovazioni tecnico-scientifiche, dei bias congnitivi (errori sistematici di giudizio), degli incentivi e meccanismi che governano l’architettura delle scelte sociali per orientare razionalmente i cittadini sulle scelte politiche, specie quelle che riguardano la salute e l’innovazione (Halpern, 2019; Kahan et al., 2011). Alcuni Paesi si stanno già attrezzando, in primis il Regno Unito: per la propria campagna di riforme il governo Cameron trasse ispirazione da un testo di neuroscienze cognitive, “Nudge. La spinta gentile” (Thaler e Sustein, 2008), allo scopo di sfruttare la conoscenza dei fattori cognitivi-comportamentali che influenzano le decisioni dei cittadini per promuovere condotte virtuose e socialmente utili. Inserita nel governo britannico nel 2010, la nudge unit (“unità pungolo”), poi parte del Behavioural Insights Team, ha svolto un lavoro mirato a diminuire le spese e rendere più efficace la burocrazia, ad esempio inviando testi personalizzati agli evasori, spronando i cittadini ritardatari nei pagamenti delle imposte con messaggi che sfruttavano la reciprocità sociale, aumentando la partecipazione a iniziative istituzionali allegando l’invito a una lotteria con in palio piccoli premi, o eliminando gli errori delle prescrizioni mediche grazie a messaggi semplificati e precompilati.

Nel 2015 anche l’ex presidente degli Stati Uniti Obama istituì una nudge unit alla Casa Bianca, e di recente l’ha fatto anche il governo australiano. L’idea del pungolo nasce dal fatto che, nell’architettura delle scelte degli individui, anziché proibire o imporre alcune scelte al fine di migliorare il benessere delle persone, le istituzioni possono ottenere risultati apprezzabili anche solo orientando le scelte nella giusta direzione: invece di proibire il cibo spazzatura, sostiene la ‘teoria nudge’, è sufficiente mettere il cibo salutare a portata di naso e nei luoghi giusti. Si tratta di mantenere la libertà di scelta dei cittadini, sostituendo gli ordini con incentivi cognitivamente orientati: un approccio che Sunstein e Thaler — che per le sue ricerche nel 2017 è stato insignito del premio Nobel in economia — definiscono paternalismo libertario. Sono strumenti in grado di offrire alla cittadinanza un ruolo attivo nelle fasi di discussioni politica – e lo stesso vale per le scelte che riguardano la scienza e l’innovazione, sempre a patto (e ciò è imprescindibile) che ci sia un’assunzione di responsabilità e sia adottato il metodo scientifico. Chi vuole partecipare al dibattito potrà farlo, ma basandosi non su un mero ‘sentito dire’ bensì sul metodo e la conoscenza dei fatti, pena l’esclusione. Acquisire conoscenza e metodo servirà alla cittadinanza anche per evitare potenziali abusi di tali strumenti (Beccaria et al., 2014; Grignolio, 2018). Una terza via è offerta dagli science advisors. All’estero, in anni recenti, in tale ambito sono emerse alcune figure professionali specifiche, i cosiddetti ‘consiglieri scientifici’: si tratta di scienziati che, privi di conflitti di interesse, decidono di mettersi al servizio delle istituzioni agendo come intermediari tra la comunità scientifica e le scelte politiche, offrendo consulenze, suggerendo campi di sviluppo per l’innovazione e arginando le numerose proposte pseudoscientifiche e le frodi a cui gli organi statali – non ultimo il Parlamento italiano – sono spesso soggette. La Presidenza della Commissione Europea si è dotata di questa figura (l’ultimo incarico è stato assegnato ad Anne Glover, EU Chief Scientific Adviser) fino al 2014, il presidente degli Stati Uniti si serve regolarmente di uno science advisor (che può inoltre contare su un gruppo di consiglieri sui temi di scienza e tecnologia, il PCAST), nel Regno Unito ogni dipartimento del governo possiede un consigliere scientifico, coordinato da un ufficio che informa il Primo Ministro — il POST, Parliamentary Office for Science and Technology, è costituito da 11 membri, ovvero 8 consulenti scientifici di diverse aree che relazionano con 14 parlamentari, 4 scienziati e lo staff tecnico del Parlamento —, e anche Australia e Nuova Zelanda hanno sviluppato diversi gabinetti politici per gli science advisors. In Francia vi è l’Office parlementaire d’évaluation des choix scientifiques et technologiques (OPECST), e anche Germania, Catalogna, Svezia, Belgio, Grecia, Finlandia, Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi e Svizzera sono dotati di uffici di consulenza scientifica, che sono membri della rete paneuropea EPTA Network1. La Spagna si sta allineando grazie all’iniziativa “Ciencia en el Parlamento”, mentre l’Italia ne è sprovvista, sebbene Stefano Rodotà propose già a metà degli anni ’80 un ufficio di consulenza scientifica e tecnologica che fu reso operativo tra il 1997 e il 2013 come Comitato per la Valutazione delle Scelte Scientifiche e Tecnologiche (VAST) interno all’Ufficio di Presidenza della Camera (Sabelli, 2019).

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Questa è la via scelta dalla recente iniziativa italiana denominata “Scienza in Parlamento”, un’iniziativa indi- pendente, composta da un gruppo di ricercatori, scienziati e giornalisti, che ha «l’obiettivo di promuovere la creazione di un ufficio permanente e politicamente imparziale che fornisca consulenza scientifica e tecnologica d’eccellenza al Parlamento Italiano, affinché i nostri rappresentanti politici possano formulare proposte di legge informate e prendere decisioni pubbliche consapevoli». Parte dei promotori provengono dal “Gruppo 2003” costituito nell’estate del 2003 che annovera gli scienziati e i ricercatori italiani più citati al mondo, e che aveva tra i sui scopi principali la costituzione di una Agenzia Nazionale per la Ricerca, essendo l’Italia l’unico tra i grandi Paesi europei ad esserne privo. Il Governo Conte nella legge di bilancio del dicembre 2019 la istituisce allo scopo di coordinare i finanziamenti alla ricerca su scala nazionale. Prima di passare all’ultima soluzione rappresentata dall’associazionismo, è necessario ricordare una sorta di corpo intermedio tra un ufficio di consulenza tecnico istituzionale e le libere associazioni di scienziati e cittadini. Tra queste vanno menzionate in Italia tre rilevanti iniziative. L’Associazione Luca Coscioni per la libertà di cura e di ricerca scientifica, nata nel 2002 e affiliata al Partito Radicale, si è forte- mente impegnata (ottenendo diversi successi) sulla fecondazione assistita, sul fine vita, nonché a cancellare la legge sulla procreazione medicalmente assistita che vietava la ricerca sulle cellule staminali embrionali. La Fondazione Umberto Veronesi, nata nel 2003 su iniziativa dell’omonimo oncologo e di altri scienziati e intellettuali di fama internazionale con lo scopo di promuovere la ricerca scientifica di eccellenza e progetti di prevenzione, educazione alla salute e divulgazione della scienza. Infine v’è il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), fondato nel 1989 inizialmente per promuovere l’indagine scientifica e critica sui fenomeni para- normali, e che oggi è focalizzato sulle pseudoscienze. Si tratta di un’organizzazione educativa senza fini di lucro, fondata dal giornalista scientifico Piero Angela, fortemente impegnata nella divulgazione e demistificazione (debunking) della disinformazione e delle fake news, che opera in un ambito non esclusivamente scientifico. La quarta e ultima soluzione è invece offerta da una forma proattiva di libero associazionismo degli scienziati. In Italia negli ultimi due anni ne sono nate due di rilevanza nazionale.

Il gruppo informale SETA (Scienze E Tecnologie per l’Agricoltura) che si propone come obiettivo di sviluppare una riflessione sul tema dell’innova- zione in agricoltura. L’Italia è infatti un Paese che ha nel cibo uno dei suoi principali market asset, come ha ben dimostrato Expo 2015, ma dove pur- troppo sono vietate — unico dei gran- di Paesi EU — le sperimentazioni (a puri fini conoscitivi) degli Ogm in campo aperto e dove è largamente diffusa l’erronea percezione che le coltivazioni bio siano più nutritive, più salutari e ambientalmente meno impattanti (consumo di suolo, acqua, pesticidi e carburante) di quelle convenzionali e integrate (che contemplano anche l’ingegneria genetica vegetale). Il SETA ha quindi tra i suoi scopi quello di «cambiare la percezione dell’attività agricola da parte dell’opinione pubblica, oggi troppo spesso distorta, improntata al sospetto e alla sfiducia, da superare in virtù del fatto che gli agricoltori sono in grandissima parte imprenditori che utilizzano la tecnologia in modo responsabile e nel pieno rispetto delle leggi offrendo prodotti agricoli sicuri e a prezzi contenuti». L’altro gruppo di scienziati che si sono costituiti per dare una risposta al crescente sentimento antiscientista è il Patto Trasversale per la Scienza (PTS), di cui gli autori del presente te- sto sono soci fondatori. L’idea ispiratrice del PTS è il concetto di ‘trasversalità’ dell’attivismo pro-scienza nei suoi rapporti col mondo della politica e con altri interlocutori di rilievo, come media, scuole, magistratura, pubblico, etc. Semplificando, ci sono due approcci alternativi di sostenere la scienza attraverso la politica. Il primo modo sta nel sostenere o comunque stabilire un dialogo preferenziale con i partiti che — storicamente e culturalmente — hanno fatto di più per la scienza, mentre si prendono le di- stanze dai partiti che la scienza l’han- no spesso mistificata e sminuita, o addirittura si sono prestati ad essere cassa di risonanza per fenomeni di vera e propria pseudoscienza. Il secondo approccio, quello che definisce il modus operandi del PTS, è di lavorare senza pregiudizi ideologici o culturali con tutti i partiti per spin- gerli il più possibile verso posizioni pro-scienza. Questo approccio è ispirato dall’associazione americana pro-scienza Research!America6 , la cui fondatrice e presidente, Mary Woolley, ha dato il suo endorsement ufficiale al PTS al momento della sua fondazione come associazione. L’esperienza ormai più che trentennale di Research!America è di grande successo, come testimoniato, per esempio dal grande supporto politico bi-partisan dato dal congresso USA ad iniziative come il “21st Century Cures Act”, che a fine 2016 ha permesso lo stanziamento addizionale di diversi miliardi di dollari per la ricerca su malattie come il cancro, l’Alzheimer e le malattie infettive emergenti.

Va osservato che questo approccio trasversale può essere percepito come ‘ingiusto’ dai partiti pro-scienza («ma come, collaborate con chi fino a ieri era contro la scienza?»), e questa percezione è stata effettivamente manifestata sia in America sia in Italia. Nella nostra esperienza la migliora risposta a questo atteggiamento consiste nello spiegare esattamente e con pazienza cosa è l’attivismo trasversale pro-scienza e quali sono i motivi ispiratori di questo attivismo, in particolare il ruolo straordinario che ha avuto la scienza nel migliorare la qualità della vita umana e la necessità di proteggere la scienza come valore universale dell’umanità al di là di ogni appartenenza politica o partitica. L’iniziativa del PTS, partita nel giugno 2019, ha già raccolto numerosissime adesioni e sottoscrizioni a tutti i livelli, e sembra avviata ad avere un ruolo cruciale nell’assicurare che le principali azioni legislative ed esecutive delle istituzioni politiche italiane siano basate sui dati dell’evidenza scientifica disponibile. Vorremmo concludere con le parole di un interessante articolo sullo stato dell’arte della comunicazione della scienza nell’attuale società post-fattuale, apparso alcuni mesi fa sulla nota rivista PNAS: «A questo punto, probabilmente il meglio che può essere fatto è che gli scienziati e le loro associazioni scientifiche anticipino campagne di disinformazione e disinformazione e sviluppino in modo proattivo strategie online e piattaforme Internet per contrastarle quando queste si verificano. […] con una campagna di confutazione basata su informazioni accurate tramite Facebook, Twitter e altre forme di social media. Ma naturalmente, questo è molto più facile a dirsi che a farsi… (Lyengar et al., 2019).»

Autori

Grignolio A., Silvestri G., “La scienza in politica. Il Patto Trasversale per la Scienza in un contesto globale”. The Future of Science and Ethics, 4, 2019, pp. 18-25.

Bibliografia
Beccaria G., Grignolio A. (2014). Scienza & Democrazia. Come la ricerca demolisce i nostri pregiudizi e può migliorarci la vita. Edizione La Stampa/40k.
Bennett, W., Lance, & Livingston, S. (2018). The Disinformation Order: Disruptive Communication and the Decline of Democratic Institutions. European Journal of Communication, 33 (2): 122-39. https://doi.org/10.1177/0267323118760317
Cairney, P. (2016). The Politics of Evidence-Based Policy Making. Palgrave Macmillan.
Corbellini, G., Grignolio, A. (2018). L’Europa come antidoto contro l’antiscienza. In: Europa. Le sfide della scienza (pp. 405-412). Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani.
D’Amato, I. (2017). Dossier Hamer : inchiesta su una tragica promessa di cura contro il cancro. Mondadori.
Grignolio, A. (2018). Vaccines: Are They Worth a Shot? Springer.
Halpern, D. (2019). Inside the Nudge Unit : How Small Changes Can Make a Big Difference. W.H. Allen.
Kahan, D. M., Jenkins-Smith, H. & Braman, D. (2011). Cultural Cognition of Scientific Consensus. Journal of Risk Research, 14 (2), 147-74. https://doi.org/10.1080/13669877.2010.511246
Levitan, D. (2017). Not a Scientist How Politicians Mistake, Misrepresent and Utterly Mangle Science. W.W. Norton & Company.
Lyengar, S., Massey, D. S. (2019). Scientific Communication in a Post-Truth Society. Proceedings of the National Academy of Sciences, 116 (16), 7656-7661; https://doi.org/10.1073/pnas.1805868115
Majcen, S. (2016). Evidence Based Policy Making in the European Union: The Role of the Scientific Community. Environ Sci Pollut Res Int, 24(9):7869-7871. doi: 10.1007/s11356-016-6247-7.
Nichols, T. (2017). The Death of Expertise. The Campaign against Established Knowledge and Why It Matters. Oxford University Press.
Sabelli, C. (2 Aprile 2019). Parte l’appello Scienza in Parlamento. Scienza in rete. https://www.scienzainrete.it/articolo/parte-lappello-scienza-parlamento/chiara-sabelli/2019-04-02
Thaler, R H., Cass R. S. (2008). Nudge: Improving Decisions About Health, Wealth, and Happiness. Yale University Press.

Riferimenti

1. https://www.nature.com/collections/sssmbvxmws

2. http://www.scientificamerican.com/ report/in-defense-of-science/

3. L’emittente televisiva britannica Bbc nel luglio 2014 ha redatto un importante e innovativo documento per regolamentare la selezione di persone addette a trattare temi scientifici o di sanità pubblica nei dibattiti delle trasmissioni, con il precipuo scopo di eliminare la presenza di ciarlatani dalla tv di stato (http://downloads.bbc.co.uk/bbctrust/assets/files/pdf/our_work/science_impartiality/trust_conclusions.pdf).

4. http://coalition4evidence.org/

5. https://www.odi.org/features/roma/ home

6. https://www.researchamerica.org/