I ricercatori e clinici del PTS (Patto per la Scienza) hanno deciso di dotarsi di un codice di autodisciplina nella comunicazione scientifica per far fronte all’infodemia in corso.
Premessa
La pandemia di COVID-19, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, ha avuto un impatto su molti aspetti della nostra società tra cui un’improvvisa ribalta di clinici e scienziati nella scena mediatica, soprattutto nei talk show televisivi in “prime time”. Ciò ha contribuito a determinare una “infodemia” nel sistema mediatico italiano. Le cause di questa infodemia, che sovente ha creato incertezza, difficoltà di comprensione, financo paura nella popolazione, cui le informazioni erano e sono rivolte, sono molteplici e multifattoriali. In un paese dove la cultura scientifica non è mai stata seriamente integrata nel sistema scolastico comunicare e interpretare i dati scientifici in un momento di emergenza sanitaria al fine non solo d’informare, ma anche di trasmettere elementi di sicurezza che spesso la ricerca scientifica non può dare è uno sforzo delicato e complesso che può anche avere risultati controproducenti.
Come PTS, libera associazione di clinici, ricercatori, educatori e liberi cittadini, non possiamo far lievitare improvvisamente la cultura scientifica media della popolazione, né abbiamo strumenti specifici per agire su chi fa comunicazione e informazione o sulla loro deontologia. Possiamo, tuttavia, darci regole chiare e impegnarci a seguirle, auspicando che vengano condivise e accolte anche da chi non fa parte del PTS.
La comunicazione scientifica è cosa seria e difficile, sempre in equilibrio tra tecnicismo incomprensibile ai più, banalizzazione di concetti e risultati non sempre semplici da divulgare e suscettibili di interpretazioni diverse. Se questi principi sono sempre validi, in tempo di emergenze quali la pandemia da SARS-CoV-2 in atto riteniamo che sia indispensabile che chiunque di noi si esponga alla comunicazione generalista (al grande pubblico dei cittadini) autodisciplini i propri interventi e cerchi di limitarsi a discutere argomenti di propria competenza.
Per questi motivi, il PTS propone a tutti i clinici e ricercatori questo decalogo di autodisciplina nella comunicazione scientifica, sia a terzi, sia sui mezzi di comunicazione propri (social, siti, uffici stampa, etc).
Decalogo
- Dichiariamo in premessa possibili conflitti di interesse, qualora presenti.
- Qualifichiamoci sempre per le nostre competenze. Le qualifiche di “virologo”, “immunologo”, “infettivologo” ecc. vengono attribuite sovente in modo casuale, spesso perché il pubblico laico, compresi i giornalisti, non ne conoscono le differenze. Esigiamo di essere qualificati per quello che siamo: se non lo fa chi c’intervista dichiariamolo noi a premessa di quanto andremo a commentare.
- Chiediamo di conoscere in anticipo gli argomenti su cui saremo intervistati, rifiutandoci di commentare aspetti su cui non abbiamo competenze. Alternativamente, separiamo chiaramente le risposte che daremo per competenza diretta da quelle relative a competenze generali, di buon senso o in cui riportiamo l’opinione di colleghi.
- Usiamo un linguaggio sobrio e possibilmente semplice, ma evitando di banalizzare. Evitiamo un eccesso di superlativi, previsioni/predizioni iperboliche, l’uso improprio di termini a effetto come “eccezionale scoperta italiana” ecc.
- Separiamo nettamente la divulgazione di risultati scientifici dalla nostra interpretazione personale.
- Rigettiamo la logica dell’”opinione bilanciata”. Il giornalismo, soprattutto nei talk show, si alimenta spesso della compresenza di opinioni opposte su un determinato argomento nel nome dell’audience. Accettiamo il confronto solo con interlocutori qualificati e non con chi cerca semplicemente la polemica all’insegna dell’audience.
- Rigettiamo le domande intrinsecamente fuorvianti, che contengono la risposta/tesi già nella domanda. Come spiegò Anthony Fauci negli anni ’90, se un giornalista ti chiede se stai ancora picchiando tua moglie è evidente che qualsiasi risposta sarebbe sbagliata…
- Impegniamoci ad aggiornare le nostre risposte e i nostri interventi alla luce della migliore letteratura scientifica. Quando possibile verifichiamo il contenuto dei nostri interventi con altri colleghi competenti prima di diffonderli al grande pubblico.
- Rifiutiamo di essere strumentalizzati ai fini di polemiche politiche.
- Ammettiamo pubblicamente eventuali errori di comunicazione o d’interpretazione. Nel mondo della ricerca scientifica vi è una costante revisione delle relative certezze o ipotesi dominanti. Questo principio, tuttavia, non si applica al “senso comune” che coglie solo le apparenti contraddizioni. Può anche capitare di sbagliare, di non aver presente alcune conoscenze rilevanti per il tema in discussione. In questo caso, non servono autoflagellazioni pubbliche, basta semplicemente correggere le proprie affermazioni sulla base dei nuovi dati o ammettere di aver omesso o male interpretato un risultato. Non sentiamoci in imbarazzo nel rispondere “non lo so”.
Conclusione
Infine – e non inseriamo questo punto nel decalogo perché si tratta di un principio morale ed etico, che dovrebbe già essere il faro dell’attività clinica e scientifica di tutti noi, ma al quale vogliamo dare particolare enfasi in questo momento– non diamo speranze ai cittadini che non provengano da consolidati risultati scientifici. Non parliamo di “cura” o di “scoperta fondamentale” di fronte a studi clinici osservazionali (cioè non controllati rispetto ad un placebo o a quello che è considerato lo standard terapeutico) e, più in generale, non parliamo di cura o di “scoperta fondamentale” se non abbiamo in mano evidenze scientificamente solide, condivise e controllate.