COVID-19: RITORNO ALLA NORMALITA’

di Guido Silvestri

PREMESSA

Questo lungo post sul “ritorno alla normalità”, a cui aderiscono diversi amici e colleghi, è il messaggio di COMMIATO per le nostre PILLOLE DI OTTIMISMO. Una rubrica che ha avuto molto successo, e che è giusto finisca insieme a questa prima fase di COVID-19. Tuttavia, viste le moltissime richieste di “continuare”, sto pensando a come non perdere il contatto che si è sviluppato con tante persone che hanno dato fiducia all’OTTIMISMO che viene dalla CONOSCENZA. Per questo aspetto le vostre idee e suggerimenti alla mia email di lavoro (gsilves@emory.edu).

INTRODUZIONE

Questo pezzo finale, di cui ho soppesato a lungo le parole, una per una, penso si rivelerà un “sasso nello stagno”, per il quale temo che non mi verranno risparmiati gli attacchi, presumo anche personali. Sono riflessioni mature che si basano non solo sulla mia analisi “competente” della pandemia (perché nessuno può accusarmi di non capire niente di virus 🙂 ), ma anche sulla mia esperienza personale — di medico, di scienziato, e di padre. E sono giunto alla conclusione, ponderata, che ho l’obbligo morale di condividere queste riflessioni con chi mi segue.Un’altra doverosa premessa è che questo post rappresenta delle mie opinioni e non dei fatti – opinioni, quindi, sulle quali si può e si deve discutere. Però ci tengo a sottolineare che non sono opinioni “qualunque”, ma vengono da un osservatorio privilegiato: come virologo (che è la disciplina per cui sono noto), ma anche come medico che ha guidato un dipartimento di un grande policlinico universitario durante la tempesta di COVID-19, e come uno studioso attento dei dati epidemiologici e che ha avuto accesso diretto a molti “big” mondiali del settore.

1. L’ALLEGORIA DELLA BARCA TRA DUE SCOGLI. L’Italia oggi è come una barca che naviga tra due scogli – da un lato il virus e la malattia da esso causata, dall’altra le conseguenze del lockdown, che non solo si fanno sentire a livello economico, ma hanno gravi implicazioni a livello sociale, psicologico ed anche sanitario. La “riapertura” (o meglio, l’allentamento progressivo del lockdown) rappresenta una sterzata necessaria per evitare lo scoglio della crisi economica – ma non si può ignorare che questa sterzata fatalmente ci avvicini allo scoglio del virus. Come ho detto molte volte, ritengo che in questa fase dobbiamo usare quattro principi chiave: MONITORAGGIO (ci dice la distanza dallo scoglio “virale”), FLESSIBILITA’ (per cambiare rapidamente direzione, se necessario), COORDINAZIONE (per manovrare in sinergia tra regioni e tra nazioni), e PREPARAZIONE (a livello sanitario e sociale). Notate che non nomino cose del tipo “uso universale delle mascherine”, “distanziamento sociale”, e tantomeno invoco la distruzione permanente del nostro stile di vita (il cosiddetto “nuovo normale”, definizione che sinceramente mi fa orrore). Infatti in questo articolo sosterrò la tesi secondo cui, in questa fase della pandemia, è assolutamente necessario dare una brusca sterzata lontano dallo scoglio dei disastri economici, sociali, psicologici e sanitari causati dal lockdown, anche a costo di avvicinarsi allo “scoglio virus”. Ma state con me, leggete questo post fino in fondo, e adesso partiamo dal principio, cioè dall’arrivo di COVID-19 e dalla scelta del “lockdown”.

2. ANALISI DI UNA CHIUSURA L’arrivo di COVID-19 è stato uno shock a livello non solo sanitario ma anche sociale e culturale. Ci sono poche cose nel mondo che terrorizzano più di un virus nuovo che si trasmette facilmente da una persona all’altra, che causa una malattia sconosciuta, spesso mortale, per la quale non c’è né una cura né un vaccino. L’arrivo del ciclone di COVID-19 ha creato paura e sgomento non solo tra la popolazione ma anche tra gli esperti (medici, infermieri, epidemiologi, biologi, etc). La crescita esponenziale del numero dei nuovi contagi, dei ricoveri ospedalieri ed in terapia intensiva, e poi del numero dei morti, che avveniva in un contesto di sostanziale impotenza e impreparazione dei sanitari, ha creato un devastante fattore di amplificazione del danno: il sovraccarico ospedaliero. Ricordo che proprio il sovraccarico ospedaliero – sperimentato in forme simili a Wuhan a gennaio, in Nord Italia a marzo, e poi a New York tra fine marzo e inizio aprile – è stato aggravato dalla frequente infezione degli operatori sanitari, ed ha causato livelli ancora non ben chiari di mortalità secondaria, cioè non dovuta direttamente da COVID-19 (esempio classico: il paziente con infarto che non riceve adeguato trattamento nell’ospedale intasato).In quel contesto così drammatico ed in situazioni come quella italiana, il “lockdown” era l’unica cosa che si potesse e si dovesse fare. Ma due mesi dopo, con una messe di nuovi dati a disposizione – a livello virologico, immunologico, medico ed epidemiologico – abbiamo il dovere di chiederci se la situazione attuale richieda ancora un tipo di intervento così potenzialmente distruttivo della nostra società. Soprattutto, dobbiamo chiederci se le nostre scelte attuali in termini di “lockdown” siano condizionate più del necessario dalla traumatica esperienza del marzo scorso. Perché adesso (fine maggio 2020) sappiamo molto, anzi moltissimo di più. Per esempio: sappiamo molto meglio come gestire questi malati; conosciamo tanti aspetti della trasmissione e della storia naturale dell’infezione; abbiamo terapie antivirali ed anti-infiammatorie di una certa efficacia, per non parlare del plasma convalescente e del plasma exchange; stiamo sviluppando vaccini molto promettenti; e molti ipotizzano anche che l’infezione si stia attenuando dal punto di vista della patogenicità. Più di ogni altra cosa, si deve sottolineare come, nel caso di una eventuale seconda ondata di COVID-19, non ci troveremmo più in una situazione di simile ignoranza ed impotenza di fronte al virus ed alla malattia, ed infatti saremmo molto più preparati a gestire la situazione, in un modo tale che un ritorno del virus sarebbe associato con tutta probabilità a livelli minori di morbidità e mortalità. Questo senza nemmeno contare il fatto che la prima “ondata” di COVID-19 ha contribuito a creare un certo livello di immunità tra la popolazione. Di fronte a questo cambiamento di scenario ci si deve chiedere: fino a che punto gli interventi draconiani delle scorse settimane sarebbero necessari di fronte ad un nuovo incremento dei casi?Ed è anche doveroso chiedersi: quanto ha veramente “funzionato” la chiusura? La risposta a questa domanda, che ci piaccia o no, è che non lo sappiamo. Noi non sappiamo cosa sarebbe successo se avessimo fatto un “lockdown” meno serrato – come in Svezia, oppure in Florida, oppure ancora nella mia Georgia, dove vivo e lavoro, e dove abbiamo avuto, con un “lockdown” all’acqua di rose, meno di un decimo della mortalità pro-capite lombarda. Come non sapremo cosa sarebbe successo se avessimo allentato il lockdown prima del 4 maggio, o se lo avessimo allentato del tutto. Infatti, si tratta del classico esperimento senza controllo, e quindi si possono solo fare modelli e previsioni, che alla fine lasciano il tempo che trovano. Quello che però mi stupisce osservare, in questo frangente, è come a fronte di tanti modelli sui danni del virus (ed in particolare i tanto celebrati modelli del “worst case scenario” di cui certi epidemiologi sono ligi e zelanti sostenitori) si vedono circolare ben pochi modelli sui danni potenziali del lockdown. Soprattutto, sembra che i “worst case scenario” spariscano dal discorso quanto si parla sugli effetti negativi che il prolungato lockdown (e con esso il prolungato snaturamento della nostra vita sociale ed affettiva) avranno sulla nostra salute psicologica, e su quella dei nostri figli e nipoti. Qual è il “worst case scenario” in termini di suicidi di persone che hanno perso il lavoro e con questo ogni speranza di mantenere la famiglia? E di violenze domestiche causate dal prolungato isolamento? E di depressione o altre malattie psichiatriche causate dai fallimenti e dalle bancarotte? E di disturbi cognitivi e della sfera affettiva e relazionale nei bambini e ragazzi a cui viene sottratta la scuola per mesi e mesi? In realtà questi studi esistono, ed i risultati sono molto preoccupanti… ma sono quasi sempre ignorati dai media e dai decisori politici.A mio avviso questo è un esempio di distorsione cognitiva legata alla presenza di una “narrazione dominante” su COVID-19 centrata sui danni del virus (e non su quelli del lockdown). Ma facciamo un passo alla volta.

3. LO SCOGLIO DEL VIRUS Come abbiamo scritto sopra, l’arrivo di COVID-19 ha causato un grande shock dal punto di vista sanitario, e non c’ è dubbio che l’infezione abbia già causato a livello globale oltre 318,000 morti nei primi 4.5 mesi del 2020. Se questa cifra è indubbiamente alta, è comunque importante metterla nella prospettiva del fatto che, nello stesso periodo, AIDS, tubercolosi e malaria hanno creato molti più morti (e moltissimi più anni di vita persi). E’ anche importante notare come la distribuzione dei morti da COVID-19 sia stata estremamente irregolare con poche zone ad alta mortalità (Wuhan; Lombardia, nord Emilia-Romagna e Piemonte orientale; metro New York, Detroit e Boston ; Madrid e Barcelone; Ile de France; Guayaquil) e moltissime zone a bassa mortalità, anche negli stessi paesi (Italia meridionale; Florida e sud degli USA; Andalusia; sud-ovest Francia; Quito). I motivi alla base di queste differenze non sono affatto chiari, e collegarli unicamente all’effetto della chiusura è assolutamente arbitrario. Per quale motivo, per esempio, a oltre due mesi dalla “chiusura” ci sono ancora molti più nuovi casi in Lombardia che nell’intera Italia Meridionale? Perché la Svezia, spesso additata come pietra dello scandalo, ha tuttora una mortalità per 100.000 abitanti inferiore a quella del tanto elogiato Veneto (36.15 vs 37.14)? Perché uno stato come la Florida, che praticamente non ha mai “chiuso”, sta andando verso la fine della pandemia con una mortalità per 100.000 abitanti che è poco più di un decimo di New York, dove si è praticato un lockdown rigidissimo?Al di là di queste inconsistenze, è importante ricordare come l’evidenza attualmente disponibile indichi che: (i) tra l’80% e il 90% dei contagi accertati avviene tra degenti molto anziani nelle case di riposo e negli ospedali, medici e infermieri e i loro familiari – analogamente, la mortalità da COVID-19 ha coinvolto in gran parte persone molto anziane con età media 79 anni (mediana 80), già ricoverate in strutture sanitarie od ospedaliere e che per l’80% avevano tre o più patologie gravi preesistenti [1-2]; (ii) le infezioni in forma severa sembrano collegate a valori elevati di inoculo virale in ambienti chiusi, dove sono presenti persone malate e dove il contatto con i sani non è episodico, ma ripetuto più volte per una durata di almeno 14 minuti [3]. Come segnalato al punto #2 qui sopra, la mortalità da COVID-19 in questa prima ondata ha risentito in modo drammatico della nostra “ignoranza” della malattia e del fenomeno del sovraccarico ospedaliero. A questo punto le vere domande da farsi sono: qual è stata finora la letalità effettiva di COVID-19 e quale sarebbe se dovessimo vivere una seconda ondata stagionale nell’inverno 2020-2021? In realtà la risposta all prima domanda non la sappiamo, perché tuttora non conosciamo il numero esatto di persone infettate da SARS-CoV-2. Molte stime della letalità sono tra 1% e 3%, ma rimangono stime. Quello che invece è lecito presumere è che la letalità di una eventuale “seconda ondata” di COVID-19 sarà sostanzialmente più bassa in seguito a: (i) maggiore capacità di tracciare ed isolare i contatti; (ii) aumentate possibilità di trattare i malati in modo più precoce ed efficace; (iii) migliore preparazione a livello ospedaliero (e conseguente assenza di “sovraccarico”); (iv) presenza di un certo livello di immunità nella popolazione. Di quanto sarà più bassa? Difficile dire, ma se verrà confermato che il solo uso del Remdesivir reduce la mortalità di circa il 30% [4], non è difficile immaginare un taglio secco della mortalità del 60-70% anche senza tener conto dell’introduzione di nuove terapie, tra cui quella molto promettente del “plasma convalescente”. Continuando in questo calcolo da “back of the envelope” (che in realtà non è molto diverso da quelli che fanno gli epidemiologi), si potrebbe supporre che se anche riaprissimo tutto come nel febbraio 2020 e decidessimo di richiudere solo nel bel mezzo del ritorno della pandemia (di nuovo, come è stato fatto nel marzo scorso), il numero dei morti di questa “seconda ondata” sarebbe intorno a 10.000-15.000. Un numero alto, certamente, ma non altissimo, calcolando che in Italia muoiono circa 700.000 persone all’anno – e questo per me è un “worst case scenario”, perché ho molta fiducia nella nostra possibilità di sviluppare nuove e più efficaci terapie.

4. LO SCOGLIO DELLA CHIUSURA Come detto sopra, mentre dei rischi di SARS-CoV-2 e COVID-19 si parla in modo incessante e con una straordinaria attenzione agli scenari peggiori, si parla piuttosto poco dei danni della chiusura. A me qui preme sottolineare non soltanto i danni economici, che pure sono ingentissimi, ma quelli a livello strettamente socio-sanitario. Perché solo un atteggiamento miope ed irresponsabile può ignorare il fatto che un paese che si impoverisce, possibilmente fino ad arrivare sull’orlo della bancarotta, avrebbe enormi difficoltà a provvedere un servizio sanitario di qualità. Ed infatti già adesso tra i danni “collaterali” di COVID-19 c’è la peggior gestione sanitaria di molte altre malattie [5]. Ancora più sottili, ma possibilmente più devastanti, sono i danni legati alle difficoltà psicologiche causate dall’isolamento di per sé, dalla crisi finanziaria, e dal peggioramento del servizio sanitario. Tra queste mi preoccupano particolarmente quelle causate a bambini e adolescenti, la cui vita sociale è stata completamente sconvolta esponendo la fragilità emotiva e cognitiva tipica dell’età dello sviluppo [6]. Per non parlare dei limiti dell’educazione scolastica a distanza per i bambini delle famiglie senza computer o senza internet, che non può non introdurre un ulteriore, devastante elemento di discriminazione verso i meno abbienti. Detto tutto questo, il danno più pervasivo e devastante non solo di una prolungata chiusura ma anche di una riapertura perennemente a metà, in un mondo fatto di mascherine, guanti, muri di plexiglas, distanziamento sociale esasperato, senza più potersi stringere la mano o abbracciarsi, senza capire se una persona sta sorridendo o è imbronciata, senza poter condividere un piatto di pasta o una partita di calcio o una sala da ballo, mentre ai bambini viene negato perfino il piacere di giocare insieme, è quello di snaturare in un modo profondamente assurdo e spaventoso la nostra vera essenza di animali sociali. Come ha scritto un lettore di questa pagina tempo fa, facendomi alquanto riflettere, sarebbe questa la vera vittoria di un virus che altrimenti è destinato a perdere la guerra contro la scienza. In questo la metafora di John Iohannidis sarebbe assolutamente appropriata: faremmo come un elefante che infastidito da una mosca scappa via e cade in un precipizio [7].

5. L’ALLEGORIA DEI DUE SCOGLI – DOVE SIAMO ADESSO? Tornando alla nostra allegoria dei due scogli, la domanda che, a mio avviso, bisogna porsi è la seguente: a che distanza siamo dai due scogli, quello del virus e quello della catastrofe sociale? Come probabilmente avrete intuito leggendo i punti precedenti, la mia opinione (informata, anzi, informatissima) è che siamo ormai abbastanza lontani dalla scoglio del virus, mentre ci siamo pericolosamente avvicinati a quello della catastrofe sociale. Per come la vedo io, sul versante del virus ci siamo incartati in una narrativa di “worst-case scenarios” epidemiologici spesso con seri problemi metodologici se non addirittura basati su calcoli sbagliati [8, 9]. Una narrativa che ci porta alla ricerca disperata del tanto agognato quanto inarrivabile “rischio zero” nei confronti del virus mentre ignoriamo rischi molto più gravi ed immediati nel versante della chiusura. Strumentale a questa narrativa è il cosiddetto catastrofismo mediatico (“dacci oggi il NOSTRO PANICO QUOTIDIANO”, ricordate?), quasi sempre basato su notizie esagerate e/o male interpretate, se non palesemente false. In base a queste notizie il virus è assunto ad uno status di male quasi metafisico, diabolico, in cui si paventa ogni possibilità terribile, tipo quello che non esiste immunità, che i giovani in realtà muoiono a frotte, che il virus si trasmetta anche nell’aria, all’aperto, ovunque, e che non avremo mai un vaccino perché il virus muta sempre, e naturalmente diventa sempre più cattivo. Allo stesso modo vengono ignorate o combattute ovvietà virologiche come la stagionalità dei Coronavirus, la loro suscettibiltà alle alte temperature ambientale, la sostanziale stabilità genetica di SARS-CoV-2 e l’evidenza di robusta immunità protettiva (ora dimostrata in modo formale nelle scimmie). Si arriva fino al punto di tacciare di “pseudo-scienza” chi osa sostenere una possibile attenuazione del virus, come appare ormai piuttosto evidente dal punto di vista clinico, solo perché non ci sarebbe abbastanza “evidenza scientifica”. Salvo poi che questo ardente desiderio di evidenza scientifica evapora istantaneamente quando si tratta di dipingere scenari terrificanti per l’Africa, il Sud-Est Asiatico, o l’America Latina – tutti scenari che tranne poche e limitate eccezioni non si sono mai verificati. Ed infatti al di sotto del 35esimo parallelo Nord, dove vive oltre il 65% della popolazione mondiale, si sono registrati meno del 15% dei morti da COVID-19. Per non parlare dei paragoni fatti sempre in modo tale da assecondare la narrativa catastrofista – pensiamo d nuovo alla Svezia (10.5 milioni di abitanti, minimo “lockdown”, e 3.679 morti di COVID), che si paragona sempre in negativo a Finlandia e Norvegia, dimenticando che la mortalità pro-capite degli svedesi senza lockdown rimane molto più bassa di quella italiana nonostante i nostri due mesi e passa di chiusura rigidissima [10]. [Nota a margine. A questo catastrofismo a mio avviso fallace ma almeno scientificamente “presentabile” fa da pendant – come classico straw-man – la narrazione cialtrona-negazionista dei vari nanopataccari e del loro entourage demenzial-complottista per cui il virus non esiste ma è stato creato in laboratorio e si cura con l’oscillococcinum. Infatti a sostenere l’importanza di allontanarsi dallo “scoglio chiusura” bisogna non solo essere pronti ad una legittima discussione con quelli per cui siamo sempre e comunque troppo vicini allo “scoglio virus”, ma anche guardarsi alle spalle dal rischio di essere assimilati a certa spazzatura.] Ma perché siamo arrivati a questo punto? Perché ha vinto così clamorosamente la paura dello “scoglio virus” su quella dello “scoglio chiusura”? A mio avviso ci sono tre spiegazioni, o meglio, tre colpevoli. Il primo colpevole è la “politicizzazione” della questione COVID-19, che è stata usata in modo grottescamente strumentale per sostenere un gruppo di potere contro un altro. Credo che su questo punto non ci sia bisogno di elaborare molti pensieri – basti il fatto che, un po’ ovunque, chi sta al governo è costantemente sotto attacco per come sta gestendo la pandemia — e siccome la cosa su cui è più facile attaccare è il numero dei morti per COVID-19 (perché i numeri di cui al punto #4 sono più lenti e difficili da calcolare), si è scatenata, con rare eccezioni, la corsa a chi chiude di più e per più tempo. Il secondo colpevole è l’atteggiamento dei media che – pur con lodevoli eccezioni, come il mio amato Alberto Matano di RAI-UNO – hanno scelto l’atteggiamento “catastrofista” per il motivo più vecchio del mondo. Quello per cui si fanno più lettori ( e più soldi) raccontando di un uomo che ammazza il figlio piuttosto che di mille padri che i loro figli li educano con amore. O, se preferite, per dirla con le parole di un’amica giornalista, la paura vende molto più della tranquillità. Il terzo colpevole – e qui arriveranno “slings and arrows”, non dubitate – è un certo “fenotipo” di epidemiologo/a modellista che è stato portato alla ribalta da questa pandemia e che, non so se per deformazione professionale o per desiderio di visibilità o cos’altro, ha deciso di rappresentare il corso futuro di questa epidemia in un modo profondamente pessimistico (i famosi “worst case scenarios” di cui ho già parlato sopra, e che in passato sono stati quasi sempre smentiti dai fatti, come i famosi 50.000 morti di “mucca pazza” previsti da Neil Ferguson, che invece nella vita reale furono 177 [11]). In realtà quello che mi sorprende negativamente da questo tipo di approccio epidemiologico è il fatto che si ignorino completamente (o quasi) le caratteristiche virologiche di SARS-CoV-2, i progressi nella terapia di COVID-19, la più efficiente prevenzione dei contagi, l’impatto della migliorata preparazione ospedaliera, e via discorrendo. Per non parlare di commenti sulla impossibilità di avere un vaccino per COVID-19 basati su maldestri paragoni con HIV ed influenza –che equivale a sostenere che un bisonte può arrampicarsi sugli alberi perché in fondo è un mammifero tanto quanto uno scoiattolo. Roba da far rizzare i capelli a chiunque capisca un briciolo di virologia molecolare – ma se un ragionamento del genere viene dal CIDRP o dal Imperial College tutti giù a genuflettersi. Aggiungo solo un ultimo commento sulla narrazione catastrofista di certi scienziati. Quando si vedrà, penso piuttosto presto, che il gioco non vale la candela, allora qualche politico italiano si alzerà e dirà: “E’ tutta colpa degli scienziati, noi abbiamo solo seguito i loro consigli”. Beh, io voglio avere la coscienza a posto di averlo detto forte e chiaro, da scienziato e da medico, che su questo approccio pessimista ad oltranza, del “worst case scenario” che non tiene conto di troppe variabili, non sono affatto d’accordo.Ma la parte a mio avviso più illogica ed intellettualmente insostenibile in questa narrativa catastrofista è l’inseguimento del cosiddetto “rischio zero”, che è una chimera alla quale – in ogni altro aspetto della nostra vita – rinunciamo senza alcun dubbio ed ancor meno problemi. Un esempio? Il fatto che, come società, accettiamo tranquillamente che ogni anno in Italia muoiano ~3.500 persone di incidenti stradali ed infatti nessuno per questo si sogna di richiedere lo stop immediato di tutte le automobili. Mettiamo semafori, cinture di sicurezza, patenti… ma accettiamo un certo rischio e andiamo avanti. Un ragionamento simile si potrebbe fare per i morti da incidenti domestici e sul lavoro. Invece nel caso di COVID-19 la narrazione catastrofista ha creato la falsa convinzione che niente sia accettabile all’infuori di questo mitico “rischio zero”. Su questo lascio la parola al mio caro amico Luciano Butti, che è una delle persone più intellettualmente lucide che io abbia mai conosciuto, il quale affronta lo spinoso concetto del “rischio zero” per le scuole: “Occorre poi la consapevolezza che il rischio zero non esiste. Non esiste per medici, infermieri, autisti dei bus, cassieri, addetti alla raccolta rifiuti, molti liberi professionisti, dipendenti pubblici e privati a contatto con il pubblico, lavoratori di aziende strategiche che non hanno mai chiuso (persone non tutte giovani). Bene, anche la scuola è un’azienda strategica e il rischio zero non esiste nemmeno per insegnanti, personale, bambini e genitori. Questo rischio tuttavia per i bambini è assolutamente trascurabile, mentre per tutti può essere molto ridotto investendo sulla scuola in questi mesi. Abbiamo bisogno, anche per sostenere l’economia, di una scuola e di una sanità migliori e che non si fermino. Non di una società iperassistita, paurosa e sempre servilmente in attesa di favori da parte del potere.”

6. COSA POSSIAMO FARE PER EVITARE LO “SCOGLIO VIRUS” SENZA DISTRUGGERE IL NOSTRO MODO DI VIVERE? Questa è, alla fine di questo lungo e spero non troppo noioso monologo, la domanda da cento milioni di euro. Allora, tornando ancora alla nostra allegoria della barca, provo a suggerire una modesta proposta, sotto forma di ricetta in tre punti molto semplici, da attuarsi mentre scegliamo di tornare a navigare più vicino allo “scoglio virus” – in altre parole, mentre torniamo a fare la nostra vita normale (e quando dico normale, intendo normale per davvero, proprio come nel maggio 2019):

A. NAVIGHIAMO USANDO UN RADAR MOLTO MIGLIORE. Qui si torna, molto semplicemente, al concetto di MONITORAGGIO E SORVEGLIANZA EPIDEMIOLOGICA, di cui ho parlato molte volte in passato, e che è quello che fanno gli epidemiologi veri, a partire dal grande Pier Luigi Lopalco. Si tratta in altre parole di usare in modo copioso i tests virologici e sierologici per determinare sia il ritorno potenziale del virus che lo stato di immunità nella popolazione. Il tutto attraverso campionamenti capillari e ripetuti nel tempo sulla popolazione, analisi dei dati, e se necessario rapido intervento di identificazione ed isolamento dei contatti (cosa che, come insegna l’ottimo Crisanti, può fare una differenza enorme nel ridurre il numero dei casi e dei morti), fino al possibile instaurare di zone rosse limitate sia nello spazio che nel tempo. E’ chiaro che si tratta di creare una infrastruttura costosa, ma le sofferenze sia economiche che morali che si potrebbero evitare sono enormemente più alte.

B. NAVIGARE AVENDO RAFFORZATO LA NAVE In altre parole, si tratta di fare in modo che ci si faccia molto meno male se si torna a sbattere contro lo “scoglio virus”. Qui si torna, ovviamente, a parlare di PREPARAZIONE, a livello di strutture ospedaliere, di gestione delle RSA, della presenza di personale (medici ed infermieri, in primis) preparato a questo tipo di emergenza infettivologica, con un numero adeguato di dispositivi di protezione individuale, scorte di disinfettanti, ventilatori, letti di terapia intensive, e via discorrendo. Si tratta di creare una struttura strategica di riserva che consenta – se necessario ed in tempi rapidissimi – di attivare fino a 10.000 posti letto di terapia intensiva in isolamento (due volte e mezzo il picco di ricoveri in terapia intensive per COVID-19 nel marzo scorso), con immediata disponibilità di personale, apparecchiature, etc. Si tratta, dal punto di vista dei medicinali, di mettersi in condizione di poter usare rapidamente decine di migliaia di dosi di farmaci come Remdesivir, Tocilizumab, Baricitinib e possibilmente altri ancora, insieme a decine di migliaia di sacche di plasma di pazienti guariti e convalescent (che si possono tranquillamente congelare per uso fino a 36 mesi). Anche qui si tratta di fare un investimento costoso, ma come detto sopra, il gioco varrebbe sicuramente la candela, per COVID-19 ma anche per altre pandemie che potranno arrivare in mondo sempre più globalizzato.

C. AMMORBIDIRE LO SCOGLIO Questo è molto semplicemente il compito della SCIENZA. Sviluppare un vaccino, trovare terapie più efficaci, escogitare mezzi sempre più adatti a tracciare ed isolare le persone infettate (ma solo queste, non un intero paese). E’ questo in fondo il vero messaggio della mia serie di articoli sull’OTTIMISMO BASATO SULLA CONOSCENZA. Il punto centrale di quanto ho cercato di comunicare con i miei post, a volte troppo lunghi, altre volte troppo irruenti, spesso troppo noiosi, ma sempre improntati a questo tema: solo la scienza potrà eliminare per sempre questo brutto scoglio dalla nostra vita, ed è per questo che dobbiamo investire nella scienza e proteggerla dai suoi tanti nemici.

7. CONCLUSIONE Concludo ribadendo che noi tutti, come persone e come società, abbiamo non solo il bisogno ma anche il preciso DOVERE DI TORNARE A FARE UNA VITA ASSOLUTAMENTE NORMALE, mantenendo ovviamente quelle buone abitudini di igiene personale che, grazie al virus, abbiamo finalmente imparato. Lo dobbiamo a noi stessi, ma soprattutto ai nostri figli e nipoti, a cui non possiamo chiedere indefinitamente di fare enormi sacrifici solo per calmare le nostre ansie o per alleviare le paure di leader politici timidi ed incompetenti, consigliati da esperti che non sono in grado di elaborare una strategia generale sul come affrontare la pandemia. Soprattutto, dobbiamo fare questa scelta di CORAGGIOSA, CONSAPEVOLE E “PREPARATA” NORMALITA’ basandoci sulla nostra arma migliore: l’ottimismo sereno e razionale che deriva dalla nostra straordinaria capacità di generare ed applicare conoscenza.

GRAZIE A TUTTI!

PS: chi si ritrova in queste parole faccia circolare questo post e lo firmi con nome, cognome e qualifica come COMMENTO a questo link.

References:[1] Bianco, M.L., Il punto sul Covid-19, per progettare bene il domani. Sbilanciamoci, 19 aprile 2020. [2] ISS. Epidemia Covid-19. Aggiornamento nazionale. 7 maggio 2020.[3] Yonghong Xiao, Mili Estee Torok, Taking the Right Measures to Control Covid-19. The Lancet, Vol 20, Maggio 2020.[4] https://www.niaid.nih.gov/news-events/nih-clinical-trial-shows-remdesivir-accelerates-recovery-advanced-covid-19[5] https://www.medicaleconomics.com/news/covid-19-fallout-how-will-other-needed-care-be-provided-during-pandemic[6] Lee J Mental health effects of school closures during COVID-19. Lancet 2020[7] https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/[8] https://www.scienzainrete.it/articolo/fase-2-e-alcune-questioni-sul-report-governativo/maria-luisa-bianco/2020-05-14?fbclid=IwAR1q8UTmowx1D6Wl6rCWoqo8oN8krlnNpcv4O8g8vXI6fJRJ038nlKr6rQY[9] https://www.linkiesta.it/2020/04/documento-comitato-tecnico-scientifico-errore-calcolo/[10] https://www.ft.com/content/a2b4c18c-a5e8-4edc-8047-ade4a82a548d [11] http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=85096&fr=n

MOLTI CANDIDATI VACCINI

di Guido Silvestri

bollettino del 13 maggio 2020

LA GRANDE RITIRATA CONTINUA.

La ritirata di COVID-19 continua, ed oggi ha anche ripreso velocità, il che ci fa molto piacere. Siamo al TRENTESIMO giorno consecutivo in cui cala il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 in Italia – da 999 a 942, quindi di 47 unità, e siamo ormai al 23% del valore di picco. Ed è importante che scenda anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 13.539 a 12.865, quindi di ben 674 unità). Quindi barra dritta, avanti tutta, e sempre ponti d’oro al nemico che fugge.

DECALOGO SUI VACCINI PER COVID-19

1. LA SPERANZA PIU’ GROSSA

La prima cosa da chiarire è che un vaccino sicuro e di grande efficacia, tipo per esempio quello del morbillo o della polio o del tetano, è certamente LA PIU’ GRANDE SPERANZA per eliminare una volta per tutte la minaccia di COVID-19 dalla facia del nostro pianeta. Per questo è assolutamente giusto e logico che in questa area della ricerca scientifica siano investite ingenti risorse finanziarie e di personale. Se vogliamo tornare ad una vita veramente normale al 100% — non so voi, ma io voglio proprio questo – sviluppare un vaccino efficace è la nostra strada maestra.

2. EVITIAMO CONTRAPPOSIZIONI SENZA SENSO

La seconda cosa da chiarire è che creare delle contrapposizioni artificiali di priorità tra vaccini ed altri interventi socio-sanitari per prevenire e soprattutto per curare COVID-19 è un ragionamento davvero da imbecilli. La ricerca sul vaccino deve andare avanti in modo efficace mentre, al contempo, devono procedure con eguale efficacia quelle su antivirali, anticorpi monoclonali, plasma, immuno-modulatori, ed altre potenziali terapie, insieme ovviamente alla ricerca di base sui tanti aspetti di questo virus e della malattia che ancora non abbiamo bene compreso.

3. MECCANISMO D’AZIONE

I vaccini più promettenti al momento sono quelli che inducono la produzione di anticorpi che neutralizzano il virus prevenendo il legame tra la proteina Spike (S) – e precisamente la sua subunità S1 (ed all’interno di questa il cosiddetto “receptor binding domain”, RBD) – il recettore cellulare ACE2 (Angiotensin-converting enzyme-2). Ricordo che ACE2 è un ectoenzima (per la precisione, una carbossipeptidasi) che sta sulla superficie di cellule dell’epitelio respiratorio e pneumociti di II tipo, oltre che a cellule endoteliali nei vasi sanguigni. Se si blocca l’interazione tra S1-RBD ed ACE2 il virus non può entrare nella cellula e diventa quindi incapace di replicare e di trasmettersi.

4. PERCHE’ DOVREBBE FUNZIONARE

Gli studi più estesi sulla sequenza genica di S1 ed in particolare del RBD indicano che questo virus ha una capacità di mutare relativamente bassa, soprattutto se paragonata ad altri virus come HIV, hepatitis C, influenza etc. In altre parole, le sequenze del virus che interagiscono con il recettore ACE2 sono “conservate”, il che le rende abbastanza facili da neutralizzare dagli anticorpi. Questo è un motivo di grande ottimismo, insieme alla nota osservazione che i pazienti guariti da COVID-19 e con anticorpi IgG nel siero non sembrano ammalarsi per una seconda volta. Lo ripeto per chi non avesse capito: un vaccino contro COVID-19 dovrebbe funzionare sulla base di quello che sappiamo sulla biologia di questo virus.

5. PERCHE’ POTREBBE FUNZIONARE… A META’

Lo scenario più roseo, ovviamente, è quello di un vaccino che induce la produzione di antciorpi neutralizzanti contro S1 che conferiscono una protezione sterilizzante (cioè le persone vaccinate non si infettano proprio) e che dura per tutta la vita. Scenari meno rosei ma sempre altamente positivi sono: (i) un vaccino che protegge dalle conseguenze più severe dell’infezione, come polmonite, ARDS, MOF, etc, ma non dalla colonizzazione delle vie aere superiori, che causerebbe un banale raffreddore (ma permetterebbe la diffusione del virus), e (ii) un vaccino che conferisce una protezioni limitata nel tempo, per esempio di 2-3 anni (e che quindi dovrà essere ripetuto ad intervalli regolari). Importante, per ovvii motivi, che il vaccino funzioni bene sugli anziani – cosa da non dare per scontata e che bisognerà valutare con attenzione.

6 . MOLTI CANDIDATI VACCINI

Mark Twain diceva che smettere di fumare è facilissimo, ed infatti lui lo aveva fatto centinaia di volte. In questo senso sapere che ci sono oltre 70 candidati vaccini per COVID-19 può essere visto in modo positivo, anche se in realtà non abbiano bisogno di 70 vaccini ma di uno che funzioni bene. In effetti tutti questi candidati possono essere raggruppati in alcune categorie di base: virus attenuati, virus inattivati, vettori a DNA, vettori a RNA, vettori virali (tipo adenovirus), e proteine o subunità virali recombinanti. Per una trattazione dettagliata sul tema suggerisco questo link: https://www.nature.com/articles/d41586-020-01221-y

7. LET’S MOVE AS FAST AS POSSIBLE…

E’ ovvio che la ricerca di un vaccino per COVID-19 deve marciare veloce, perché non abbiamo tempo da perdere. Per questo le varie tappe nello sviluppo di un vaccino, che si possono dividere in studi pre-clinici e studi clinici, vanno accelerate al massimo. Ricordo che gli studi pre-clinici comprendono le analisi in vitro e la sperimentazione sugli animali (ebbene sì, cari amici animalisti, per il momento non se ne può proprio fare a meno). Mentre gli studi clinici sull’uomo si dividono in quelli di sicurezza ed immunogenicità, che stabiliscono che il vaccino non fa danni e stimola la produzione di anticorpi, e quelli di efficacia, in cui si dimostra che il vaccino protegge dall’infezione o almeno dalla malattia. Per il momento diversi candidati sembrano in grado di far produrre anticorpi neutralizzanti che proteggono dall’infezione nel modello animale e presto avremo i risultati dei primi studi clinici.

8. … BUT NOT FASTER THAN THAT

Come avrebbe detto Einstein, andiamo il più veloce possibile, ma non più veloce di quanto sia possibile andare. In questo senso il mio amico Ralph Baric, che è il Maradona dei Coronavirus, ricorda sempre due potenziali problemi. Il primo è quello delle risposte di tipo Th2 che, almeno nel caso di SARS-CoV-1, possono risultare in forme gravi di polmonite nel topo (Yasui F et al., J Immunol 2008; Tseng CT et al., PLoS ONE 2012). Il secondo è quello di indurre la produzione dei cosiddetti “enhancing antibodies”, cioè anticorpi che favoriscono, anziché contrastare, l’ingresso del virus nelle cellule dell’ospite (Yip MS et al., Virol J 2014; Wang SF et al., BBRC 2014). Ricordo che in entrambi i casi si tratta di segnalazioni rare ed isolate, ma il caso di Dengvaxia nelle Filippine deve farci andare con le dovute cautele, e per questo motive, a mio avviso, non è una buona idea quella di tagliare troppi angoli.

9. E LA TEMPISTICA?

Sappiamo bene che predire il futuro non è facile, e ne sanno qualcosa certi epidemiologi futuristi che ci hanno letteralmente massacrato con terrorizzanti previsioni da “worst-case scenario” che non tengono conto di aspetti fondamentali della biologia di questo virus. Però sulla tempistica della disponibilità di un vaccino io sto dalla parte di chi preferisce andarci cauto, e se me lo chiedono dico che ci vorranno 12-18 mesi minimo – anche se i dati che stanno arrivando dagli studi sui macachi indicano un livello tale di immunogenicità e protezione dall’infezione sperimentale che lascia presagire un ottimo funzionamento anche nell’uomo. Credo sia per quest’ultimo motivo che altri esperti tra cui Tony “Yoda” Fauci hanno parlato di tempistica più rapida, e vi assicuro che se avessero ragione loro sarei felicissimo di aver avuto torto.

10. BASTA CON LE PUTTANATE, PLEASE

I noti ciarlatani e pseudo-scienziati in servizio permanente effettivo farebbero bene per una volta ad astenersi dal propagare le loro solite menzogne nere a base di microscopi patacca, formaldeide, nanoparticelle, e compagnia bella. Sono morte oltre 300.000 persone di questa malattie e certe boiate non fanno più neanche ridere. Per cui state a cuccia, pataccari da sagra di paese, e lasciate lavorare chi certe cose le conosce sul serio.

Ricordo i prossimi appuntamenti:

15 maggio: Una nuova ipotesi patogenetica sul perché SARS-CoV-2 può comportarsi da virus letale

17 maggio: Una riflessione su cosa a mio avviso dobbiamo imparare da questa “sfida”

20 maggio: La mia opinione sul ritorno alla normalità (e poi aggiornamenti settimanali)

Mega pillola del lunedì

di Guido Silvestri

bollettino del 11 maggio 2020

1. LA RITIRATA CONTINUA

Oggi la ritirata è un po’ più lenta del solito, ma continua. Siamo dunque al VENTOTTESIMO giorno consecutivo in cui cala il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 in Italia – da 1034 a 1027, quindi di “sole” 7 unità, ma intanto cala e vediamo come andrà domani. Ed è importante che scenda anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 13.834 a 13,618, quindi di 216 unità). Mentre il numero dei morti (164) è il più basso da oltre due mesi a questa parte – e questa è certamente una gran bella notizia.

2. PILLOLONA DEL LUNEDI’ – I TEST SIEROLOGI

Visto che ne avevamo parlato in altre occasioni, vi segnalo il paper della Emory University (con otto autori del mio dipartimento) in cui si descrive il “nostro” test sierologico per COVID-19. I punti salienti dello studio sono la fortissima correlazione tra la presenza di anticorpi ed il quadro clinico, e soprattutto il fatto che – quando si usa un buon antigene, che è il punto chiave —  il titolo ELISA corrisponde al titolo neutralizzante. Questa frase la riscrivo più piano nel caso fosse sfuggito il concetto: IL LIVELLO DI ANTICORPI MISURATO NEL SIERO CON IL METODO “ELISA” CORRELA STRETTAMENTE CON LA CAPACITA’ DEL SIERO DI NEUTRALIZZARE IL VIRUS*.

Spero che abbiate capito la portata di questa affermazione, che è davvero notevole. In realtà non c’era nulla che facesse presagire diversamente, in quanto i coronavirus non sono noti per evadere la risposta anticorpale dell’ospite, come invece fanno HIV ed altri virus. Ma un conto è presagire ed un conto è dimostrare. Teniamo anche presente che la neutralizzazione da parte del siero non significa necessariamente protezione dalla reinfezione… ma le due cose sono molto, molto vicine. Un po’ come vedere un signore seduto davanti a una bella carbonara fumante: non possiamo affermare con certezza che tra poco gli spaghetti finiranno nel suo stomaco, ma è certamente molto probabile…

Il paper é stato postato ieri da Jens e Mehul su MedRxiv (https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.05.03.20084442v1.full.pdf+html), ed è anche in revisione per la pubblicazione vera e propria (dita incrociate). Quindi ognuno può leggerlo e discuterne. Due punti importante da ricordare: il primo è che i soggetti studiati avevano malattia conclamata da SARS-CoV-2, ed è possibile che i livelli anticorpale siano più bassi (e meno capaci di neutralizzare) in soggetti che hanno avuto infezione lieve o asintomatica. Il secondo caveat è che ovviamente non sappiamo ancora per quanto tempo questi anticorpi rimarranno in circolazione – vi supplico, non chiedetemi perché non lo sappiamo. Nonostante queste limitazioni, il test a mio avviso è un vero game changer, ora in molti lo stanno utilizzando negli USA e nel mondo, staremo a vedere.

*L’amico Alberto Mantovani mi dice che un gruppo italiano ha dati non pubblicati che mettono in evidenza esattamente la stessa correlazione tra anticorpi “leganti” e “neutralizzazione” di SARS-CoV-2 – bene così, anzi, benissimo, perché niente fa più piacere nella ricerca scientifica delle conferme indipendenti dei propri risultati!

3. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO: NON AVREMO MAI IL VACCINO

Il premio di oggi va a Il Giornale (quello fondato da Montanelli, ma che di Montanelli oggi non ha ahimé più nulla), che dà grande risalto alle dichiarazioni di un certo “professor” Bacco [“Il Covid è come l’Hiv: non avremo mai il vaccino”]. Continuando a leggere scopro che “…Pasquale Mario Bacco, con un team di medici, a febbraio aveva scoperto che il virus circolava già da ottobre scorso”. Beh, questa sarebbe una notizia davvero interessante, ed allora ho pensato che fosse importante “approfondire”. Così ho scoperto che questa ricerca rivoluzionaria è stata condotta da un “collega” la cui affiliazione accademica è introvabile e le cui pubblicazioni su PubMed sono uguali a ZERO. In compenso questi studi, di cui nelle riviste scientifiche non c’è traccia, sono ripresi da una sfilza di siti-web dedicati a no-vaxx, scie chimiche e rettiliani che piuttosto passo la serata con un mustelide dall’alito pesante.

Ma la cosa più carina di questo scoop epocale è che, strada facendo, passa dal panico intrippante al nano-negazionismo coatto. Un po’ come se Nosferatu, nel bel mezzo di una scena sanguinosissima, si mettesse a fare il ballo del Qua Qua. Cito dall’articolo: “Questo virus non è capace di uccidere. È un virus banale, semplice. Un soggetto siero-positivo non si ammala di Covid, perchè ha l’HIV che è un virus molto più grande che utilizza gli stessi recettori del Coronavirus, quindi anche nella competizione il Covid non riesce ad andare sugli stessi recettori. Ovunque ci sia una risposta immunitaria adeguata viene annientato”. Insomma, il virus per cui non ci sarà mai un vaccino viene annientato dal sistema immune. Logica ferrea. Immagino che Gerolamo, vescovo di Caffa, l’avrebbe definito un argomento “che taglia come una spada”. Vabbé dai, abbiamo perso abbastanza tempo con questa amena “notizia”.

[NB: Il genoma di HIV è meno di un terzo di quello di SARS-CoV-2 e naturalmente i recettori che usa (CD4, CCR5 e CXCR4) non hanno nulla a che fare col recettore di SARS-CoV-2 (ACE2).]  

4. TERAPIA CON PLASMA NELLE MARCHE

Diversi amici mi hanno segnalato come il comitato etico che deve approvare gli studi clinici nella Regione Marche avrebbe “negato” l’autorizzazione al protocollo di uso del plasma convalescente per i malati di COVID-19. La notizia, riportata da diversi giornali, ha suscitato un certo comprensibile allarme. Brevemente ho investigato con l’aiuto di alcuni colleghi ed ho scoperto, come peraltro immaginavo, che NON si tratta di rifiuto, ma di richiesta di ulteriori chiarimenti, il che rappresenta prassi normale per un comitato etico. Per coloro che conoscono le procedure dell’editoria scientifica, non è una “rejection”, ma un “revise and resubmit”. Detto questo, auspico che i colleghi del comitato etico (in cui siedono alcuni vecchi amici) possano RAPIDAMENTE approvare il protocollo non appena ricevuti i necessari chiarimenti, specialmente considerando che simili studi sono stati approvati e vengono condotti in numerosi centri un po’ in tutto il mondo.

5. INFEZIONI NELLA CARNE

In diversi, tra cui gli amici Pier Luigi Lopalco ed Elena Fattori, si stanno interessando al caso curioso dei focolai di infezione da COVID-19 nei lavoratori dei macelli. La faccenda è interessante dal punto di vista virologico ed epidemiologico in quanto – eccezion fatta per i luoghi di cura – i contatti in ambiente lavorativo non sono stati di solito associati con la trasmissione del virus. Tra le ipotesi per spiegare il fenomeno si citano la vicinanza fisica tra gli operatori, le basse temperature (la cosiddetta “catena del freddo”) ed anche il fatto, finora considerato alla stregua di una curiosità, che i bovini potrebbero essere suscettibili ad infettarsi con il virus di COVID-19. A tale proposito ricordo che altre malattie da Coronavirus sono di interesse veterinario, come le classiche gastroenteriti acute dei maiali causate da TGEV, PEDV, e PDCoV, e la enterite e polmonite causata da bovine coronavirus, BCV, che però si lega al recettore per la N-Acetylneuraminic acid (per gli amici: NANA). Speriamo che nei prossimi giorni o settimane si possano chiarire le cause di questo strano ed interessante fenomeno.

6. VERSO LA FINE…

Con la fine almeno della prima fase di questa pandemia si avvicina anche la fine del “barattolo” di queste pillole mattutine di ottimismo, che ho cercato di dispensare all’insegna della fiducia nella scienza. Giovedì pomeriggio sarò di nuovo da Alberto Matano, il mio conduttore televisivo preferito, per la Vita in Diretta, ore 18 su RAI UNO, e spero davvero che sia l’ultima di queste “apparizioni”, anche perché ciò significherebbe che la mia presenza non è più necessaria (e questo sarebbe un segno buono per tutti). E non nego che non vedo l’ora di tornare nell’aureo grigiore del mio laboratorio e dei nostri esperimenti, che stanno dando risultati molto affascinanti. Ma prima di chiudere la rubrica parleremo ancora di vaccini per COVID-19, di ipotesi sul perché SARS-CoV-2 ha ucciso così tante persone, su quello che penso dobbiamo imparare da questa “bastonata”, e – dulcis in fundo — vi dirò come la penso sul tanto agognato “ritorno alla normalità”

Con questo auguro a tutti una BUONA SETTIMANA, sempre all’insegna dell’ottimismo, del buonumore e della razionalità.

Intervista al nostro socio Andrea Grignolio

di Carlo Patrignani

La situazione è migliorata ma, anche se il caldo può darci una mano, come per la Sars del 2001-02 che sparì, attenuando la carica infettiva e patogenicità di Sars-Cov-2, virus simili ma diversi, entrambi della famiglia dei Coronavirus, la guardia non va abbassata: le misure in vigore per la fase due per la ripresa, parziale, dell’attività produttiva vanno nella giusta direzione del contenimento dei contagi con il potenziamento della medicina del territorio, fermo restando il distanziamento individuale, l’igiene personale e le mascherine, ma pure tamponi e test anticorpali che serviranno a isolare gli asintomatici, vettori inconsapevoli della malattia. E’ l’opinione del docente di Storia della Medicina all’Università Vita-Salute del San Raffaele e ricercatore del Itb-Cnr, Andrea Grignolio, per il quale “le nuove restrizioni, pur se poco piacevoli come per le relazioni amicali, hanno una finalità sensata a livello comunicativo: non ingenerare il ‘liberi tutti’ molto rischioso perché il coronavirus non fa differenza tra affetti stabili e non: ridurre i contatti ai soli parenti e relazioni strette è una indicazione epidemiologica generale, se presa alla lettera diventa poco comprensibile. L’importante è prepararsi bene al prossimo autunno-inverno con tutti gli strumenti necessari per arrivare in tempo e intervenire subito sui possibili focolai che possono riaccendersi”.

Quanti e quali sono gli strumenti necessari?
Primo, “il potenziamento della medicina del territorio che è non solo preziosa sentinella e di intervento immediato, ma ha funzioni di prevenzione: lo sa bene l’epidemiologia, come del resto la storia della medicina, poiché le epidemie e pandemie si affrontano soprattutto sul territorio e meno negli ospedali. Il concetto di contagio, di malattia infettiva, sconsiglia centri di aggregazione, tranne in casi di strutture specializzate, perché possono facilmente diventare di diffusione”.
Secondo, “il fondamentale tracciamento, il cosiddetto contact tracing – va bene l’app Immuni su base volontaria, con tutela della privacy, scadenza temporale e distruzione finale dei dati – degli asintomatici e dei paucisintomatici con tamponi e test sierologici, così da porli tempestivamente in quarantena e avvisare e controllare le persone che con costoro hanno avuto contatti ravvicinati”.
Terzo strumento le cure: “per i pazienti Covid oggi ci sono tre diverse terapie multifase a seconda del livello della malattia: antivirali per limitare la replicazione del virus nella prima fase, e gli antinfiammatori per la due seconde fasi, quella della iper risposta immune causata dal sistema immunitario e quella per le complicanze causate a polmoni, cuore, reni e cervello”.
Per Sars-Cov-2, insomma, “si potrebbe immaginare anche un modello simile a quello per l’Hiv per il quale non si è arrivati al vaccino: la terapia multifarmaco, come fu la triplice per l’Hiv, che – precisa Grignolio – ha dato e tuttora dà una aspettativa di vita quasi uguale a una persona non infetta”.

E il vaccino quando potrà essere disponibile?
“Per ovvi motivi: non nocività, efficacia e soprattutto produzione su larga scala internazionale – osserva – non sarà disponibile direi prima di un anno ma, nel frattempo, oggi abbiamo a disposizione, ed è un enorme passo in avanti, diverse terapie multifase, efficaci per ogni fase della malattia, compreso l’impiego di una vecchia pratica della sieroterapia: l’immissione del plasma con anticorpi dei guariti ai malati, che offre a un miglioramento delle condizioni del paziente, ma non immunità”.
Ma su questa pratica Grignolio non manca di sollevare tre problemi da risolvere, “è una procedura costosa, sebbene si dica spesso il contrario, perché difficile da ​standardizzare e con effetti potenzialmente nocivi dovuti al rischio di trasmissione di malattie infettive e alterare la coagulazione nei riceventi; è limitante nei tempi e nella produzione perché con due pazienti guariti si ottengono gli anticorpi per un paziente, cosa molto disfunzionale durante una pandemia che richiede subito e per molti tanti anticorpi; e soprattutto offre una immunità passiva e non attiva come il vaccino, ovvero gli anticorpi provenienti dai guariti cessano dopo il trattamento e non vengono autonomamente prodotti dal paziente, che quindi non sviluppa l’immunità attiva e l’immunità per futuri incontri con il virus, la agognata immunità di gregge o di comunità”.

La medicina e più in generale la ricerca scientifica, molto probabilmente vincerà la sfida arrivata da un virus sconosciuto?
“Penso di sì, come avvenuto in passato con tante altre malattie infettive che non sono né una punizione divina né una vendetta della natura, ma sono malattie connesse e causate dai cambiamenti del rapporto tra l’essere umano, l’ambiente e gli animali. A questo va aggiunto che le epidemie fioriscono in contesti ad alta densità di popolazione e altamente connesse da porti e aeroporti. Il passato ce lo insegna chiaramente sia con la via della seta sia con il commercio marittimo, da cui proviene la famosa quarantena veneziana del 1300. Ecco perché è improprio accusare le polveri sottili e l’inquinamento: vi sono molte zone del globo dove non c’è inquinamento e Covid si diffonde con grande efficacia, e questo è valido per tante epidemie del recente passato o del passato remoto, dove il mondo era privo di inquinamento e le epidemie erano molto più diffuse e feroci. Per vincere la sfida dei prossimi mesi e delle prossime epidemie abbiamo assoluto bisogno di un solido e forte sistema sanitario nazionale, ben attrezzato a livello del territorio e di una nuova collaborazione con le strutture sanitarie private, che stanno facendo la loro parte con le proprie strutture. Pubblico e privato non sono affatto in collisione: l’uno non esclude l’altro, nell’interesse comune della tutela della salute pubblica”.

Ultima domanda, che ne pensa dello scontro tra Usa e Cina sulla genesi e manipolazione del virus in laboratorio, quello di Wuhan?
“Mi pare che la questione sia una contrapposizione politica più che scientifica: la scienza parla chiaro e con dati e i dati sono spesso scomodi al decisore politico, perché non sono opinabili o manipolabili per fini elettorali. I dati che abbiamo oggi ci dicono che la genetica, come dimostrato da un articolo sulla rivista Nature, indica una provenienza animale, ovvero pipistrello e pangolino, del virus e non artificiale in laboratorio. Inoltre, che il luogo d’origine non sia Wuhan, dove è presente il laboratorio incriminato, ma Guandong, la stessa regione dove scoppiò la Sars, e infine che i primi casi siano retrodatabili tra settembre e dicembre. Ma le scienze cognitive con il concetto di ‘ragionamento motivato’ ci spiegano bene che a questi dati della scienza le orecchie dei complottisti rimarranno non solo sorde ma, per così dire, immuni anche in futuro”.

il vaccino si chiama PICO-VACC

di Guido Silvestri

bollettino del 7 maggio 2020

Ore 2.00 del mattino ad Atlanta ed io sono appena rientrato a casa dal laboratorio. Abbiamo dati interessantissimi e devo dire che l’excitement di lavorare su una malattia nuova dai tanti aspetti sconosciuti è semplicemente incredibile. Sarebbe ora di andare a letto, ma sparo rapidamente le nostre pillole perché so che in molti le aspettano per iniziare al meglio la giornata

1. LA RITIRATA CONTINUA Continua la grande ritirata di SARS-CoV-2 dall’Italia. Anche oggi è calato, per il VENTIQUATTRESIMO giorno consecutivo, il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 – da 1427 a 1333, quindi ben 94 unità, ed ora siamo a meno di un terzo del picco registrato a metà marzo con 4.068 ricoveri. Cala di molto anche il numero dei ricoveri ospedalieri totali (da 16.270 a 15.769, quindi di 501 unità). Quindi avanti così, un giorno alla volta, con prudenza, sempre ricordando la similitudine della nave tra i due scogli, ma anche con tanto ottimismo, perché il “mostriciattolo” sembra davvero andare verso l’uscita…

2. ELOGIO AL SUD ITALIA Oggi ho provato, in una pausa, a calcolare le mortalità da COVID-19 regione per regione (per 100.000 abitanti):Lombardia 146.1VdA 111.2Emilia Romagna 84.9Liguria 80.2Piemonte 74.6TN/BZ 67.6Marche 62.9Veneto 32.0Abruzzi 26.2FVG 25.5Toscana 24.3Puglie 10.9Lazio 9.1Umbria 7.9Molise 7.3Sardegna 7.2Campania 6.5Sicilia 5.0Calabria 4.6Basilicata 4.5Voglio soffermarmi per un momento sui livelli molto bassi di mortalità osservati nelle regioni del Sud, dove il tanto temuto tsunami di COVID-19 non è mai arrivato. Come sapete ci sono diverse ipotesi sul perché l’Italia del Sud sia andata così bene, tra cui quella che sia merito esclusivo del lock-down (in realtà su questo ho i miei dubbi, visto che la gran parte dei decessi, nel Nord Italia, sono comunque avvenuti dopo il 10 marzo) e quella dell’effetto benefico del clima più mite. Qui però vorrei solo fare un elogio, anzi, due elogi. Il primo ai tanti medici ed infermieri che sono stati bravissimi nel fare tesoro delle esperienze dei loro colleghi al Nord – sono in contatto con colleghi di Catanzaro, Napoli, Pescara, Cagliari, Bari, Catania, Lecce, Avellino, Messina etc., e sono rimasto molto colpito dalla loro competenza e professionalità. Il secondo elogio è per tutti gli abitanti del Sud, che in questo difficile frangente si sono comportati con grande disciplina e responsabilità. L’Italia meridionale in tante situazioni ha fatto e continua a fare fatica, ma nel caso di COVID-19 può davvero andare a testa alta.

3. MASSIMO CLEMENTI SUL CORRIERE DELLA SERA Ieri bellissima, e rarissima, intervista del grande Massimo Clementi, virologo tanto bravo quanto silenzioso (l’altro giorno mi ha scritto: “nella vita mi sono spesso pentito di aver parlato, quasi mai di aver taciuto”), che per una volta ha fatto una eccezione. Ecco due brevi estratti:SARS-CoV-2 è diventato meno aggressivo?“L’espressione clinica dell’infezione adesso è più mite. Nella fase drammatica, al San Raffaele arrivavano 80 persone al giorno, la maggior parte necessitava di ricovero in terapia intensiva. Le cose sono nettamente cambiate, le terapie intensive si stanno man mano liberando, l’infezione non sfocia più nella fase gravissima, la cosiddetta “tempesta citochinica”. Per ora è solo un’osservazione empirica, l’epidemia c’è ancora ma dal punto di vista clinico si sta svuotando.”L’arrivo del caldo può influenzare l’aggressività del virus? “Per ora è una supposizione, ma è molto probabile che sia così. Nell’uomo circolano quattro coronavirus “ingentiliti”, di cui due molto simili a Sars-CoV-2. Tutti provocano infezioni modeste, tranne nei bambini molto piccoli, da 0 a 2 anni, in cui possono portare allo sviluppo di bronchiolite. E tutti circolano solo in inverno, per sparire invece nei mesi caldi.”

4. DACCI OGGI IL NOSTRO PANICO QUOTIDIANO (CON RISATA INCORPORATA) Da tempo volevo fare un post sulle previsioni a mio avviso un po’ catastrofiche degli epidemiologi dell’Imperial College di Londra (seconde solo a quelle di Mike “menagramo” Osterholm). Premettendo che scrivo in modo volutamente leggero e semi-serio, ma alle volte mi piacerebbe che questi maestri del “worst case scenario” ogni tanto incorporassero, nei loro modelli, la possibilità – peraltro tangibilissima! – che le cose vadano meglio per fattori “benefici” come la scoperta di un nuovo antivirale o vaccino, l’attenuazione spontanea del virus, e così via (come, per esempio, fa sempre Lipsitch). Detto questo, ieri è uscita su tutti i giornali la notizia che Neil Ferguson, guru epidemiologo dell’Imperial College, consigliere speciale di Boris Johnson, e grandissimo sostenitore dell’importanza del “social distancing”, è stato beccato ad incontrarsi clandestinamente con l’amante (pure sposata, con un altro). Il tutto, si presume, senza guanti e mascherina. Ferguson ha subito dato le dimissioni dal team di esperti della Regina (in Inghilterra usa così) ed io, perdonatemi, non posso fare a meno di pensare al fatto che il famoso “worst-case scenario”, per il buon Neil, stavolta sia stato peggiore della sua più fosca previsione…

5. LA BUONA NOTIZIA DEL GIORNO Stavolta è sui vaccini, e mi riferisco al paper uscito ieri su Science (Gao Q. et al., Rapid development of an inactivated vaccine candidate for SARS-CoV-2”, Science, May 6th, 2020). In breve: il vaccino si chiama PICO-VACC (purified inactivated coronavirus vaccine), e non lo ha inventato Pico de Paperis ma il team della Sinovac Biotech di Beijing (China). I risultati sono davvero promettenti: efficace induzione di anticorpi neutralizzanti nel topo, nel ratto, e nel macaco; nessuna induzione di anticorpi “cattivi” (cioe quelli responsabili del cosidetto ADE, antibody-dependent enhancement), e protezione nei macachi dall’inoculo sperimentale con SARS-CoV-2. Ora si passa alla fase clinica sulle persone, ma questa è certamente una partenza che fa ben sperare.

IL PLASMA CONVALESCENTE

di Guido Silvestri

Bollettino del 5 maggio 2020

1. LA RITIRATA CONTINUA

Continua la ritirata di SARS-CoV-2 dall’Italia. Anche oggi è calato, per il VENTIDUESIMO giorno consecutivo, il numero totale dei ricoveri in terapia intensiva per COVID-19 in Italia (da 1501 a 1479 unità), così come il numero dei ricoveri ospedalieri (da 17.242 a 16.823, quindi di ben 419 unità). Negli ultimi tre giorni il calo dei ricoveri in terapia intensiva ha rallentato, vedremo nei prossimi giorni se è un fenomeno duraturo, magari legato alla ridotta mortalità, oppure se è stato solo un artefatto del ponte del Primo Maggio. Da notare che, per la prima volta da un mese e mezzo, il numero dei decessi per COVID-19 in Italia è sotto i 200 per due giorni consecutivi.

2. IL PLASMA CONVALESCENTE

Innanzitutto ribadisco i miei complimenti ai colleghi degli ospedali San Matteo di Pavia e Carlo Poma di Mantova – ed in particolare a Giuseppe De Donno e Massimo Franchini, primari rispettivamente della Pneumologia e del Servizio Trasfusionale a Mantova – che hanno fatto da pionieri, in Italia, dell’uso di plasma di soggetti convalescenti come terapia dei casi severi di COVID-19. Al momento hanno trattato 82 pazienti con buoni risultati e minima tossicità, quindi in accordo con le esperienze dei medici cinesi e quelle degli studi, peraltro molto più grandi, condotti qui in America.

Senza voler smorzare l’entusiasmo e l’orgoglio di questi bravissimi colleghi (e quelli dei loro sostenitori nei social), è bene ricordare che:

  • L’uso di plasma o siero convalescente per trattare malattie infettive è stato introdotto nella pratica medica da oltre un secolo.
  • Nel Department of Pathology alla Emory lo abbiamo usato con successo nel 2015 in pazienti con Ebola (Kraft C et al., Clin Infect Dis. 2015; 61:496-502).
  • Nel caso di COVID-19 il plasma convalescente è stato usato in vari studi effettuati durante la prima fase della pandemia in Cina (Chen et al. Lancet Inf Dis 2020; Shen et al., JAMA 2020; Duan et al., PNAS 2020) e sul tema due miei Vice-Direttori, John Roback e Jeannette Guarner, hanno scritto un editoriale pubblicato sul prestigioso JAMA il 27 marzo 2020.
  • In America il trattamento è approvato dalla FDA nel marzo 2020, e ad oggi sono stati praticati gratuitamente oltre 5,200 trattamenti con plasma donato da oltre 8.000 soggetti convalescenti (da cui consegue che chi insinua che la terapia con plasma convalescente sia “boicottata” dagli Amerikani è un emerito imbecille).
  • Come sempre in medicina è importante attendere il risultato di studi controllati prima di emettere giudizi definitivi in termini di efficacia di un trattamento terapeutico.
  • Tra i vantaggi del trattamento, oltre alla promettente efficacia, segnalo anche il costo basso e la grande sicurezza.
  • Aggiungo, da vecchio “romantico” della medicina – e da figlio di un primario di Centro Trasfusionale che considerava la donazione di sangue un grande gesto di solidarietà – che mi piace molto l’idea di una terapia resa possible dallo sforzo generoso di persone che, guarite da una malattia, vogliono fare qualcosa di utile per i propri simili meno fortunati di loro.
  • I limiti principali del trattamento sono la virtuale impossibilità di standardizzazione (vista la variabilità da donatore a donatore) e, durante la prima fase della pandemia, la scarsa disponibilità di donatori.
  • Per chi volesse più informazioni SERIE su questo tema consiglio di leggere questo position paper: Bloch EM et al., Deployment of convalescent plasma for the prevention and treatment of COVID-19. J Clin Invest 2020, con autori di Johns Hopkins, Mayo Clinic, Stanford, WUSTL, Columbia, NY Blood Center, Michigan State, Albert Einstein e Brown.

3. ANCORA SULLA RIAPERTURA

Ieri parlando alla RAI (La Vita in Diretta) ho fatto una metafora che per me rappresenta bene lo stato attuale delle cose, e che in molti mi hanno chiesto di riproporla anche qui.

Per come la vedo io, l’Italia in questo momento è come una barca che naviga tra due grandi scogli. Da un lato c’è lo scoglio del virus (e della malattia), che hanno fatto ormai quasi 30.000 morti, mentre dall’altro c’è lo scoglio del disastro economico dovuto al lockdown, che può creare problemi seri anche dal punto di vista socio-sanitario.

In questa metafora la cosiddetta “riapertura” o fase-2 rappresenta una sterzata necessaria per allontanare la barca dallo scoglio del disastro economico – ma non possiamo ignorare il fatto che questa sterzata fatalmente ci faccia avvicinare allo scoglio del virus e della malattia.

Per questo dobbiamo stare molto attenti, e farci guidare dai tre principi che continuo a ripetere come un disco rotto: MONITORAGGIO (che deve dirci quanto siamo distanti dai due scogli), FLESSIBILITA’ (che deve permetterci di cambiare rapidamente la direzione di marcia, se necessario) e COORDINAZIONE (che deve farci andare in armonia con le altre barche che stanno attraversando lo stesso stretto).

Mai come in questa metafora vale il detto “siamo tutti sulla stessa barca”, nel senso che ognuno di noi può e deve fare la sua parte per evitare di andare a sbattere (come abbiamo già fatto nel marzo scorso).

La necessità del dubbio ed il dovere della trasparenza nella scienza

Roberto Caminiti

Professore di Fisiologia, Università di Roma SAPIENZA

Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”

In un mio articolo sul Sole24 Sanità del 31 marzo 2015, a proposito dell’importanza della trasparenza nella scienza contemporanea, scrivevo come “…la trasparenza deve ispirare il dubbio ed il pensiero critico che percorre le vene della vera scienza, ed essiccare quei terreni di cultura che nel nostro Paese hanno portato alla “cura Di Bella” per il cancro e a Stamina per le terapie delle malattie neurodegenerative. Un atteggiamento opaco dà spazio a spinte irrazionaliste, a falsi professori e moderni Dulcamara che con i loro elisir affollano le TV private e incredibilmente anche quelle pubbliche. E’ importante che gli scienziati non veicolino visioni furbamente sensazionalistiche dei loro risultati. Bisogna spiegare che non esistono centri nervosi che fanno di noi dei criminali o dei santi, ma piuttosto accendere il pensiero critico”. 

Poiché la ricerca è largamente pagata dalle tasse dei cittadini, i ricercatori hanno l’obbligo di uscire dai loro chiostri e comunicare all’opinione pubblica i risultati e l’importanza della ricerca biomedica in forma semplice, sottolineando come nel medio-lungo periodo questa produrrà un rafforzamento dei servizi sanitari nazionali e un significativo vantaggio economico e di salute pubblica nei vari paesi.

Oggi, sotto la morsa del coronavirus, siamo bombardati da notizie sull’andamento dell’infezione, sul numero dei guariti e deceduti, sull’immunità di gregge, su modelli epidemiologici, tamponi mancanti, etc. ed ognuno tende a sviluppare una propria “visione” in merito (la mascherina non serve, gli anticorpi proteggono, l’afa estiva farà evaporare il virus, quindi tutti al mare, etc.) dettata da necessità ed aspettative, piuttosto che da un’analisi razionale dei fatti. Mai, come oggi, le opinioni pubbliche di tutti i Paesi scoprono la scienza, sebbene solo come temporanea consigliera di un potere politico inerme che, specie in Italia, ha tradizionalmente riempito le assemblee rappresentative di un ceto privo di competenze professionali e scientifiche sufficienti per operare in modo incisivo sulla realtà e sulle sfide, a volte estreme, che essa impone. 

Oggi più che mai i ricercatori hanno il dovere della trasparenza e chiarezza, dettata non solo da un imperativo etico, ma anche dalla necessità di non veicolare illusioni e false certezze, come quella di un vaccino “rapido”, che bypassando fasi cruciali, quale la sperimentazione sugli animali, sarebbe disponibile entro l’autunno, un evento che i virologi più seri e responsabili ritengono altamente improbabile e perfino pericoloso.  La comunicazione con l’opinione pubblica e la politica deve essere essenziale, poiché in passato gli scienziati sono stati muti ed oggi il loro dire attuale è più che mai mediato dall’interazione con il mondo dell’informazione. Questa, in Italia (e non solo) ha tradizionalmente avuto scarsa cognizione dell’impatto sulle nostre vite del metodo scientifico di galileiana memoria, come dimostrato dalle deboli redazioni scientifiche dei mezzi di informazione radiotelevisivi e della carta stampata, dal numero limitatissimo di scuole di giornalismo scientifico, dallo scarso rilievo che scienza e ricerca hanno nell’educazione scolastica. Oggi più che mai la scienza, piuttosto che assecondare facili speranze, ha il dovere e l’occasione di ispirare il dubbio, non come forma di nichilismo, ma come veicolo di quel pensiero critico che è l’essenza del suo agire.

L’esercizio del dubbio ha attraversato per secoli il pensiero filosofico e scientifico, a partire dalle scuole arabe e persiane che rifiutavano l’eredità della saggezza greca, ispiratrici di quel movimento chiamato al-shukuk (dubbi), come scritto in un bell’articolo di Jim Al-Khalili sul Guardian 1. Il dubbio come forma sistematica del pensare attraversa Socrate, Sant’Agostino, Cartesio, Kant, e più recentemente Wittgenstein, Popper, Kuhn, ed il laboratorio di zetetica, intesa come arte del dubbio, di Broch. Il principio di falsificabilità di Popper, pur nella sua radicalità, rimane una pietra miliare della scienza contemporanea. La vera scienza ha un incedere lento, perché si basa su intuizioni, ipotesi, verifiche sperimentali, pause, nuovi inizi ed anche fallimenti, ed i suoi risultati devono essere sempre falsificabili, altrimenti è fede o superstizione.  L’esercizio del dubbio porta all’ammissione degli errori ed alla loro correzione e, attraverso ciò, svolge una funzione educativa, come premessa della diffusione di una visione critica della realtà.

Questo è oggi l’unico strumento che abbiamo anche per neutralizzare i veleni di creazionisti e teorici della cospirazione, quei moderni untori che hanno il loro terreno di cultura negli ambienti ultraconservatori cattolici USA, stretti amici di sovranisti e fascisti nostrani e sostenitori che il coronavirus è la maledizione divina in risposta all’abbandono della dottrina cristiana da parte dell’attuale Pontefice, da mandare al rogo come le streghe, i maghi e gli ebrei di Spagna ritenuti responsabili della pestilenza del 13002. Nel suo articolo sul Guardian, Al-Khalili nota opportunamente che, al contrario del metodo scientifico, i teorici della cospirazione accettano e diffondono solo quelle evidenze che confermano, piuttosto che confutare le loro credenze ed i  movimenti politici che ad essi si ispirano considerano il pensiero critico una forma di debolezza e di perversione da estirpare dalle nostre società.

Sebbene “popolare” come mai, la scienza oggi si confronta con una doppia sfida: arginare l’attuale pandemia e convincere l’opinione pubblica e la politica che il suo fare non è caratterizzato da certezze, ma disseminato di fertili dubbi.  Solo se questo atteggiamento culturale ispirerà anche la politica e la società tutta si potrà sconfiggere il coronavirus oggi o catastrofi prossime venture. Tra queste, temibilissime per le future generazioni sono quelle che deriveranno dagli effetti dei cambiamenti climatici, a tutt’oggi negati dai sovranisti di ogni genia, gli stessi che inizialmente hanno negato l’esistenza dell’attuale pandemia, esemplare il caso di Trump negli USA.  Gli autocrati sfrutteranno future emergenze, come l’attuale, per avocare a sé i pieni poteri (vedi Orban in Ungheria) e restringere gli spazi della democrazia3, che dovrà sempre più fondare le sue basi sulla condivisione e sulla vera forza, e non debolezza, del pensiero critico.

La scienza ha molto da dire a tal proposito, ed è bene che lo faccia sempre, non solo quando interrogata da ceti politici impreparati e frettolosi, che non vanno solo informati criticamente sul da farsi, ma messi di fronte alle responsabilità passate sulla drammaticità del momento (e dei mesi a venire), quali il depotenziamento e frazionamento del sistema sanitario nazionale, della medicina di territorio, ed i tagli sistematici alla ricerca. Gli scienziati, come intellettuali, devono esercitare un ruolo critico che, abbandonando ogni narcisismo, mai dovrà assomigliare a quello di acritico “consigliere del Principe”. Non deve sorprendere che l’attuale Governo, nel difficile equilibrio tra salute ed economia, tenti di operare delle scelte ispirate da un approccio scientifico che, come nel “dilemma del prigioniero”, trova un suo equilibrio tra interesse individuale e collettivo pagando un inevitabile costo4

1 https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/21/doubt-essential-science-politicians-coronavirus?CMP=Share_iOSApp_Other

2 Da non perdere a tal proposito l’intervista di Daniela Minerva ad Andriano Prosperi sullo speciale COVID 19 di LIVE del 30 aprile.

3 Ezio Mauro, La pandemia aiuta gli autocrati, la Repubblica, 27 aprile 20204   Vittorio Pelligra, Il Sole 24 Ore, 20 Marzo 2020 (https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-come-potrebbe-cambiare-regole-sociali-altruismo-e-opportunismo-ADr6A2E?refresh_ce=1)

MUCCA PAZZA e COVID19

Cristina Casalone, Dirigente Veterinario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è socio e membro del Gruppo PTS sulla Sperimentazione animale. A lei si deve la scoperta di un nuovo ceppo di BSE nominato “BASE” (Bovine Amyloidotic Spongiform Encephalopaties) e lo sviluppo di un suino transgenico SOD-1 per lo studio della SLA. E’ inoltre responsabile di un progetto dell’agenzia Spaziale Europea sull’Alzheimer eseguito ad Agosto da Parmitano sulla Stazione Spaziale Internazionale.Insieme a Giovanni Di Guardo, Professore di Patologia Generale e Fisiopatologia Veterinaria all’Università di Teramo, hanno messo a confronto due epidemie di origine zoonotica: la COVID-19 e l’Encefalopatia spongiforme bovina – il “morbo della mucca pazza”, una malattia neurologica cronica causata da un prione (una proteina anomala) tipica dei bovini ma trasmissibile all’uomo attraverso carne contaminata.

L’articolo è stato pubblicato in veste di lettera all’Editore (e-letter) su Science – https://bit.ly/2Y5NRPRe da poco su Focus – https://bit.ly/35aZFBY

“L’allarme su una possibile correlazione tra morbo della mucca pazza e malattia di Creutzfeldt-Jakob (una forma grave di demenza con decorso molto rapido) in soggetti giovani arrivò in Gran Bretagna nel 1996. Oggi l’epidemia legata al consumo di carni infette è stata praticamente eradicata. Proprio in un momento come questo, in cui il mondo intero sta combattendo il virus SARS-CoV-2, responsabile della più grande emergenza sanitaria globale, è quanto mai importante fare memoria delle lezioni apprese nel corso di emergenze sanitarie passate. Una di queste è senz’altro rappresentata dall’encefalopatia spongiforme bovina (BSE), popolarmente nota come “morbo della mucca pazza”. CoViD-19 e BSE infatti, pur nelle colossali differenze che caratterizzano le due malattie, la prima causata da un virus a tropismo respiratorio, l’altra di origine alimentare e causata da un prione, un agente “sui generis” di natura proteica, presentano tuttavia una serie di analogie gestionali estremamente interessanti.

AGIRE PER SALVARE VITE. La prima di esse riguarda il principio di precauzione, un “minimo comune denominatore” applicato alla gestione di qualsivoglia emergenza, non meramente sanitaria e dalle conseguenze imprevedibili in quanto se ne hanno conoscenze imprecise e frammentarie se non largamente deficitarie. Ove l’agente di malattia risultasse trasmissibile all’uomo, come nel caso di quello responsabile della BSE, oppure fosse dotato di una contagiosità quanto mai elevata a fronte della mancata disponibilità di farmaci e/o di vaccini specifici, come nel caso del coronavirus che provoca la CoViD-19, ecco che al principio di precauzione viene ad affiancarsi il concetto di worst case scenario. Tradotto in italiano, il peggiore scenario che si possa immaginare, sulla cui scia verranno predisposte e adottate tutta una serie di misure finalizzate a ridurre al minimo l’esposizione umana. Nella gestione sanitaria e nella conseguente massima mitigazione del rischio di trasmissione della BSE all’uomo tali misure hanno comportato l’esclusione, dal consumo alimentare, di numerose matrici biologiche a livello delle quali è stata documentata la presenza d’infettività. Analogamente, nel caso della drammatica “emergenza da coronavirus” sono state adottate una serie di misure draconiane che, a partire dalla città di Wuhan e dalla provincia cinese di Hubei (epicentro della pandemia da SARS-CoV-2), sono state successivamente applicate in maniera progressiva da vari Paesi, primo fra tutti l’Italia, il cui esempio è stato seguito a ruota da molti altri Paesi europei ed extra-europei.

UNA LACUNA DA COLMARE. Il principale gap relativo all’adozione del principio di precauzione è rappresentato dalla mancanza di conoscenze adeguate sul “nemico” che ci si trova a combattere, un agente patogeno di dimensioni submicroscopiche e come tale percepito come una minaccia ancor più incombente sulle nostre vite. La comunità scientifica non soltanto è chiamata a dare un nome e un cognome a questo nemico, ma anche ad individuare i tessuti e le cellule in grado di consentirne la replicazione, unitamente ai meccanismi e alle risposte attuate dall’organismo per limitarne la diffusione.Queste fondamentali quanto imprescindibili conoscenze potranno esser desunte dalle indagini “post mortem”, come hanno chiaramente documentato anche i numerosi studi finora condotti sulle specie naturalmente (bovino, gatto, uomo, etc.) o sperimentalmente infettate con l’agente della BSE. Non vi è dubbio alcuno, in proposito, che le attuali conoscenze sulla patogenesi dell’infezione da SARS-CoV-2, da ritenersi allo stato attuale oltremodo lacunose e frammentarie, potranno grandemente beneficiare dallo studio dei pazienti deceduti.Nonostante le numerose interviste concesse dai pur autorevoli colleghi e scienziati quotidianamente intervistati dai media (virologi, infettivologi, epidemiologi, esperti di sanità pubblica ed altre figure che si avvicendano nell’arena mediatica), nell’inquadramento nosologico e nosografico oltre che nella classificazione dell’infezione da SARS-CoV-2 e della malattia da esso sostenuta, la CoViD-19, non si è visto fino a questo momento un solo patologo esprimere la propria opinione nel merito. È infatti grazie alla fondamentale opera svolta dai patologi che potremo ottenere una fotografia della dimensione post-mortem della malattia, con specifico riferimento alla sequenza evolutivo-patogenetica dell’infezione da SARS-CoV-2.E, come dimostrato per i ceppi responsabili di malattie prioniche “atipiche” con caratteristiche diverse dal ceppo originario, sia nell’uomo che negli animali, potrebbero esistere ceppi del virus SARS-CoV-2 dotati di differenti livelli di patogenicità nei confronti del nostro organismo. Ribadiamo, ancora una volta, la cruciale rilevanza delle indagini post-mortem per chiarire questi fondamentali aspetti attinenti alla biologia dell’agente virale e, nondimeno, alle sue dinamiche d’interazione con l’ospite.INDAGINI PIÙ CAPILLARI. Nel corso dell’epidemia di BSE l’introduzione dei cosiddetti “test rapidi” a scopo diagnostico ha permesso di esaminare tutti i bovini adulti che non presentavano sintomatologia clinica ed eliminarli dal consumo umano riducendo così l’esposizione della popolazione all’agente infettivo. L’attuazione di questa sorveglianza definita attiva, in quanto si cerca attivamente la malattia ha richiesto uno straordinario sforzo tecnico ed organizzativo da parte di tutti coloro che si occupavano del settore. Si trattò, infatti, di allestire nuovi laboratori che permettessero di esaminare dai 1500 ai 2500 campioni al giorno.Analogamente, nel caso di SARS-CoV-2, recenti indagini condotte sui macachi dimostrano come sia possibile rilevare precocemente la presenza del virus in animali infettati sperimentalmente e asintomatici. Pertanto, in base a quanto sopra descritto si può affermare che l’utilizzo dei test mediante effettuazione di tamponi sulla popolazione adulta permetterebbe di ridurre in maniera considerevole il numero dei contagi applicando conseguentemente le misure di isolamento sui casi risultati positivi.

REALTÀ INTERCONNESSE. Mai come in questo momento si rende evidente il concetto di “One Health”, che riconosce quanto la salute dell’uomo sia legata indissolubilmente alla salute degli animali e dell’ambiente. Ne deriva il legame, parimenti indissolubile, attraverso il quale medicina umana, medicina veterinaria e tutela dell’ambiente sono reciprocamente interconnesse, un concetto che i nostri antichi padri traducevano efficacemente con l’espressione “universal medicina”. Diviene pertanto cruciale la collaborazione interdisciplinare, nel cui ambito il ruolo degli esperti in grado di modellare l’evoluzione delle epidemie e l’impatto dei cambiamenti climatici sulle caratteristiche eco-epidemiologiche dei relativi agenti causali sta acquisendo un’importanza via via crescente.Tanto più alla luce di quanto recentemente sottolineato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo cui il 75% delle malattie infettive emergenti sarebbero sostenute da agenti di dimostrata o sospetta capacità zoonosica (vale a dire in grado di trasmettersi dagli animali all’uomo). A 35 anni di distanza dalla scoperta del primo caso di BSE in Inghilterra, oggi possiamo affermare che la malattia è stata definitivamente sconfitta grazie all’applicazione di misure che, nella loro drammaticità e nella parziale deprivazione di alcune libertà individuali dalle stesse prodotta, hanno grandemente penalizzato dal punto di vista economico alcuni settori più direttamente coinvolti.