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Investire in ricerca per curare il Paese

terapie a confronto: approccio oligarchico o democratico

ll dibattito sull’impiego dei fondi del PNRR per la ricerca scientifica, si fa sempre più ampio e molte sono le proposte presentate al Governo. Dopo la nostra lettera di appoggio alla Senatrice Cattaneo, pubblichiamo questo articolo redatto da molti dei nostri soci.

Continua il dibattito sul tema della ricerca e sui criteri di valutazione per la distribuzione delle risorse. Il piano Amaldi, sottoscritto da eminenti scienziati, indica la strada per un’inversione di rotta e propone al governo una svolta ambiziosa per rendere competitivo il nostro Paese nel panorama internazionale: “investire in ricerca pubblica e capitale umano e sostenere la ricerca di base, fonte primaria dell’innovazione nelle società avanzate”.

Qualche settimana fa, Tito Boeri e Roberto Perotti hanno voluto puntualizzare quello che gli scienziati che hanno sottoscritto l’appello di Amaldi hanno omesso di indicare: “Come far sì che questi maggiori finanziamenti migliorino effettivamente la qualità della ricerca?” Il ragionamento di Boeri e Perotti, esplicitato nel titolo dell’articolo, “Basta contributi a pioggia, i fondi vanno concentrati sulle università migliori”, ha stimolato un acceso dibattito nella comunità scientifica che vive le difficoltà di un sistema sottofinanziato e, nonostante tutto, da nord a sud, contribuisce a rendere il sistema della ricerca un punto di riferimento per lo sviluppo sociale, culturale e scientifico del Paese. Quella comunità scientifica che conosce molto bene il principio che le risorse debbano essere distribuite in base a criteri di merito e si oppone all’idea che istituzioni e fondazioni private, senza alcuna competizione, possano beneficiare a vita di soldi pubblici.

Una tale sperequazione nei criteri di distribuzione delle risorse creerebbe uno scollamento sociale e culturale, perché limiterebbe il fondamentale principio costituzionale che sancisce l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, senza il macigno di ostacoli di ordine economico. Una preoccupazione, questa, espressa recentemente, in un documento-appello indirizzato al Presidente Draghi, da un gruppo di giuristi universitari e autorevoli costituzionalisti.

Vorremmo quindi contribuire al dibattito con una proposta, che parte dal piano Amaldi.

Un Paese, per essere pronto alle nuove sfide, dovrebbe:

1) garantire finanziamenti pubblici per la ricerca di base, fondati su un accesso competitivo alle risorse, humus essenziale per far emergere eccellenze e talenti;

2) potenziare e rinnovare le infrastrutture esistenti, tenendo conto che, come dimostrano la storia passata e ancor più quella recente, la loro fruibilità in ogni campo è tanto maggiore quanto più ampia e diffusa è la rete di laboratori e centri che vi afferiscono;

3) rimuovere il macigno di una burocrazia ipertrofica che spesso frena le potenzialità di ricerca e sviluppo nelle università, mentre fondazioni private che godono di finanziamenti pubblici sono esentate da lacci, lacciuoli e freni burocratici (in altre parole, evitare che la ricerca italiana viaggi a due diverse velocità);

4) dotare il Ministero della Università e della Ricerca (MUR) di un ufficio ad hoc, permanente, composto da figure qualificate, non affiliate a strutture di ricerca italiane, costantemente aggiornate sulle complesse procedure di valutazione, istruito per gestire la delicata fase di erogazione del denaro pubblico;

5) adottare misure di detassazione che prevedano l’abolizione dell’IVA su reagenti e apparecchiature a favore di università e centri di ricerca senza scopo di lucro.

Il PNRR è un’occasione unica per rimettere l’Università e tutto il comparto della ricerca di base al centro delle politiche del nostro Paese. Bisogna tuttavia evitare di commettere errori, già avvenuti nel passato, che costringono a complesse e difficili modifiche in corso. Proporre, come si evince dalla bozza del PNRR, sette (perché sette?) iniziali nuovi poli di innovazione locale/territoriale distribuiti in diverse città (con quale criterio?) incaricati della erogazione alle imprese di servizi tecnologici avanzati (quali? Con quale obiettivo?) e servizi innovativi qualificanti di trasferimento tecnologico (quali? In che misura? Con quali regole?) senza un preciso razionale, senza una definizione chiara degli obiettivi, senza verificare se quelle innovazioni siano in realtà già presenti nelle Università o negli Enti di ricerca esistenti, è l’ennesimo esercizio della politica di creare nuovi contenitori che toglierebbero valore al comparto della ricerca già esistente, senza probabilmente raggiungere lo scopo del PNRR.

Antonio Musarò, Alexandra Battaglia Mayer e Roberto Caminiti (La Sapienza Università di Roma)

Gaetano Di Chiara e Micaela Morelli (Università di Cagliari)

Ugo Borrello e Marco Onorati (Università di Pisa)

Michele Simonato (Università di Ferrara e Vita Salute San Raffaele, Milano)

Marco Tamietto (Università di Torino)

Paolo Pinton (Università di Ferrara)

Luciano Conti (Università di Trento)

Monica Mattioli Belmonte (Università Politecnica delle Marche)

Girolamo Calò e Michelangelo Cordenonsi (Università di Padova)

Gianpaolo Papaccio (Università di Napoli Vanvitelli)

Maria Grano (Università di Bari)

Daniele Bani e Elisabetta Cerbai (Università di Firenze)

Roberto Ciccocioppo (Università di Camerino)

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